Vico Primo dello Scalo

Vico primo dello Scalo si trova tra via Gramsci e via Prè. Il toponimo richiama l’antichissima vocazione marinara del borgo originario lungo la ripa dove ancora oggi restano tracce dei sostegni in ferro utilizzati per sistemare i remi.

La piazzetta, il vico primo e il vico secondo dello scalo certificano infatti la presenza in loco fin dal 1162, realizzato per volere dei consoli, di uno scalo navale.

In quel periodo infatti tutta la zona, per via della vicinanza con il quartiere del Molo Vecchio, fu coinvolta in una profonda opera di trasformazione ed espansione portuale. Risalgono a quel tempo, oltre ai nuovi attracchi, la Darsena e l’Arsenale.

In Copertina: Vico primo dello Scalo. Foto di Stefano Eloggi.

Sui canali della Darsena

No, non ci troviamo sui canali di Venezia ma in darsena, nel cuore antico del porto medievale della Superba.

Qui un tempo sorgeva la darsena vera e propria costruita dopo il 1284 con i proventi della vittoriosa battaglia della Meloria contro Pisa.

La darsena originaria (dall’arabo dār-ṣinā῾a “casa dell’ industria”, quindi “fabbrica” in genovese) era divisa in tre specchi d’acqua complementari: darsena delle barche, olio e vino destinata alle imbarcazioni di piccolo cabotaggio; darsena delle galere ricovero delle grandi navi mercantili e da guerra; arsenale spazio di costruzione e armamento delle galee da guerra.

Nel 1312 a sua protezione venne progettato un imponente sistema di fortificazioni che prevedeva l’erezione di mura maestose. Due poderosi torrioni ne delimitavano l’accesso.

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Veduta dei Genova nel 1481 realizzata da Cristoforo Grassi nel 1597. Al centro del quadro custodito al Museo galata si riconoscono le mura e i poderosi torrioni dell’arsenale.

Per tutto il Medioevo il porto manterrà questo assetto polifunzionale e solo con la caduta della gloriosa Repubblica marinara nel 1797 la darsena verrà completamente militarizzata.

Nella seconda metà del 800 poi, durante il Regno Sardo, con il suo interramento si rinuncerà definitivamente alla vocazione militare dell’arsenale. Al suo posto verrà costruito un nuovo grande bacino di carenaggio maggiormente idoneo alla ricezione dei nuovi colossali bastimenti trans oceanici.

Alla fine dello stesso secolo il porto diviene proprietà comunale e assume la conformazione, con i suoi silos e magazzini, di emporio commerciale denominato Portofranco.

L’omonimo quartiere riveste oggi, grazie all’Acquario, al museo Galata e alla rivitalizzazione del Porto Antico, grande interesse e importanza in ambito turistico.

Non va tuttavia dimenticata, in virtù della presenza in loco della facoltà di Economia e Commercio, anche una significativa impronta di stampo culturale e universitario.

Un panoramico appartamento sui canali di Ponte Morosini era stato scelto negli anni ’90 da Fabrizio De Andre’ come “buen ritiro” e nido sul mare natio.

La Grande Bellezza…

In copertina: canali in Darsena. Foto di Leti Gagge.

Il Bacinetto di carenaggio

Tra le nubi che lentamente si colorano di blu filtra la luce di un tramonto che prepara la sua danza d’amore intorno alla città vecchia e al suo porto.

Gli alberi delle vele in primo piano e la Lanterna sullo sfondo sembrano sfidare il cielo.

Protagonista assoluto, come in un quadro di Rubens (“rosso” appunto in latino), il rosso della chiusa del “Bacinetto” di carenaggio davanti alla Darsena (dàrsena: dall’arabo dārināa «casa dell’industria; fabbrica», attraverso la lingua genovese) di fronte a Porta dei Vacca.

Tale struttura tuttora adibita alla manutenzione dei rimorchiatori portuali  è il più antico bacino di carenaggio in pietra del Mediterraneo.

La Grande Bellezza…

Foto di Leti Gagge.

L’invincibile Gonfalone di San Giorgio…

Il glorioso gonfalone della Repubblica simbolo millenario della città veniva, dopo solenne cerimonia e processione, consegnato dal Doge (Podestà, Consoli o Capitano del Popolo a seconda della forma di governo in vigore al momento) al comandante della galea madre prima di ogni impresa militare.

Il corteo partiva da Palazzo Ducale, attraversava San Lorenzo, proseguiva a San Giorgio e terminava in Darsena dove il Capitano (se al comando di cinque navi) o l’Ammiraglio (se le navi erano almeno dieci) ricevevano al grido di “Pe Zena e pe San Zorzo”, con l’impegno che fosse difeso e onorato ad ogni costo, il sacro vessillo.

Nonostante le sconfitte a volte subite, lo stendardo è sempre tornato a casa sano e salvo e veniva custodito e riposto nell’omonima chiesa.

Ironia della sorte furono proprio i Genovesi a fine ‘700, invasati dalle nuove idee rivoluzionarie giacobine, a distruggerlo insieme ad altri preziosi simboli della Repubblica marinara e dell’oligarchia militare e mercantile della città. Di lì a poco Napoleone avrebbe mostrato il suo vero tirannico volto e i Genovesi avrebbero a lungo rimpianto il loro santo guerriero protettore.

"Il Gonfalone in processione".
“Il Gonfalone in processione”.

 

Oggi se ne può ammirare fedele copia come sfondo delle riunioni comunali o come prezioso testimone ad importanti celebrazioni cittadine.

Storia di una Moschea… anzi due… terza parte…

forse sei… di un Imam… di Galee…
continua… terza e ultima parte…
Evidentemente le lamentele del Papasso ottennero il loro scopo se, di lì a poco, la Repubblica ricevette una missiva di Bogo, console di Tunisi, in cui il diplomatico informava la Superba del fatto che il re di quel paese aveva minacciato, come ritorsione, di rendere schiavi tutti i Genovesi liberi presenti in città.

"Moschea di Vico Fregoso, una dei tanti centri islamici presenti nel centro storico".
“Moschea di Vico Fregoso, una dei tanti centri islamici presenti nel centro storico”.

Il Papasso intanto, oltre che paventare nuove lettere di protesta, pretendeva di avere un trattamento diverso, privilegiato, rispetto agli altri schiavi “passando in minacce contro molti e, in particolare, contro il Padre dei Cappuccini, incaricato, per conto del Magistrato delle Galee, di tenere “cordiali” i rapporti.
L’Imam, nel frattempo, si era proclamato “direttore” (colui che detiene il banco) in Darsena del Gioco del Biribis (gioco d’azzardo simile alla lotteria) scontrandosi anche con personaggi della nobiltà che non disdegnavano le scommesse.
Fu allora che le Autorità cittadine misero fine alla “querelle” costringendolo in catene, al pari degli altri schiavi, per lunghi e duri sedici mesi sulle galee.
Il Senato scrisse ai consoli di Francia, Inghilterra, Spagna e Olanda che a Tunisi, Tripoli e Algeri smentissero le insinuazioni del Papasso…
Forse l’Imam, non aveva tutti i torti, ma aveva “tirato troppo la corda” e i Genovesi di quel tempo non erano certo usi “a farsi menar per il naso”…

galata
“Expo 1914: ricostruzione della trecentesca Torre Galata, cuore e simbolo di Istanbul, eretta dai Genovesi a protezione del loro quartiere.”

Nel 1914, in occasione dell’Expo genovese, l’architetto fiorentino Coppedè, per meglio descrivere lo spirito della manifestazione, concepì all’interno dei padiglioni una Moschea e la Torre Galata, simboli della tolleranza, della potenza e dell’intraprendenza dei Genovesi nei secoli.

 

“Vedrai una città regale,

addossata ad una collina alpestre, superba per genti e per mura, il cui solo aspetto la indica signora del mare”… scriveva Petrarca nel 1358.

breve storia delle Mura di Genova…

Le prime tracce, anche se si ha notizia di una cinta all’epoca romana, circa la presenza delle Mura risalgono al X sec. quando furono erette per far fronte alle continue scorrerie musulmane.
La superficie protetta era di circa venti ettari e i principali varchi erano Porta Soprana, Porta di  S. Pietro (visibile ancora oggi sotto forma di archivolto in Piazza cinque Lampadi), quella di Serravalle, addossata a San Lorenzo, quella di San Torpete in zona San Giorgio e quella Castri (nell’odierno Sarzano).
Nel 1155, causa la minaccia del Barbarossa, le Mura sono ampliate fino a

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“Porta degli Archi oggi in Via Banderali”

difendere cinquantacinque ettari.

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“Porta Siberia dell’Alessi”

Si aggiungono Porta dei Vacca o di S. Fede davanti alla Darsena , Porta di S. Egidio e Porta Aurea in Piccapietra e Porta Murtedi all’Acquasola.
A queste si sommano tre accessi turriti: S. Agnese, Portello e Pastorezza.
Sono mura imponenti la cui altezza media era di circa dieci metri.
Papa Alessandro III, invitato all’inaugurazione, proclama : “Siano le vostre Mura inespugnabili come lo sono i vostri cuori”. Tra il 1276 e il 1287, in piena guerra con Pisa e Venezia le Mura vengono rinnovate e modificate.
Nel XIV sec. la cinta viene ulteriormente allargata a centocinquantacinque ettari con i nuovi accessi di Porta degli Archi (a metà di Via XX, presso il Ponte Monumentale) oggi sita in Via Banderali, Porta dell’Olivella zona Pammatone e la Porta dell’Acquasola.

Tra il 1517 e il 1522 l’Olgiati e il Sangallo, ingegneri di rinomata fama, aggiunsero bastioni, ristrutturarono, potenziarono e inserirono, su progetto dell’Alessi, la Porta Siberia.
Nuove mura, tra il 1629 e il 1633, Galliani, scienziato amico di Galileo Galilei, diresse i lavori di ampliamento, progettati dal Maculani, dal Bianco e dal Fiorenzuola.
Due le Porte della secentesca grandiosa cerchia: Porta della Lanterna e Porta Pila (all’inizio di Via XX), oggi collocata in Via Montesano sopra la stazione di Brignole.
Su di esse le statue della Madonna Regina con sotto scritto il monito “Posuerunt me custodem”.

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“Porta Pila, oggi in Via Montesano”.

Nel ‘700 vennero edificati, a corona della Superba, i forti (ma questa è un’altra storia…) che, inseriti nell’800 dai Savoia nel nuovo sistema difensivo piemontese, costituirono l’ottava ed ultima cinta.

“Porta della Lanterna”.

Prima che le terrazze…

terrazze
“Costruite fra il 1835 e il 1839 su progetto dell’architetto Ignazio Gardella senior erano  lunghe circa 400 metri da palazzo S. Giorgio a porta di S. Fede. Per far spazio alla ferrovia portuale, vennero smantellate fra il 1883 e il 1886”.

di marmo lasciassero il loro ottocentesco tracciato alla moderna sopraelevata… sopra eleganti signori in tuba e marsina mostravano orgogliosi alle loro dame il panorama portuale…

sotto laboriosi camalli rifornivano efficienti magazzini ed esercizi commerciali inerenti le attività marittime.

Storia di Paciugo e Paciuga…

e breve menzione del Santuario di Coronata.

Le notizie sulla chiesa di S. Michele Arcangelo e Santa Maria dell’Incoronata si perdono nella notte dei tempi allorquando, una misteriosa Madonna lignea comparve sulla spiaggia di Caput Arenae e, spostandosi continuamente, si lasciò cogliere solo sulla collina di Coronata.

Al suo interno, fra le tante opere d’arte, interessante come testimonianza dal punto di vista storico una tela ottocentesca raffigurante il Doge Tomaso di Campofregoso in pellegrinaggio al Santuario in segno di ringraziamento per una battaglia navale contro gli Aragonesi, avvenuta nel 1420."Santuario di S. MIchele e S. Maria Incoronata".

Nel 1887 padre Persoglio, rovistando negli archivi, ci trasmise in stretto genovese, una curiosa storiella accaduta, pare, in pieno Medioevo:

Paciuga, ogni sabato, dalla sua abitazione nel borgo di Prè si recava, dopo lungo scarpinare, al Santuario per pregare e chiedere il ritorno, sano e salvo, di Paciugo, il marito marinaio catturato dai Turchi.

I vicini, malelingue, pensarono subito ad una tresca e sparsero in giro tale menzogna.

Un bel giorno Paciugo, sfuggito ai Musulmani, riapparve in Darsena ma, prima che gli abbracci della moglie, lo accolsero le altrui calunnie.

Il marinaio, con il cuore gonfio d’odio, corse a casa e, per festeggiare il suo avventuroso rientro, invitò la sua bella ad una gita in barca. Giunto al largo, accusò la moglie e, nonostante le sue accorate smentite, la affogò.

Appurato, in seguito, che Paciuga era stata sincera, non sapeva darsi pace per l’orrendo assassinio.

Fu allora che la Madonna, colpita dal suo sincero pentimento, lo condusse al Santuario dove poté riabbracciare la sua fedele sposa.

Nei quartieri…

dove il sole del buon Dio non da i suoi raggi… Storia di un famigerato quartiere…
Da tempi remoti fino al 1350, quando venne inglobato nella cinta muraria, il Borgo di Prè era solo un piccolo agglomerato di casupole e chiese di pellegrini lungo la via verso il ponente.
Secondo alcuni l’origine del nome deriverebbe proprio dal fatto che fosse fuori le Mura e quindi noto come contrada dei prati.
Per altri invece l’etimo risalirebbe alla spartizione del bottino da parte dei Capitani di Galea, detti Predoni, al rientro nell’antistante Darsena:
“Burgus de praedis” così veniva infatti identificato negli antichi atti notarili (i cartolari genovesi costituiscono i più antichi testi d’Europa).
Per altri ancora invece, il nome si assocerebbe all’uso militare di tutta l’area adiacente al Vastato (attuale Nunziata, dove un tempo si esercitavano i Balestrieri) detta appunto “Prae castra” (davanti ai campi).
Il Borgo si inerpicava attraverso ripide creuze, costellate di case di legno, fino al Montegalletto e a Pietraminuta (attuali castello D’Albertis e Corso Dogali).
Nel 1606 con il tracciato della grandiosa Via Balbi i campi vennero espropriati, le creuze interrotte, le chiese demolite e l’intero assetto rivoluzionato.
Le costruzioni di Piazza Caricamento prima e Via Gramsci poi, daranno il definitivo carattere
di Via stretta fra la ferrovia portuale e il quartiere universitario.
Territorio conteso nei decenni dalla malavita organizzata per i propri loschi traffici e luogo di piacere per i marinai di mezzo mondo.
Via Prè presenta numerose meraviglie quali, fra le tante, la celebre e omonima Commenda, il Palazzo Reale e i truogoli di Santa Brigida.
I truogoli di Santa Brigida. Foto di Leti Gagge.