O Mâ o l’è o mâ…

Quando si pensa ai Liguri l’associazione con il mare, vista la gloriosa storia della Repubblica marinara e dei suoi intrepidi naviganti, diventa imprescindibile.

Eppure i Liguri, che sono da considerarsi la più antica popolazione italica di cui si abbia notizia, erano essenzialmente dei montanari costretti per necessità a navigare.

La fonte più antica che cita i Liguri è rappresentata dalla versione di un frammento di Esiodo (fine VIII-inizi VII secolo a.C.), riportato da Strabone che cita i Liguri (Libuas, Libui o i Libi) insieme agli Etiopi e agli Sciti come i più antichi abitanti del mondo: “Etiopi, Liguri e Sciti allevatori di cavalli”.

Esiodo considera i Liguri la principale Nazione dell’Occidente, elencate i tre grandi popoli che definisce barbari, che controllavano il mondo allora conosciuto, gli Sciti a Oriente, gli Aetiopi nell’Africa, i Liguri a Occidente.

Ad esempio Diodoro Siculo descrive una razza di individui “tenaci e rudi, piccoli di statura, asciutti, nervosi… Costoro abitano una terra sassosa e del tutto sterile e trascorrono un’esistenza faticosa ed infelice per gli sforzi e le vessazioni sostenuti nel lavoro. E dal momento che la terra è coperta di alberi, alcuni di costoro per l’intera giornata, abbattono gli alberi, forniti di scuri affilati e pesanti, altri, avendo avuto l’incarico di lavorare la terra, non fanno altro che estrarre pietre… A causa del continuo lavoro fisico e della scarsezza di cibo, si mantengono nel corpo forti e vigorosi. In queste fatiche hanno le donne come aiuto, abituate a lavorare nel medesimo modo degli uomini. Vivendo di conseguenza sulle montagne coperte di neve ed essendo soliti affrontare dislivelli incredibili sono forti e muscolosi nei corpi… Trascorrono la notte nei campi, raramente in qualche semplice podere o capanna, più spesso in cavità della roccia o in caverne naturali… Generalmente le donne di questi luoghi sono forti come gli uomini e questi come le belve… essi sono coraggiosi e nobili non solo in guerra, ma anche in quelle condizioni della vita non scevre di pericolo” (Diod. IV,20,1.23).

L’esigenza di navigare, abilità poi perfezionata al tempo dei greci e dei romani, nasce in epoca antichissima quando i Liguri erano noti nel Mediterraneo per il commercio della preziosissima ambra baltica e, per questo, erano detti Ambrones. Con lo sviluppo delle popolazioni celtiche i Liguri si ritrovarono a controllare un cruciale accesso al mare, divenendo (a volte loro malgrado) custodi di un’importante via di comunicazione.

Barca battente bandiera genovese. Ex voto del 1712 esposto al Museo Diocesano di Genova in occasione della mostra “E tacquero le onde del mare! Ex voto marinai in Liguria”.

«Navigano eziandio per cagione di negozi pel mare di Sardegna e di Libia, spontaneamente esponendosi a pericoli estremi; si servono a ciò di scafi più piccoli delle barchette volgari; né sono pratici del comodo di altre navi; e ciò che fa meraviglia, si è che non temono di sostenere i rischi gravissimi delle tempeste.»

Il mare allora diventa ambito indispensabile per il sostentamento quotidiano (pesca), per il commercio con la speranza sempre rivolta oltre quell’azzurro infinito orizzonte.

Ma il mare significa anche lontananza da casa, precarietà, guerra, invasioni nemiche, tempeste, paura di perdere i propri beni, la morte. Un’eterna scommessa dunque sintetizzata con essenziale pragmatismo dall’atavico detto popolare:

O mâ o l’é o mâ (il mare è il mare/male) palindromo che si può leggere anche in senso inverso.

Non a caso mare e male in lingua genovese si scrivono e pronunciano alla stessa maniera.

In Copertina: mareggiata a Deiva Marina (Sp). Foto di Anna Daneri.

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