Vico della Croce Bianca

Il caruggio situato nel cuore del ghetto ebraico ha origine antichissime, addirittura antecedenti l’erezione delle Mura del Barbarossa nel 1155.

L’origine del toponimo rimanda alla presenza documentata di un’omonima locanda che vi aveva sede fin dal 1613.

Il locale era assai noto e frequentato in città a tal punto che nel 1746 era tappa fissa delle compagnie di giro.

A quel tempo il proprietario era tal Gian Giacomo Ghiglione, gestore anche di un’altra famosa locanda, quella del Falcone che darà origine all’omonimo teatro, oggi inglobato nel Palazzo Reale di Via Balbi.

Alla locanda di Vico della Croce Bianca è legato anche un curioso fatto storico con protagonista un suo garzone di nome Giovanni Carbone.

Questi prese parte alla sommossa del 6 dicembre 1746 che portò alla cacciata degli Austriaci.
Partecipò, agli ordini del Capitano T. Assereto, alla temeraria azione di riconquista di Porta S. Tommaso, occupata dai nemici.
Il Popolo insorse, uomini, donne e bambini si batterono per le strade per liberare la città dall’invasore straniero.
Il Carbone, con azione spregiudicata, recuperò le chiavi della Porta e, fra il tripudio della folla, le consegnò personalmente al Doge con l’ingenua raccomandazione “di stare più attento e di non smarrire più le chiavi della Città”.
L’episodio è narrato nella lapide posta al civico n.29 di Via Gramsci.

In copertina: Vico della Croce Bianca. Foto di Roberto Crisci.

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