Quando nel 1841 Alexandre Dumas (padre), allâetà di 39 anni, giunse a genova era già uomo di un certo successo.
E pensare che non aveva ancora scritto i suoi capolavori e nemmeno fatto amicizia con il Generale Giuseppe Garibaldi per il quale nutriva una profonda stima.
Lâautore de âI Tre Moschettieriâ e âIl Conte di Montecristoâcosì annotava nei suoi appunti raccolti in âGenova la superbaâ:
âGenova viene, per così dire, incontro al viaggiatore … Una città che s'è data da sola il soprannome di “Superba” e che da sei o sette leghe già si scorge all'orizzonte, distesa in fondo al suo golfo con la noncurante maestà d'una regina … Quale fu la causa del lusso quasi incomprensibile di palazzi che il viaggiatore trova sparsi sulla sua strada con la stessa profusione delle villette nei dintorni di Marsiglia? Furono le leggi sumptuarie della repubblica [di Genova] che proibivano di dar feste, di abbigliarsi di velluti e di broccati e di portar diamanti; tali leggi non si estendevano oltre le mura della Capitale e perciò il lusso di quei turbolenti ed orgogliosi repubblicani si era rifugiato in campagna.
“Dumas racconta garibaldi. Gli dedicò due libri: Memorie redatte nel 1860 e I garibaldini scritto, lâanno successivo, al seguito della spedizione dei Mille”.
In data 28 maggio 1860, il cinquantottenne Alexandre Dumas, da Genova – dove era giunto dodici giorni prima a bordo della sua goletta “Emma” -, annotava in una pagina di diario che poi avrebbe riportato nel volume Les garibaldiens:
“L'Hotel de France in via al ponte reale”. Cartolina tratta dalla collezione di Stefano Finauri.
In Piazza Matteotti, accanto al palazzo Ducale, si affaccia la chiesa insieme all'Annunziata, più importante del Barocco europeo, la chiesa del Gesù. Dentro a questo edificio sono racchiusi capolavori secenteschi da far invidia a qualunque museo.
“Il fastigio sopra il portone che attesta le opere di ristrutturazione dei Gesuiti”.“Statua di Sant'Ambrogio”.“Statua di Sant'Andrea”.
In realtà il nome completo dellâistituto è chiesa dei Santi Ambrogio e Andrea. In origine venne costruita nel â500 d. c. dai vescovi milanesi in fuga dalla loro città minacciata dai longobardi.
“Le cupole interne affrescate in ogni cm. disponibile”.
Il Vescovo Onorato nel 569 trasferì la diocesi lombarda al sicuro fra le mura di Genova stabilendosi sul brolio, accanto al piano di S. Andrea e intitolando la chiesa al patrono di Milano, S. Ambrogio. Circa un millennio dopo nel 1552, la chiesa passò nelle mani del più influente ordine del tempo, quello dei Gesuiti, la cui potenza e ricchezza erano in continua espansione. Dal 1589 assunse le forme ancora attuali, facciata a parte, che venne ridisegnata nel sec. XIX dopo la demolizione della cortina di protezione del palazzo Ducale (il palazzo ducale comunicava quindi non solo con San Lorenzo, la cattedrale, ma anche con la chiesa del Gesù, il fulcro del potere gesuitico) e la relativa risistemazione della piazza. I disegni del prospetto esterno realizzati da Rubens vennero dall'artista stesso inseriti nel suo celebre trattato sui palazzi di Genova.
La classica facciata sulla quale spiccano le due statue dei santi del 1894 del Ramognino non rende giustizia su quale sfarzo e opulenza vi si possa trovare allâinterno:
Cupola e navata principale sono affrescati da Giovanni Carlone e giovanni battista carlone, mirabilmente inserite in un contesto di decori, stucchi e ori abbaglianti. Sullâaltare principale campeggiano âLa Circoncisione di Gesùâ, capolavoro di Rubens, âLa Strage degli Innocentiâ del Merano e âLa Fuga in Egittoâ di Domenico Piola.
“La Crocifissione del Vouet”.
Nella navata di destra, nella prima cappella, affreschi del Galeotti e il dipinto âS. Ambrogio caccia lâimperatore Teodosioâ di Giovanni Andrea de ferrari. Le statue delle nicchie sono del Borromeo e di Domenico Casella.
Lâaffresco della seconda cappella è opera di Lorenzo de Ferrari ed una âCrocifissioneâ del Vouet. Lunette dellâarco esterno affreschi e statue del Carlone e della sua bottega.
“Il Miracolo di Sant'Ignazio (di Loyola fondatore dell'ordine gesuitico) di Rubens”.
Sullâarco della terza cappella âLâAssunzioneâ di Guido Reni, affreschi del De Ferrari ed altre statue dei De Ferrari.
“L'altare con la Circoncisione di Rubens”.
“L'Assunzione di Guido Reni”.
Dal lato opposto, nella quarta cappella della navata di sinistra âIl Martirio di S. Andreaâ del Piaggio e di Andrea Semino, tela cinquecentesca, nella terza cappella gli affreschi del Carlone e âSant'Ignazio guarisce un ossessaâ di Pieter Rubens.
Nella seconda cappella âIl Martirio di San Giovanni Battistaâ di Bernardo Castello, âIl Battesimo di Cristoâ di Domenico Passignano e statue rappresentanti Elisabetta e Zaccaria di Taddeo Carlone. Nella prima cappella affreschi di Lorenzo De Ferrari e il âSan Francesco Borgiaâ di Andrea Pozzo.
Nella cantoria infine oltre allâorgano, sono presenti sculture della bottega dei fratelli Santacroce e altre opere di Domenico Fiasella e, nella cappella di testata a sinistra, di Valerio Castello.
“Bagliori e giochi di luce della Circoncisione”.
Non un solo centimetro risulta non stuccato, decorato, dipinto. Un trionfo di luci ed ombre con giochi di chiaroscuri mai visti prima, che trova il suo apogeo nella Circoncisione di Rubens. Il morbido e sensuale dipinto che sembra brillare di bagliori ultraterreni.
Poco più di un secolo fa, allâinizio del â900, accanto al teatro âGaribaldiâ vâera un piccolo caffè frequentato da un tale a tutti noto con il nome di âBaccicin de lâaeguaâ. Ovviamente si trattava di un soprannome ironico visto lâinesistente rapporto che il nostro eroe aveva con lâacqua alla quale preferiva senza dubbio alcuno il nettare di Bacco. Baccicin soleva spesso dire: âSe io fossi il conte raggio, metterei i recipienti del vino sul tetto del palazzo, al posto delle cisterne dellâacqua. Pensate che bello, aprire il rubinetto del lavandino e veder venir giù del Barberaâ.
Baccicin sovente brillo si appostava allâangolo dei vicoli di Via Garibaldi dove teneva comizi e sproloqui su qualsiasi argomento fino a che non veniva costretto dai vigili a sloggiare. âSe fuise u cunte Raggio non me mandiesci via..â rispondeva risentito al cantunè di turno e nellâallontanarsi barcollante verso la maddalena canticchiava:
âO Baccicin vattene a ca, to moè a tâaspeta.
Baccicin vattene a ca.
E a tâha leasciou u lumme in ta scaa..â.
Il suo sogno era diventare ricco, ormai lâavete capito, come il conte Raggio per riempire di vino i recipienti del suo palazzo e per questo giocava al lotto tutto quello che, tra guadagni ed elemosine, riusciva ad arraffare qua e là . Non sapendo leggere chiedeva ai passanti di comunicargli la sequenza dei tre numeri estratti. Fu così che un giorno gli amici gli giocarono un brutto scherzo. Riuscirono ad impadronirsi del cappello del malcapitato dove era nascosta la ricevuta dei numeri giocati ed inscenarono un tiro mancino molto ben orchestrato alle sue spalle al quale presero parte diversi personaggi..
Uno sconosciuto con in bella vista il giornale âIl balillaâ interrogato dal Baccicin lesse, guarda caso, i numeri giocati dal poveretto che, superato il momento di incredulità , strappò dalle mani del tizio il giornale e corse euforico giù per il caruggio, irrompendo nel piccolo caffè dove tutti, a conoscenza dello scherzo, lo attendevano.
La vicenda finì sulla bocca di tutti e persino il Balilla pubblicò una parodia del mancato vincitore. Oltre al danno anche la beffa da âmacchiettaâ a âzimbelloâ.
Passarono gli anni e con essi anche la prima guerra mondiale e Baccicin, incurvato dagli anni e afflosciato dalle delusioni era ormai lâamara caricatura di se stesso. Continuò, fino allâultimo dei suoi giorni a chiedere lâelemosina, bofonchiando una nenia incomprensibile, nella zona antistante il palazzo della meridiana.
Quella nenia recitava: âO Baccicin, vattene a ca, o Baccicin vattene a caâ¦â
Si tratta indiscutibilmente di uno dei luoghi di culto più affascinanti della città . Collocata sotto la collina di castello, a ridosso del Mandraccio, la chiesa dei SS. Cosma e Damiano nella sua lineare architettura romana, gioca a nascondino fra i caruggi.
“Il prospetto della chiesa”.
Un tempo la zona era nota con il nome di âcontrada serpeâ ed era puntellata di abitazioni turrite, dimore strategiche delle famiglie più in vista dellâepoca: Malloni, Della Volta, Della Chiesa, Zaccaria, Castello.
“L'altare principale collocato nell'abside spoglia”.
La struttura, come del resto gran parte della zona, venne pesantemente danneggiata durante il bombardamento del re Sole del 1684, il chiostro distrutto. I bombardamenti dal 1942 al 1944 completarono lo scempio causando la perdita dâimportanti dipinti, come elencato nellâinventario della chiesa, di Giovanni Roos, Domenico Castello e Domenico Fiasella.Â
Interessanti sono le sculture poste sul portale datate intorno al 1155, le più antiche dell'edificio. Lâarchitrave è il reimpiego di una cornice romana arricchita da un motivo a mosaico in marmi policromi. Particolari poi, sui capitelli del vestibolo di destra, le sculture di una sirena-uccello e di una sfinge dal volto femminile. Il resto della costruzione è risalente al â200.
La storia di questa chiesa risale alla notte dei tempi, intorno al VII sec. d. c. quando venne intitolata una cappelletta al vescovo di Pavia San Damiano. La fabbricazione vera e propria del tempio avvenne, come testimoniato dai documenti di fondazione, solo nel 1049. Durante il secolo successivo la chiesa raggiunse il suo apogeo con la costruzione del portale, lâerezione della torre nolare e lâinserimento del rettore fra gli aventi diritto alla votazione per lâelezione del Vescovo.
Nel 1296 le famiglie Mallone e Spinola donarono le reliquie, provenienti da Costantinopoli, dei due fratelli martiri, Damiano e Cosma che divennero così i santi cointestatari dellâedificio. Essendo i due i patroni dei chirurghi e dei barbieri, dal 1476 le relative corporazioni vi stabilirono la comune cappella della propria consorteria.
“Le colonne a lesene bianco nere”.“il presepe ricavato all'interno della tomba del Barisone”.
La facciata a capanna, in pietra, tripartita da lesene nella parte superiore, presenta in basso un basamento nel quale sono ricavate tre tombe ad arcosolio con arcate a tutto sesto del XII sec. ed una con arco acuto retto da colonnine gotiche, con decorazione a bande bianche e nere, detta “tomba del Barisone”, realizzata durante la ristrutturazione del XIII sec. Durante lâanno è spesso abbellita da addobbi floreali, nel periodo natalizio nobilitata da un grazioso presepe.
Nella facciata si aprono due monofore in alto un finestrone semicircolare, realizzato nel XVII sec., quando venne costruito il tetto in muratura in sostituzione di quello originario a capriate lignee, distrutto dal bombardamento francese del 1684.
“La Madonna del Soccorso di Barnaba da Modena”.“La secentesca tela dell'Assereto”.
Nellâabside di sinistra è situato il fonte battesimale medievale scolpito nel marmo mentre sullâaltare spicca la statua marmorea della Madonna Immacolata del XVII sec. del marsigliese Pierre Puget, apprezzato autore di simili opere nell'Albergo dei Poveri e nell'Oratorio di San Filippo Neri.
Per gli amanti della musica merita menzione il settecentesco organo a canne.
Sul pavimento si nota un disegno particolare: il teschio e le tibie incrociate il simbolo del jolly roger adottato dai pirati.
Ai SS. Cosma e Damiano il gioiello incastonato nella pietra, dove un tempo lâonda frangeva sulla scogliera, si respira ancora lâodore di salsedine e si raccontano ancora storie di pirati.
non era ancora stata intitolata alla moglie dell'eroe dei due mondi… quando il Promontorio di portofino e la torre gropallo si sorvegliavano a vicenda… intenti a scrutare l'orizzonte.
La passeggiata a mare infatti, portava allora il nome, in onore dei Savoia, “Principessa di piemonte” (fino al 20/4/1944) poi, durante la repubblica di Salò, “X Flottiglia Mas”, in omaggio al valoroso corpo militare della marina. Poco dopo la liberazione di genova la Promenade venne definitivamente dedicata ad Anita Garibaldi (19/6/45), coraggiosa e fedele compagna del Generale.
La cinquecentesca torre che ospita oggi alcune associazioni (Lega Navale e Alpini del quartiere) era nota invece con il nome di “torre del fieno”, per via del combustibile usato per produrre segnali di fumo e comunicare a tutto il litorale gli avvistamenti di pirati e nemici. Mutò nome a metà dell'800 in onore del promotore della scenografica passeggiata, il Marchese Gropallo che l'aveva acquistata.
Giacomo doria c'erano dei giardini botanici, serre e frutteti… quando in tempo di guerra gli orti vennero adibiti alla coltivazione della patata, alimento indispensabile nell'indigenza del momento… quando Viale Brigata bisagno non era stata ancora intitolata all'omonima formazione del Regio Esercito della prima guerra mondiale e il rettifilo allora si chiamava Via del Prato.
“Il serioso prospetto del museo. Ai lati della statua di Minerva, dea della scienza, gli stemmi di genova, a sinistra e sabaudo, a destra”.
Il museo venne istituito nel 1867 (il primo domicilio fu presso villetta dinegro, nel 1912 venne trasferito nell'attuale sede) per volontà di Giacomo, l'ultimo membro di tal nome, degno della schiatta dei Doria, che volle donare alla città la sua inestimabile collezione di animali, rocce, fossili, minerali e varietà botaniche unica in italia a quel tempo, di oltre quattro milioni di esemplari.
è proprio il caso di dirlo visto che le attività concernenti la ricezione e la distribuzione del pesce sono state recentemente trasferite a Cà de Pitta, vicino ai macelli… quando tra il 1933 e il 1935 l'architetto Mario Bracciolini concepì la moderna, per l'epoca, struttura, in grado di soddisfare le esigenze del settore.
Piazza del Ferretto prende il nome dalla nobile famiglia che nel 1705 diede alla Repubblica il doge Stefano Onorato e lâabate Gio. Nicolò fondatore nel 1795 della scuola per fanciulle povere in San Francesco dâAlbaro.
“La loggia ogivale del XIII sec. in Piazza del Ferretto”.
Allâangolo con Salita Pollaiuoli si possono ammirare i resti di una loggia del XIII sec., una grande arcata ogivale in pietra con cornice di archetti. Ai piani nobili sono state aperte quattro finestre posteriori che hanno stravolto le arcate in conci bicromi di laterizio originarie. Agli ultimi due piani resistono ancora tracce a fresco di decorazioni architettoniche con cariatidi di epoca successiva. Un tipico esempio dei mutamenti e del sovrapporsi di usi e stili avvenuti nei secoli. Da loggia mercantile con magazzino e rivendita, a residenza nobiliare.
La salita e la piazza dei Pollaiuoli devono invece il nome alle botteghe di cacciagione, selvaggina e pollame presenti nella zona fin dal 1600 allâepoca dellâapertura del caruggio stesso. In precedenza infatti queste attività erano site in piazza San Giovanni il Vecchio, accanto alla Cattedrale di San Lorenzo e prima ancora, già dal XII secolo, in Soziglia.
Allâinterno del ristorante âSapori di Genovaâal 17r, (un tempo si chiamava Garofano rosso, di qui il simbolo del Partito), si legge una lapide che racconta della fondazione, in occasione della quale ci fu la scissione con gli anarchici, proprio a Genova, del Partito Socialista Italiano:
“La targa all'interno del locale che, un tempo, si chiamava il Garofano Rosso”.
âLa Sera del 14 Agosto 1892/ I Delegati di 150 Associazioni Operaie/ del Mutuo Soccorso e Sociali/ Lasciata Sala Sivori/ si Riunirono in Questa Trattoria/ e qui Decisero di Indire il Giorno Dopo/ 15 Agosto 1892/ nella Sala dei Carabinieri genovesi in Via della Pace/ il Congresso di Fondazione / del Partito dei Lavoratori Italiani/ Partito Socialista Italiano/ 14 Agosto 1892. 14 Agosto 1892.
La Sala Sivori che venne inaugurata nel 1869 con un concerto di camillo sivori, celebre virtuoso del violino ed a questi intitolata, esiste ancora ed è attualmente occupata da un cinema.
“Edicola barocca secentesca con Sant'Antonio da Padova e Santa Caterina Fieschi”.
Proprio nella piazza al n. 8 si trova una delle edicole più note, quella che ritrae SantâAntonio da Padova e Santa Caterina Fieschi. Lâovale in stucco contiene i due santi rivolti in adorazione al bambino. SantâAntonio in ginocchio su una nube, bacia la mano del bambinello. Santa Caterina poggia su un inginocchiatoio coperto da un bel drappeggio. In mano porta, in atteggiamento estatico, il cuore. Gesù poggia su una nuvoletta dal quale spuntano quattro teste di cherubini alati. La grande cornice sagomata che racchiude la scena è sorretta da due angeli alati mentre angioletti e cherubini alati spuntano dalle nubi. Completano lâimmagine una grande raggiera in legno coperta da un tettuccio in lamiera lavorato.
“Interni in stile Liberty”. Foto di Leti Gagge.“Interni della Grotta di porcellana di Dino Campana”. Foto di Leti Gagge.“Specchi, specchi e ancora specchi”. Foto di Leti Gagge.
Allâangolo con via canneto il lungo i resti di due teste di cherubini di unâaltra Madonna Immacolata, anchâessa sparita. Il tabernacolo è completamente abbandonato ed ospita nidi di piccioni.
Al civ. n. 43r. il famoso Caffè degli Specchi, inaugurato nella conformazione attuale nel 1917, interamente rivestito di tasselli in ceramica con pareti e specchi dellâepoca. Spettacolare il soffitto a âgrottaâ che ha ispirato i versi di Dino Campana che qui amava spesso sostare:
âEntro una grotta di porcellana
Sorbendo caffè
Guardavo dallâinvetriata la folla salire veloceâ.
In precedenza invece il locale fu di proprietà di Felice Dagnino uno dei maggiori attivisti mazziniani in città . Intorno al 1870 il caffè divenne il principale luogo di ritrovo dei repubblicani che vi organizzavano incontri e riunioni per cospirare contro la monarchia.
“I versi del poeta esposti all'ingresso del Caffè”.
Logge mercantili, mercato avicolo, fonte dâispirazione per poeti, luogo di fondazione di un Partito e punto dâincontro per sovversivi repubblicani⦠e pensare che molti è solo una semplice salita come tante altre.