L’ho trovato intento ad ammirare perplesso il chiostro di S. Andrea e quando l’ho chiamato, si è rivolto a me con un’espressione smarrita, bofonchiando:
“E questo cos’è?, ai miei tempi non c’era! o meglio esisteva ma si trovava non lontano da qui, tra il colle di S. Andrea e Piazza San Domenico.
Non certo in Vico dritto di Ponticello!”
Mi ha guardato sconsolato dichiarandosi confuso molto più qui sulla terra ferma oggi che nell’oceano oltre 500 anni fa, che gli sembrava di aver abitato un tempo in questa zona e di aver riconosciuto l’antica Porta, senza però trovare la sua dimora.
– “Allora è vero che non lei non è genovese – lo provoco io – non vede la targa affissa su questa abitazione che certifica qui la sua permanenza?”
Mi fulmina col suo sguardo severo e autoritario e risponde con un tono che non ammette repliche:
– “Non scherzare amico, io sono nato a Genova nel 1451 da mio padre Domenico originario di Terrarossa una frazione di Moconesi in Val Fontanabuona e da mia madre Susanna proveniente da Fontanarossa, odierno quartiere di Quezzi in Val Bisagno (anche se altri insistono sull’omonimo toponimo della Val Trebbia).
Da piccolo ho abitato, così mi ha raccontato mio padre, in una casa in Vico dell’Olivella accanto all’omonima Porta di cui egli era custode.
Con la caduta in disgrazia per motivi politici del babbo ci siamo trasferiti – così raccontava mia madre, io avevo 4 anni e ricordo poco – in Ponticello, dove ci troviamo adesso, anche se a parte Porta Soprana fatico a riconoscere questi luoghi un tempo a me familiari.
Qui papà esercitava la professione del lanaiuolo e, per arrotondare, smerciava anche vini e formaggi.
Negli anni’70 i miei si sono spostati a Savona per prendere in gestione un’osteria ed io, fra un viaggio e l’altro, ho abitato con loro.
Visto che il mio primo ingaggio marittimo è avvenuto quando avevo 14 anni, già da tempo la mia casa infatti era diventata il mare”.
– “D’accordo Sig. Colombo ma a parte questi sbiaditi ricordi della sua infanzia come può – lo incalzo scettico – dimostrare i suoi natali?”
– “Giovanotto, innanzitutto, quando si rivolge ad un ammiraglio della Repubblica di Genova, del Portogallo, della Castiglia e di Spagna, si metta sull’attenti e rammenti che, dopo il re, è la più alta carica e autorità militare. Chiuda dunque quella bocca impertinente e mi stia ben a sentire:
durante la preparazione del quarto e ultimo viaggio per il Nuovo Mondo ho inviato il 2 aprile del 1502, per mezzo di Francesco Rivarolo, fidato e illustre banchiere mio concittadino in Sicilia, a Nicolò Oderigo, già ambasciatore genovese in Spagna, un plico contenente una raccolta di copie di lettere, una copia del Libro dei Privilegi, una lettera indirizzata al Banco di san Giorgio, una lettera per due altri miei amici genovesi e alcune istruzioni da trasmettere a Santiesteban a cui ho affidato il compito di conservare il tutto in un luogo sicuro e di metterne a conoscenza mio figlio Diego.
Inoltre, per tutelarmi da spiacevoli sorprese, ho affidato gli originali a Gasparre Gorricio perché li custodisse nel monastero di Las Cuevas a Siviglia.
Ne ho prodotto poi quattro copie: la prima l’ho lasciata ad egli stesso, la seconda ad Alonso Sanchez de Carvajal perché la portasse alle Indie, la terza ho chiesto appunto al Rivarolo di inviarla a Nicolò, al quale due anni più tardi ho inviato per maggior sicurezza anche la quarta.
Delle due copie genovesi – mi dicono – una è finita una in Francia requisita da Napoleone, l’altra invece dopo varie peripezie rimasta al Comune, è ora visibile nella mia città natale presso il Museo Galata”.
– “Parole, Eccellenza, soltanto parole. Ma di concreto, che documenti e prove ha accampato a sostegno della sua tesi che possano essere ancora oggi attendibili e consultabili a Genova? Verba volant scripta manent!”
– “Se lei fosse un marinaio del mio equipaggio avrei già punito la sua sfacciata arroganza che – per altro – è pari solo alla sua incommensurabile ignoranza, mettendola ai ferri a marcire in sentina, o al sole a bruciare sul ponte.
Perciò stia zitto, non mi interrompa con queste inopportune osservazioni e, soprattutto, non abusi della mia limitata pazienza!
Nel 1504 ho inviato a Siviglia per mezzo di Francesco Cetanio un’altra copia del Libro dei Privilegi con la raccomandazione di metterla al sicuro insieme alla precedente.
In quell’occasione consegnai a Francisco de Ribarol altre due lettere indirizzate al Banco di San Giorgio.
Benché il corpo cammini qui, il cuore sta lì di continuo.
Questo mio incipit, già la diceva lunga e non lasciavo spazi ad equivoci o fraintendimenti.
Nella missiva proseguivo informando i rettori del Banco che lasciavo a mio figlio Diego il compito di versare annualmente a Genova la decima parte della rendita che avrebbe ricavato dai suoi redditi e privilegi, in sconto delle gabella sul grano, sul vino e su altre provviste che gravavano sul popolo. Raccomandavo inoltre ai Protettori del Banco di vegliare su di lui”.
– “Ciononostante nei secoli successivi, Quinto, Savona, Cogoleto, Albisola, Terrarossa, Chiusanico, Cuccaro Monferrato Bettola e Piacenza, per non parlare di Calvi in Francia, hanno millantato i suoi natali.
Che dire poi delle sue presunte origini ebraiche sefarditiche, catalane, galiziane o andaluse in Spagna, portoghesi e cubane?”
– ” Tutte fandonie!
Ci mancava solo dicessero che fossi il figlio di un re in Polonia, o nipote di un Papa in Vaticano e poi le avrebbero trovate tutte pur di fregiarsi della mia fama”.
– “Non vorrei contraddirla – illustrissimo Viceré delle Indie – ma hanno già insinuato anche a questo: secondo i polacchi lei sarebbe Segismundo Henriques, figlio di Ladislao III re di Polonia; a Sanluri in Sardegna sostengono invece che lei sia Cristoval De Sena Piccolomini imparentato con il futuro Papa Pio II”.
A sentire questa serie di fantasiose sciocchezze l’esploratore del Nuovo Mondo, scuotendo il capo piuttosto contrariato, sentenziava:
– “Eppure già nel mio testamento datato 22 febbraio 1498 avevo messo per iscritto la raccomandazione rivolta a mio figlio Diego di adoperarsi sempre per il bene, l’onore e l’accrescimento della città di Genova, donde – soggiungi -trassi origine e nacqui”.
Prima di salutarci l’ho accompagnato in Darsena al Museo Galata nella sala a lui dedicata dove riposano le sue ceneri (ritornate da Santo Domingo) e sui moli a vedere il mare, il suo mare.
– “Per me, ammiraglio, oltre che un onore, è stato un piacere conversare con lei. Spero abbia perdonato la mia goliardica insolenza e non mi voglia annoverare fra i suoi detrattori?”
Avvolgendosi nel suo grande mantello di velluto nero il comandante mi ha congedato con gesto austero e, mantenendo comunque le distanze, come si addice ad un nobile del suo rango, ha proclamato orgoglioso con voce stentorea:
“Sun zeneize e no ghe mòllo”.
Chissà se mi avrà perdonato?
In copertina ritratto di Cristoforo Colombo eseguito nel 1520 da Ridolfo del Ghirlandaio esposto presso il Museo Galata di Genova.