Il Presepe di S. Egidio alla Nunziata

La Comunità di Sant’Egidio ha affidato agli artigiani di via San Gregorio Armeno a Napoli la creazione di un presepe unico, in esposizione fino al 2 febbraio 2020 nella basilica della Santissima Annunziata del Vastato a Genova. Qui, la tradizione napoletana incontra la realtà ligure, dando vita a una rappresentazione della Natività che vibra di significato e attualità.

Il presepe nel suo insieme. Foto di Anna Armenise.

Le figure di Gesù, Maria, Giuseppe, i tre Magi e gli angeli sono state scolpite in legno con dettagli preziosi come gli occhi in vetro, create appositamente negli storici laboratori napoletani. Sullo sfondo, un rudere con tre colonne bianche evoca l’architettura della basilica stessa, simbolo del luogo di preghiera dove ogni sera si riunisce la comunità di Sant’Egidio. Questa Natività raccoglie in un abbraccio Genova e Napoli, due città lontane ma unite dal messaggio universale di accoglienza e solidarietà.

Nel presepe sono riconoscibili angoli iconfondibili di Genova: le vie strette di Sottoripa, la chiesa di San Matteo, la Lanterna e Porta dei Vacca.

Al centro la chiesa di San Matteo. Foto di Anna Armenise.

È tra queste strade che si muovono le figure0 degli abitanti, immersi nella loro quotidianità e nel servizio ai più poveri. Attorno alla mangiatoia, le statuine raccontano il messaggio evangelico di Matteo: poveri, forestieri, ammalati, carcerati, affamati e assetati – sono loro i protagonisti di questa scena, ciascuno con la sua dignità, rappresentato con delicatezza e realismo.

La Lanterna domina la scena. Foto di Anna Armenise.

Ai due estremi della scena, quasi in un abbraccio a Gesù bambino, mani amiche portano un piatto caldo a chi ha fame e sete, come ogni giorno Sant’Egidio fa nelle mense di via delle Fontane e per le strade della città. E sotto la Natività, in una stanza nascosta, troviamo i “forestieri” intenti a raccontare le loro storie di speranza, proprio come avviene nelle scuole di lingua e cultura italiana che Sant’Egidio gestisce per i migranti nel centro storico e a Sampierdarena.

Nella rappresentazione della “casa famiglia”, una donna anziana attende con gioia chi le porta affetto, e accanto a lei c’è un uomo dalla pelle scura, malato di Aids, che grazie alle cure del Programma Dream di Sant’Egidio tornerà a vivere – un richiamo alla speranza offerta a tanti in Africa.

A destra del presepe troviamo i “carcerati” e a sinistra i “nudi” che aspettano vestiti, proprio come avviene nei Centri “Genti di Pace”.

In primo piano dettagli del presepe. Foto di Anna Armenise.

E infine, dietro la Sacra Famiglia, i “piccoli” giocano alla Scuola della Pace, seguiti dallo sguardo attento di un giovane amico.

Questo presepe è una testimonianza di vita autentica, che ricorda a tutti che Gesù non nasce in un palazzo lussuoso, ma nei luoghi dimenticati e poveri – come lo erano i ruderi di Napoli un tempo e come lo sono oggi tante periferie. È un invito a vivere l’Avvento come un’attesa attiva, che ci spinge a “uscire” verso chi è meno fortunato, onorando, come ci ricorda papa Francesco, il corpo di Cristo nelle membra dei poveri.

Comunità di S. Egidio. Piazza della Nunziata 4. Natale 2019

In Copertina: Foto di Anna Armenise

Volto di Vergine Sotto le Murette

Sarzano costituisce il nucleo più antico dell’abitato del centro storico genovese.

Qui testimonianze di remote vestigia medievali sono visibili un po’ ovunque.

Fa strano quindi incontrare in vico Sotto le Murette una Madonnina di recente fattura.

Percorrendo infatti le Murette, le mura risalenti all’epoca del Barbarossa, sulla sinistra al centro di una finestrella chiusa da una grata, compare una testa della Vergine, a dire il vero un po’ inquietante, realizzata negli anni 90′ del secolo scorso.

In Coperina: la Madonna in Vico Sotto le Murette.

Storia del Cimitero di Murta e del suo roseto

Il roseto all’interno del cimitero di Murta costituisce la principale attrazione del percorso della via delle Rose che si snoda tra Trasta e Murta.

Tale passeggiata che parte dal nuovo ponte sul Rio Ciliegio a Trasta, edificato dal Comune di Genova nel 2022 dopo il crollo del precedente piccolo secentesco ponte, può essere anche una valida e piacevole alternativa per raggiungere la Festa della Zucca a Murta.

Lungo il sentiero che si arrampica lungo la collina si possono ammirare delle piccole collezioni di rose e diverse specie arboricole evidenziate da appositi cartelli esplicativi.

Rose.

Altre rose.

Con il suo simbolismo di gusto ottocentesco, il cimitero di Murta può essere considerato a tutti gli effetti un cimitero monumentale. Edificato nel 1835 per ottemperare alle nuove disposizioni del Regno di Sardegna in merito alle sepolture, rimase in attività fino agli anni ’90 quando fu ufficialmente radiato.

La maggior parte delle sepolture, ancora in discreto stato di conservazione, nonostante l’abbandono e il vandalismo, risalgono alla fine del 1800 e ai primi anni ’30 del 1900. Il tema floreale delle decorazioni è evidente nelle incisioni e nei bassorilievi presenti su molte lapidi.

Ancora rose.
Sempre rose.

Tra gli elementi che caratterizzano il cimitero troviamo i lumini in stile Liberty, in ferro con vetrino rosso e le sepolture a forma di piramide a gradoni. Molto interessanti le ringhiere e le catene in ferro battuto che circondano alcune delle sepolture più ricche. I muri perimetrali, in parte ancora originali, mostrano le tracce delle prime sepolture: croci e cornici che si intravedono sotto le tombe più recenti.

Interno del cimitero.

Due statue, in parte rovinate dal tempo, sono tra gli elementi di maggiore pregio con la croce centrale.

Tra le sepolture è presente quella di Maria Massuccone Mazzini, parente di Giuseppe, da cui il titolo alla via principale di Murta. L’ossario, situato sul lato opposto all’ingresso, è in stato di degrado, come la cappella mortuaria, ormai perduta.

Qui si trovano anche le tombe della famiglia Crosa, originaria di Trasta, avi della mia consorte.

Il Portale, restaurato recentemente, è di gusto neoclassico: ai lati del frontone due urne che simboleggiano il corpo inteso come contenitore dell’anima.

Il cimitero è stato dichiarato luogo di interesse culturale dalla Soprintendenza per i Beni Storici e Paesaggistici della Liguria il 9 aprile 2013.

Sullo sfondo il campanile della chiesa di San Martino di Murta.

Interno del cimitero. La tomba di Massuccone è quella costruzione bianca a centro sullo sfondo.

Ahi! sugli estinti | non sorge fiore, ove non sia d’umane | lodi onorato e d’amoroso pianto. (88-90). Cit. da I Sepolcri di Ugo Foscolo.

Spiegazione della tipologia di rose presenti nel roseto.

Tutte le foto sono dell’autore.

In Copertina: il tratto terminale della salita prima di arrivare a Murta. Foto di Antonio Corrado.

Genova Novembre 2023

Salita San Siro

Lasciata alle spalle l’indaffarata via Cairoli svoltando in direzione della chiesa di San Siro si imbocca la Salita che porta il nome del santo tra i primi vescovi di Genova. Da lì, inizia un percorso che sembra un viaggio nel tempo, conducendo fino al cuore di Fossatello, tra vicoli che raccontano secoli di storia.

La Salita di San Siro infatti è uno di quei luoghi dove la storia di Genova si respira ancora a ogni passo:

correva l’anno 1436 quando il popolo della Superba si ribellò contro il tiranno Opizzino d’Alzate, un evento che ha segnato profondamente la città.

A testimonianza di quel momento epico, una lapide all’altezza del civ. n.8, si erge in memoria della rivolta, custode di un passato che si intreccia con le pietre di questa antica strada.

Camminando, è impossibile non notare le tracce del tempo: cornici di archetti in laterizio, resti di una bifora con una colonnina marmorea che ancora resiste, accompagnata dal suo capitello. Accanto, i segni di un’edicola in stucco, la cui base in ardesia narra di un’architettura perduta.

Perduta non è invece in questi caruggi la memoria di un tumultuoso ma glorioso passato.

In Copertina: Salita di San Siro. Foto di Stefano Eloggi.

Vico de Gradi

Vico de Gradi si interseca con vico del Filo e si trova nel dedalo di caruggi compreso tra San Lorenzo e Canneto il Curto.

Il piccolo vico in parte occupato dai tavolini di elegante locale ( Nouvelle Vague ristorante, enoteca, bar, musica dal vivo e libreria) deve il suo nome all’omonima famiglia di origini lombarde che aveva qui, a partire dal 1450, le sue dimore in città.

Nel 1528 con la riforma degli Alberghi confluiscono nella casata dei Cicala.

Da tempo risultano estinti.

In Copertina: Vico de Gradi. Foto di Antonio Corrado.

La Scalinata delle Tre Caravelle.

La realizzazione della scalinata monumentale rientra nell’ampio progetto di urbanizzazione che coinvolse l’intera area adiacente al torrente Bisagno e al quartiere della Foce, tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. Progettata e costruita tra il 1922 e il 1938 dall’architetto e urbanista Alfredo Fineschi, con la collaborazione del padre Pietro, l’opera si inserisce in un contesto di ammodernamento della città.

I due architetti operarono ampiamente a Genova, realizzando, tra l’altro, anche l’attiguo palazzo razionalista che oggi ospita la questura.

Qui sorgeva il raccordo tra le antiche mura cittadine, conosciute rispettivamente come Mura Vecchie Mura Nuove.

Questo tratto si sviluppava con una serie di terrazze orizzontali, collegando il cinquecentesco bastione delle Cappuccine alle seicentesche Fronti Basse.

Queste ultime furono spianate nel 1892, e circa trent’anni dopo la zona venne risistemata nell’assetto che ancora oggi ammiriamo.

Nel 2010 la zona è stata oggetto di un intervento di riqualificazione.

La scalinata, di ampie dimensioni, è composta da due ariose rampe separate da un’aiuola inclinata su più livelli e coltivata a prato inglese. L’aiuola è suddivisa verticalmente in tre sezioni, precedute da una quarta decorata con àncore stilizzate. In ciascuna delle tre sezioni spicca un motivo che richiama simbolicamente le tre caravelle utilizzate da Cristoforo Colombo nella sua impresa della scoperta dell’America nel 1492. Le caravelle sono raffigurate attraverso decorazioni floreali all’interno delle aiuole stesse.

La scala monumentale si apre di fronte al maestoso Arco della Vittoria, un arco di trionfo dedicato ai caduti della prima guerra mondiale, che domina il centro della sottostante Piazza della Vittoria.

Le tre caravelle, perpendicolarei alla sottostante via intitolata ad Armando Diaz, si innalzano sul lato destro del Liceo Classico Andrea D’Oria e sul lato sinistro del palazzo della Questura.

Un ampio giardino si estende verso le mura delle Cappuccine, proseguendo fino a raggiungere la spianata di Carignano.

In Copertina: la scalinata delle tre caravelle. Foto di Sergio Pippi.

Via di Scurreria (la nuova).

La via di Scurreria venne aperta nel XVI sec. per volontà di Gio. Giacomo Imperiale per dare un accesso più consono al suo sontuoso palazzo di Campetto.

La zona infatti anticamente nota con il nome di contrada scutaria (odierna Scurreria la Vecchia) perché sede delle officine degli scudai, era un dedalo intricato di stretti caruggi. In un secondo momento nel quartiere si aggiunsero anche le botteghe dei “Toscani”, come erano comunemente indicati i setaioli.

L’inizio della via, dove oggi si trova la farmacia del Duomo, costituiva infatti la piazzetta dei Toscani. Durante alcuni lavori di ripristino della sede stradale avvenuti nel 1843 vennero rinvenute in questo tratto di strada tombe, urne cinerarie in terracotta di epoca preromana e monete romane.

La famiglia Imperiale, molto ricca ed influente anche in oriente, possedeva, come testimoniato dalle iscrizioni sparse qua e la, quasi tutti i palazzi della strada.

All’angolo infatti fra Scurreria e Campetto una lapide certifica i lavori di ampliamento della via:

Io. Iacobvs Imperialis Vincentii . / Pvblico Privatoq. Comodo ac Vrbis Decori / Prospiciens Qvam Plvrimis Domibvs Coe(mp)tis, / et Dirvtis. Viam Hanc, Cvi Ab Avctoris / Familia Nomen Inditvm, Aere Svo / Faccendam Ornandam Sternendamq. / Cvravit. An. Sai. MDXIIIC.

In Copertina: Via di Scurreria con sullo sfondo Palazzo Imperiale. Foto di Stefano Eloggi.

Il Presepe di pietra di Arenzano.

L’entroterra di Arenzano si trasforma così nella scenografia della Natività, con terrazze, ripari e rifugi ricostruiti fedelmente grazie alla tecnica, oggi padroneggiata da pochi, dei muretti a secco.

Un’opera realizzata da Benedetto Damonte, con il supporto di Ino Caviglia, Francesco Damonte e altri collaboratori: il presepe, esposto per la prima volta nel 2016 nella vetrina di una gastronomia, ha riscosso così tanto successo che negli anni si è ampliato, diventando un autentico patrimonio di Arenzano, ora esposto nella sede dello IAT sul lungomare.

Il Rifugio Scarpegin, il Riparo Beppillo, la Ca’ da Gava, la Torre dei Saraceni, Ai Belli Venti e molti altri luoghi della memoria nel “presepe di pietra” di Arenzano, diventano così familiari protagonisti.

In Copertina: Il Presepe di Pietra di Arenzano.

Piazzetta del Ninfeo

Situata alle spalle di via Ravecca si trova la Piazzetta del Ninfeo alla quale si accede da una scalinata che si arrampica nel palazzo all’altezza del mercato di Piazza Sarzano.

L’origine del toponimo non è legata ad alcuna artistica fontana o scultura, bensì omaggia il fecondo accordo avvenuto nel 1261 nella residenza imperiale del Ninfeo (località dell’ odierna Turchia nei pressi di Smirne).

Secondo tale patto il capitano del popolo Guglielmo Boccanegra stipulava alleanza con l’imperatore bizantino Michele VIII Paleologo.

In virtù – appunto – del Trattato del Ninfeo Genova, nella guerra contro gli imperatori latini, si impegnava ad appoggiare con una potente flotta il monarca bizantino.

Di contro quest’ultimo garantiva in cambio l’allontanamento delle potenze concorrenti (pisani a parte) e privilegi commerciali tali da consentire ai Genovesi il controllo marittimo (a danno dei Veneziani) degli accessi al Mar Nero.

Il campanile di S. Agostino visto dalla scaletta di accesso alla piazzetta. Foto di Stefano Eloggi.

Tale piazzetta è frutto dell’opera di recupero della zona pesantemente devastata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale effettuata l’ultimo decennio del secolo scorso.

Gli architetti hanno cercato, seppur rinnovando e reinventando lo spazio, di mantenere la storicità del luogo. Le case infatti decorate nei tradizionali colori pastello sono di dimensioni tutto sommato rispettose del contesto.

La piazzetta ha conservato la sua vitalità, oltre infatti ad ospitare alcune associazioni, spesso è presidiata da bambini che giocano al pallone o che scorrazzano con le biciclette.

Da qui si possono ammirare brani (in direzione della Salita della Fava Greca) originali delle Mura del Barbarossa, la cupola di Santa Maria Assunta di Carignano e il campanile di S. Agostino.

In Copertina: Piazzetta del Ninfeo. Foto di Rossano Garibotti.

I Segreti di Via Fontane

In una mattina tersa, di quelle che tingono Genova di una luce dorata, Via delle Fontane si svelava in tutto il suo antico fascino. Strada poco frequentata dai turisti, eppure intrisa di storia, collega Via Gramsci con Piazza dell’Annunziata, dove la chiesa omonima si erge con il suo sfarzo barocco. All’esterno, modesta e severa, ma varcando la soglia, esplode in un trionfo di marmi, ori e affreschi, a celebrazione della sua florida esistenza.

Il nome della via trae origine dalle fontane pubbliche che un tempo qui gorgogliavano, alimentate dalle acque fresche del rio Carbonara. Acqua pura, limpida, che scorreva giù dalle alture per dare ristoro ai viandanti, ai mercanti e agli abitanti del quartiere. E come quella stessa acqua fluiva incessante, così la storia di questa strada ha attraversato i secoli, trasformandosi insieme alla città.

L’Annunciazione.

Sotto il porticato dell’edificio che oggi ospita l’Aula Magna dell’università, vi è un’antica lapide dell’Annunciazione, la cui datazione rimane incerta. Quell’edificio, oggi rifatto e modernizzato, racconta di un passato che si intreccia con la spiritualità e il potere. Era la millenaria chiesa di Santa Fede, le cui radici affondano nel lontano periodo del cristianesimo primitivo. Al suo posto, un tempo, sorgeva un tempio pagano, dove si veneravano antichi dei, ma dal 1142 venne affidato ai Cavalieri del Santo Sepolcro. Quei cavalieri, uomini di fede e di spada, qui pregarono e partirono per terre lontane, verso Gerusalemme, in nome della croce.

Il campanile di S. Fede.

Nel 1614, Santa Fede fu ricostruita in splendide forme barocche, ma il suo destino sarebbe cambiato radicalmente negli anni a venire. Napoleone, con la sua lunga ombra, la trasformò in una stalla, come se volesse cancellare in un sol colpo la sacralità di quei marmi, quegli affreschi e quel silenzio. Abbandonata, dimenticata, la chiesa cadde in rovina, finché nel 1926 venne sconsacrata e adibita a deposito di vini.

I suoi tesori, le opere d’arte, i marmi, vennero trasferiti nella nuova chiesa di Santa Fede, che oggi si trova in Corso Sardegna, nel quartiere di Marassi. Oggi, quella che un tempo fu una gloriosa chiesa, ospita uffici comunali, con le sue tre navate e un piccolo chiostro sul retro, testimoniando una storia di trasformazione e rinascita.

Ma Via Fontane non ha smesso di custodire i suoi segreti. Al civico 36a/r, proprio lì dove oggi sorge una palestra comunale, si ergeva un tempo la piccola chiesa di San Tommaso e l’oratorio delle Cinque Piaghe. Ancora oggi, per chi sa guardare, si possono riconoscere tracce di decorazioni esterne e un’antica edicola che un tempo ospitava un grande affresco, ormai scomparso. Ma nel cortiletto, sopra la porta, si scorge ancora una lunetta raffigurante la Madonna Assunta, segno di una devozione mai del tutto sopita.

L’oratorio delle Cinque Piaghe.

Sul fronte dell’oratorio, custodita in un tabernacolo, si trova la statua di San Tommaso. La sua tunica reca una grossa “T”, simbolo inequivocabile, e la statua, sebbene mutila del braccio destro, continua a vegliare su quel luogo come un antico guardiano. Chi passa di lì raramente si ferma a osservarla, ma per chi conosce la storia, quella statua è il segno di una presenza silenziosa, che attraversa i secoli, immune al tempo.

Via Fontane, con il suo intreccio di chiese, oratori, antichi templi e storie di cavalieri, rimane una testimonianza vivente di come Genova sappia fondere il sacro e il profano, il passato e il presente, in un eterno abbraccio.

In Copertina: Via delle Fontane. Foto di Stefano Eloggi.