Curioso l'equivoco che si è generato in relazione alla genesi del toponimo che non è, come invece erroneamente ritenuto, legato al colore del laterizio.
L'origine corretta del sito rimanda infatti ai nomi delle famiglie Rossi e Matoni che abitavano un tempo in loco.
L'associazione ai mattoni rossi intesi come elemento cromatico è dunque dovuta all'arbitraria annotazione di un burocrate piemontese ottocentesco che contribuì così a creare confusione.
Chissà se l'architetto che sul finire del secolo scorso si è occupato della ricostruzione è caduto anch'egli nell'equivoco o vi ha giocato caratterizzando appunto l'edificio con tanti bei mattoncini rossi?
In Copertina: l'edificio dei Mattoni rossi sito nell'omonimo vico.
Sullo spiano della collina a 180 mt. s.l.m. nel 1100 sorgeva una piccola chiesa dedicata a Santa Tecla.
La zona nel ‘300 divenne proprietà del doge Simone Boccanegra che qui eresse alcuni suoi edifici. Fra questi Il castello è ancora oggi visibile, utilizzato come suggestiva quinta per eventi e congressi, nei giardini dell'ospedale San Martino.
Nel 1747 dopo lo scampato pericolo dell'assedio austriaco Genova sentì l'esigenza di rafforzare e puntellare l'ormai obsoleta secentesca cinta muraria con un sistema di nuove fortificazioni.
Il Forte di Santa Tecla fu uno dei primi quattro forti (insieme al Richelieu, al Quezzi e al Diamante, ad essere progettato.
Il camminamento di ronda. Foto dell'autore.
La costruzione fu iniziata nella seconda metà de Settecento e quasi subito interrotta. Proseguita con scarsi risultati in età napoleonica e portata avanti, fino al completamento (con modifiche al progetto) dopo l'annessione di Genova al Regno di Sardegna 1815.
Alle strutture edificate inizialmente infatti fu integrata una ridotta casamatta. Tale ridotta su due piani era destinata a quartiere e presidio per i soldati, locale per la Cappella, Santa Barbara (polveriera), corpo di guardia, alloggio per gli ufficiali, prigioni, magazzini per legna e provviste alimentari.
Il camminamento con le fuciliere rivolte alla piazza d'armi. Foto dell'autore.
Durante l'assedio austriaco del 1800 passato alla storia per la stoica resistenza del generale nizzardo massena comandante della Piazza di Genova, il forte faceva parte dei cinque contraforti previsti al presidio del settore orientale della città.
In proposito annotava il Tiebalt:
“Il secondo controforte è quello, su cui si trova il Forte di Santa Tecla, la cui costituzione non è finita, ma che con un grande sforzo in pochi istanti può esser posto al coperto degli insulti, e fare grande effetto su tutte le parti della posizione di Sturla e di Albaro. Questo Forte vede tutti i rovesci del primo contro forte, tutte le ondulazioni dei contorni di Albaro, tutti i rovesci della Madonna del Monte, che sarebbe pericolosissimo lasciare occupare, e finalmente assicura la comunicazione della Piazza col Forte Richelieu”.
La piazza d'armi durante la rievocazione storica del 13-14 Maggio 2023 dell'assedio del 1800. Foto del Prof. Emiliano Beri.
Dopo aver resistito di nuovo agli austriaci, sotto il governo sabaudo ad opera del Corpo del Genio Sardo, il forte nei primi decenni del secolo venne ristrutturato, rafforzato e ampliato con la costruzione della caserma centrale.
A questo periodo risale appunto l'affissione sul varco principale dello stemma dei Savoia.
Lo stemma dei Savoia con il sottostante nome del forte. Foto dell'autore.
Cannoni e figuranti in divise dell'esercito napoleonico durante la rievocazione storica del 13-14 Maggio 2023 dell'assedio del 1800. Foto del Prof. Emiliano Beri.
“Ha un tracciato a doppia opera a corno, con i mezzi bastioni rivolti a nord e sud che vanno a formare due tenaglie rivolte a est e ovest. Particolarmente interessanti le casematte per artiglieria dei due mezzi bastioni rivolti a nord e il cavaliere sulla cortina che le collega. Fa parte della linea di difesa orientale della piazzaforte formata dai forti San Giuliano, San Martino, Santa Tecla, Richelieu e Monteratti (ciascuno in posizione dominante rispetto a quello che lo precede) e completata, in posizione arretrata a copertura del suo fianco nordoccidentale, dal forte Quezzi e dalla torre Quezzi (un torrione casamattato).” Prof. Emiliano Beri.
Concepito su tre ordini concentrici di mura poteva ospitare nella conformazione ordinaria circa cento soldati che alla bisogna potevano aumentare fino ad oltre quattrocento unità.
Nel 1849 durante i moti insurrezionali contro i Piemontesi fu per un breve tempo occupato dai ribelli e subito recuperato dagli oppressori sabaudi.
Durante la prima guerra mondiale rivestì anche la funzione di carcere per i prigionieri austriaci.
Gendarme napoleonico in uniforme di ordinanza. Foto dell'autore.
Gendarme napoleonico in uniforme da parata mentre carica il fucile. Foto dell'autore.
Abbandonato dai militari nel dopoguerra fu fino agli anni '80 abitato abusivamente da sfollati ed emigrati.
Oggi il forte è fruibile grazie all'opera dei volontari dell'associazione Rete Forte di Santa Tecla che si occupa del mantenimento e della valorizzazione della struttura. Fra gli ambiziosi progetti futuri oltre ad alcuni importanti interventi conservativi, la volontà di bonificare e attrezzare l'area esterna antistante per renderla uno spazio verde godibile da tutti.
Il forte visto dall'acceso di Salita Superiore di Santa Tecla. Foto di associvile.it
Il forte dall'altro lato. Foto associvile.it
Panorama sul ponente citta. Foto dell'autore
In Copertina: Il Forte di Santa Tecla. Foto del Prof. Emiliano Beri.
Fonti: Mura e Fortificazioni di Genova di Carlo Dellepiane.
Sul lato di levante delle mura nuove erette nel 1637, subito dopo il Castellaccio, è situata la porta delle chiappe (o di S. Simone). Il Brusco indicava il tracciato di una «strada che conduce alla Baracca del Puin, alla Torrazza e a Croce d'Orero».
In origine, come indicano chiaramente i disegni del Codeviola, la Porta esterna di S. Simone non aveva ponte levatoio, ma una semplice rampa in legno, posta a passerella che conduceva al piazzale esterno; nelle successive trasformazioni del XIX sec. l'intero piano della galleria fu abbassato di circa m. 1,30 e di conseguenza furono abbassate le arcate dei due portali estremi. Su quello esterno, incorniciato da un arco in pietra, fu sistemato un ponte levatoio di cui rimangono solamente i fori per il passaggio delle catene di sollevamento. I due stipiti della Porta furono rinforzati da due paraste in mattoni che salivano verticalmente fino alle mensole della garitta. Infine l'intero piano superiore fu demolito e spianato per permettere il passaggio della strada militare, che doveva proseguire senza interruzioni, lungo i rampari del bisagno fino allo Sperone.
Tratto da “LeFortificazioni di genova” di Leone Carlo forti)
In Copertina: Porta delle Chiappe. Foto di Giovanni Cogorno.
Nel 1893 a marzo la Principessa Sissi venne a genova in incognito, a settembre nacque il Genoa CFC e di lì a poco si stabilì la costruzione del Mercato Orientale.
Con delibera pertanto del 21 ottobre di quell'anno vennero incaricati gli ingegneri comunali Veroggio, bisagno e Cordoni per dare una sede stabile al mercato dei prodotti agricoli che arrivavano dalla val Bisagno.
Fino a quel momento infatti i bezagnini portavano le loro merci nelle piazze di De Ferrari e dell'Annunziata.
Il nome del nuovo mercato derivava dal fatto che la sua posizione era ad oriente rispetto al centro cittadino di allora.
Il Mercato Orientale di Genova si trova nella scenografica area del chiostro del convento degli Agostiniani annesso alla chiesa della Consolazione.
Il Mercato Orientale nel 1904.
Del chiostro originario, il mercato comprende i colonnati ai lati posti verso la chiesa e verso la via XX Settembre nonché il portale chiuso sulla piazzetta di accesso al mercato da via Galata, mentre gli altri due lati sono stati completati con la realizzazione del mercato.
In occasione di tale conversione il Mercato Orientale fu il primo edificio costruito a Genova in calcestruzzo armato con la tecnica del sistema Hennebique.
Il mercato fu concepito all'aperto ed è stato successivamente coperto da lucernai per aumentare lo spazio interno disponibile. Le decorazioni sono in marmo bianco, mentre l'originale pavimento in pietra è oggi purtroppo parzialmente coperto da cemento. L'ala dell'edificio affacciata su via XX Settembre ha ospitato per anni gli uffici finanziari, dal 1931 trasferiti nella nuova imponente sede di via Fiume.
In quella sede 40 anni più tardi mio padre vi avrebbe ricoperto il ruolo di Direttore ed ogni giorno terminato il lavoro, lui grande cultore della buona cucina, in quel mercato vi si recava fiducioso di trovare quel che cercava.
Il Mog occupa una superficie di 5500 metri quadrati. Comprende un piano sotterraneo suddiviso in 42 magazzini ed un pianterreno formato da un porticato perimetrale colonnato che si sviluppa per circa 360 metri. Il mercato ha cinque accessi, di cui due da via XX Settembre, compreso l'ingresso principale a cinque arcate, due da via Galata e uno da via colombo.
I lavori finalmente si conclusero nel luglio del 1898 e il 2 giugno 1899 il mercato fu inaugurato dal sindaco Francesco Pozzo con una mostra floreale.
Nel dicembre 2017 è stato presentato un progetto per il restauro conservativo e la valorizzazione del piano rialzato dell'edificio, dove è stato realizzato un food market con bar, postazioni per degustare prodotti tipici, scuola di cucina e uno spazio per incontri culturali ed eventi.
I bezagnini con le corbe di frutta e verdura nel 1925. Foto del Docsai (Centro di Documentazione per la storia, l'arte, l'immagine).
La nuova struttura purtroppo inaugurata in pieno covid nel maggio 2019 è oggi, animata dai suoi vivaci locali, assai frequentata.
Il Mog di Genova ha saputo dunque modernizzarsi strizzando l'occhio allo street food, senza per questo rinunciare alla sua storia. Colori, aromi e profumi, sono quelli di sempre.
Fruttivendolo (bezagnino in genovese). Foto di Andrea Robbiano.
Se da una parte purtroppo sono quasi sparite le antiche tripperie (ne è rimasta una sola) che occupavano l'ala lato via Galata, dall'altra bezagnini, pesciai, formaggiai, maxellai, pollerie e gastronomie varie continuano ancora a farla da padrone. Qui si trovano primizie ed ogni genere di mercanzie altrimenti difficili da reperire altrove.
I colori del Mog. Foto di Andrea Robbiano.
A proposito di mercati storici tutti conoscono la celeberrima e più antica Boqueria di Barcellona costruita nel 1836 che in Catalogna è divenuta addirittura una ricercata attenzione turistica.
Pescivendolo (in genoves Pesciaio). Foto di Andrea Robbiano.
Ancira i colori del mercato. Foto di Andrea Robbiano.
Credo che il nostro Mercato che è grande il doppio e non meno storicamente affascinante della Boqueria possa in futuro, seguendone l'esempio, ottenere lo stesso successo.
Per quelli della mia generazione, non essendo purtroppo più fruibile il bianchetto, il rossetto ne è più che mai divenuto irrinunciabile sostituto.
Il rossetto infatti è un piccolo pesce (Aphia minuta) molto utilizzato nellagastronomia ligure. Gli esemplari adulti al massimo raggiungono i 6 cm ma in genere è lunga 3/4 cm.
Secondo il Regolamento Europeo CE n. 1967 del 2006 sulla pesca nel Mediterraneo anche il rossetto è una specie definita ‘a rischio'. La sua raccolta è permessa ma è subordinata all'approvazione di piani di gestioneperché l'obiettivo della legislazione vigente è fare in modo che il prelievo sia sostenibile e responsabile.
Dall'entrata in vigore infatti di tale disposizione relativa alle misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel Mar Mediterraneo, in base all'art. 15 (taglie minime degli organismi marini) ne è vietata la pesca, la tenuta a bordo, lo sbarco, il trasferimento, l'immagazzinamento e la vendita.
I “gianchetti” (bianchetti) di cui accennavo prima, invece, sono il novellame (i piccoli) del pesce azzurro (ma non solo), in particolare acciughe e sardine pescate nel Mar Mediterraneo.
I Bianchetti. Foto dal web.
E allora da tempo nella famosa frittata ai bianchetti si sono sostituiti i rossetti.
In una ciotola sbattere le uova con un pizzico di sale, aggiungere il parmigiano grattugiato, il latte e la lattuga. Amalgamare e poi aggiungere i rossetti. Mescolare bene.
Fare scaldare bene un filo d'olio evo in una padella antiaderente e poi versare il composto di uova e rossetti. Lasciare che la frittata cuocia con un coperchio, a fiamma moderata, fino a quando la base non si rapprende.
Poi, con l'aiuto di una spatola in silicone, staccare delicatamente i bordi della frittata e farla scivolare in un piatto piatto e largo, con molta cautela. Mettere sopra un secondo piatto, capovolgerla e farla scivolare nuovamente nella padella.
Finire la cottura e metterla ad asciugare su carta assorbente.
Servirla in un piatto tiepida o a temperatura ambiente con una bella insalata di contorno e un buon bicchiere di Vermentino o Pigato.
Nella frittata e nella farinata i rossetti sono ottimi ma io continuo a preferirli appena sbollentati qualche secondo e conditi con un filo di olio extra vergine
In Copertina: Frittata di Rossetti. Foto e preparazione di Emanuele Silvano Foppiani.
La rappresentazione della natività si dipana fra la città e il porto di genova con figure orientali che rappresentano da sempre la multi etnicità di una città aperta ai commerci e al mondo.
Il presepe in vetrina – come battezzato dai suoi curstori Giulio Sommariva e Simonetta Maione – dei Musei di strada nuova è stato allestito a palazzo Rosso in una scenografica teca, visibile da via Garibaldi.
Le statuine che animano le scene con la Sacra Famiglia, i pastori e i nobili sono in gran parte dovute all'opera di Pasquale navone che, pur nato dopo la morte del Maestro, si formò alla bottega del Maragliano.
In tutto circa 30 statuine – alcune delle quali provenienti dalle collezioni civiche, in particolare dal Museo Giannettino Luxoro di Nervi – ispirate dalle stampe seicentesche e settecentesche dell'incisore Antonio Giolfi e del pittore fiammingo Cornelis de Wael. Si riconoscono ad esempio Piazza Banchi e ponti Spinola, Reale e Calvi sotto la futura Piazza Caricamento.
Si tratta di figure a manichino in legno con parti visibili scolpite e policromate e rivestite con tessuti pregiati, tra i quali sete finemente ricamate e tele jeans del 700.
Il presepe è illuminato e visibile anche la sera per tutti coloro che si troveranno a transitare in via Garibaldi e resterà aperto fino al 5 febbraio.