… “si chiama anche La Superba ed è giusto che sia così!”

Nel 1833 anche un giovane e ancora sconosciuto Hans Christian andersen arrivò a Genova dove rimase meravigliato ad ammirare il mare. I colori erano più intensi, nitidi, vivaci rispetto a quelli a cui era abituato sulle coste della sua terra natia, la Danimarca. Un'esplosione di mediterranea  bellezza che lo incanta come una fiaba e lui si che di fiabe se ne intendeva.

L'autore di celeberrime favole quali, fra le tante, “La Principessa sul Pisello”, “La piccola fiammiferaia”, “La Sirenetta” o il “Brutto Anatraccolo” (“I Vestiti dell'Imperatore la mia preferita”) racconta nei suoi appunti di essersi perso nel dedalo dei  caruggi  nel tentativo di raggiungere il teatro Carlo Felice dove aveva intenzione di assistere all'opera “Elisir d'Amore” di Gaetano .

“Sono stato al glorioso castello del qui a , il Palazzo è accanto al Palazzo, un ponte collega due strade e alto sopra le case di 6 piani, una di 10 piani, si ergeva poco sopra il ponte. Il teatro è quasi come La Scala, ho visto Love Potion con nuova musica italiana. – A Palazzo Durazo ho goduto della vista del mare blu-nero e di tutta la zona con i suoi uliveti neri come la pece. – L'Ammiraglio di Genova ha concesso a me e ai miei due compagni di viaggio il permesso di vedere l'. Siamo entrati qui da 600 galeotti, erano le facce più orribili che abbia mai visto, due più due erano incatenati insieme, come se fosse un solo corpo. – Eravamo rinchiusi con loro; lungo il Muro dormivano saldamente incatenati di notte; eravamo in infermeria, uno era preso dalla morte, gli occhi erano rotti, era quasi verde in viso, mi fece un'impressione così terribile, che mi ero quasi fatto male, ho chiuso gli occhi; uno dei teppisti, che l'ha visto, ha riso in modo piuttosto orribile e ha scosso le catene di ferro… Gli orgogliosi camminano con i cappelli rossi, la sera cantano così magnificamente e il lago rotola sotto la mia finestra. Dopo Parigi, Genova è la prima città che conosco, si chiama anche La ed è giusto che sia così!”

Lettera di HC Andersen (1805-1875 scrittore) a Christian Voigt del 1° ottobre 1833:

Disegno di Hans Christian “Genova il 2 ottobre 1833.”. . Dimensioni originali 5,9 cm x 9 cm.


Fonte: Musei della città di Odense

Quando in Vico dei Librai c’era…

Quando, prima della sua demolizione avvenuta nel 1968, c'era ancora Vico dei Librai.

Il caruggio sito nel cuore di Portoria era assai breve e comprendeva tre porte di casa. Dallo stesso si accedeva anche all'attigua piazzetta che ne aveva altre sette.

In una di queste abitava la famosa vecchina dell'omonima leggenda secondo la quale l'anziana signora ancora ai giorni nostri gironzola nei pressi di Porta Soprana chiedendo informazioni sulla strada da percorrere per raggiungere la propria abitazione in Vico Librai.

A rendere ancora più affascinante la vicenda di questa nonnina è il ritrovamento, all'interno di un locale dove era entrata per chiedere informazioni, di un borsellino contenente monete del regno, immaginette sacre e un antico rosario.
Tutti oggetti risalenti all'800.

Tutta la millenaria zona per via del nuovo piano regolatore venne atterrata a cavallo degli anni 60/70 senza pietà in nome del piccone risanatore passando tristemente alla storia come lo scempio della Madre di Dio.

In Copertina: scorcio della piazzetta e del Vico Librai.


Vico della Madonna

Tra via del Campo a vico San Marcellino si trova .
Il nome del caruggio trae origine dalla presenza di un tondo oggi scomparso con la Madonna e il Bambino. Madonna che ricordo dal 1637 è la Regina di Genova.

Al civ. n. 11 esisteva anche una lastra sovrapporta con San Giorgio che uccide il drago di cui resta purtroppo, dopo la rimozione o il furto, solo la malinconica impronta.

Della piccola lapide posta sotto la targa che recita: A Beneplacito del Municipio / il 10 luglio 1866 non sono riuscito a comprendere il significato. Probabilmente legato a qualche servitù di passaggio o di utilizzo.

In Copertina: Foto di Stefano Eloggi

Vico Macellari

.

Tra via Prè a via Balbi si trova il cui toponomo rimanda alla presenza un tempo in zona dei .

La corporazione dei macellai (Beccai in genovese) fù a tra l'altro la più antica, come si evince da documenti risalenti al XIII secolo, assieme a quella dei mulattieri.

Tale associazione edificò la propria settecentesca corporativa edicola all'incrocio tra via e piazza dei Macelli di Soziglia .

In Copertina: Foto di Stefano Eloggi.

Salita dell’Acquidotto

Circa a metà fra la zona del Carmine e la Spianata di Castelletto si incontrano alcune faticose creuze che si arrampicano verso la Circonvallazione a monte. è una di queste e la si raggiunge da Salita alla Spianata di Castelletto.

È questo il tratto terminale, l'antico snodo del percorso dell'acquedotto medievale. Qui infatti svoltando sulla destra si nota un archivolto i cui conci bianco e neri sono i resti di un antico mulino.

Al suo interno, curiosità, è ancora conservata una scaletta in ferro battuto, oggi murata, che serviva agli addetti per ispezionare le vasche di raccolta.

L'acqua proveniente dalle vicine cisterne del Castelletto, dopo aver messo in moto cinque mulini (tutta la collina era destinata ai forni), scendeva nell'odierno Largo della Zecca per poi, con tre ponti sifone, terminare il suo percorso alimentando Porta dei Vacca e il porto.

L'archivolto dove si trovava il portello turrito di Pastorezza. Foto di Leti Gagge.

Ma non finisce qui!

A una storia se ne sovrappone un'altra: infatti prima ancora di essere inglobato nell'acquedotto e poi nei palazzi questo varco costituiva una delle tre porte minori fornite di torretta delle mura del Barbarossa: Portello (Piazza del Portello), (Nunziata) e -appunto- di Pastorezza (Largo della Zecca).

In Copertina: Salita dell'Acquidotto. Foto di Stefano Eloggi.

Vico Primo dello Scalo

Vico primo dello Scalo si trova tra via Gramsci e via Prè. Il toponimo richiama l'antichissima vocazione marinara del borgo originario lungo la ripa dove ancora oggi restano tracce dei sostegni in ferro utilizzati per sistemare i .

La piazzetta, il vico primo e il vico secondo dello scalo certificano infatti la presenza in loco fin dal 1162, realizzato per volere dei consoli, di uno scalo navale.

In quel periodo infatti tutta la zona, per via della vicinanza con il quartiere del Molo Vecchio, fu coinvolta in una profonda opera di trasformazione ed espansione portuale. Risalgono a quel tempo, oltre ai nuovi attracchi, la Darsena e l'Arsenale.

In Copertina: Vico primo dello Scalo. Foto di Stefano Eloggi.

Vico e Piazza del Pozzetto

Vico del Pozzetto è un angusto e dimenticato caruggio che collega Via Prè a Piazzetta dello Scalo.

Una volta superata quest'ultima si giunge ad uno slargo ricavato fra le case chiamato Piazzetta del Pozzetto.
A differenza del precedente omonimo vico qui l'ambiente, forse anche per la presenza di una residenza per studenti, è invece lindo e decoroso. Alle circostanti palazzine restaurate con vivaci colori è stata restituita anche un pò di quella vitalità che un secolo fa caratterizzava questo spazio occupato da un paio di frequentate osterie, una delle quali con alloggio.

Sull'origine dell'etimo non vi sono notizie certe anche se non è irrealistico pensare fosse legato alla presenza in zona di un piccolo .

In Copertina: Piazzetta del Pozzetto ripresa dal lato di . Foto di Stefano Eloggi.

Salita Boccafò

In Piazza di Carignano aggirando sul lato sinistro l'imponente edificio dell'Agenzia delle Entrate si percorre quel che resta della Salita alla Montagnola dei Servi, l'ultimo avamposto di un quartiere scomparso.

Da qui si scorge una piccola creuza, Salita Boccafò, che termina poi bruscamente con una scalinata interrotta dai palazzi, costruiti nel dopoguerra, della sovrastante Via Fieschi.

Il toponimo del caruggio rimanda all'antica vocazione tessile artigiana del sito.

I Boccafò infatti originari di Chiavari, esercitavano il mestiere del laniere o (lanaiuolo) che qui anticamente nel Borgo -appunto- dei Lanaiuoli, dove esisteva anche un Vico Lana, aveva il proprio epicentro.

Foto di Antonio Corrado.

Vico dei Cassai

Vico Cassai situato tra Vico Gibello e Canneto il Curto è un caruggio pressoché sconosciuto.

Eppure anche questo dimenticato vicolo della zona del Molo ha la sua storia da raccontare.

Qui infatti fin dal Medioevo aveva sede la corporazione dei cassai ovvero quell'associazione di artigiani che si occupava della costruzione di casse in legno per il  trasporto di merci varie sfuse.

Un'attività dunque che, soprattutto in ambito portuale, rivestiva grande importanza.

I cassai infatti dovevano collaudare l'integrita delle casse, assicurarsi che fossero sufficientemente resistenti per sopportare i frequenti urti durante i lunghi viaggi, che non presentassero segni di scasso o aperture dolose e, alla bisogna, essere in grado di ripararle nel piu breve tempo possibile onde non compromettere le tempistiche di spedizionieri e armatori.

In Copertina: Vico Cassai. Foto di Stefano Eloggi.
 

Vico Foglie Vecchie

Nella zona di Pre' è un caruggio che collega l'omonima via di Prè con via Gramsci.

Leggendo i testi del Pescio, si evince che le colonie tra il XIII sec. e il 1455 di la Nuova e Focea la Vecchia, (città turche di origine greca) dette le due Focee, erano anche denominate Foglie Vecchie e Foglie Nuove.

In lingua genovese infatti il plurale di Focea, Focee si pronunciava Fogie e da qui dunque latinizzato la trasposizione in Foglie Vecchie e Foglie Nuove.

In Copertina: Vico delle Foglie Nuove. Foto di Stefano Eloggi.