Antonio Tabucchi è stato uno dei pochi pisani apprezzati dai genovesi. Un rapporto che lo scrittore amante del Portogallo, di Pessoa e della sua cultura, ha avuto modo di consolidare quando nel 1978 venne chiamato ad insegnare nell’ateneo genovese. Genova e Lisbona due città molto simili, con parecchie cose in comune: entrambe affacciate sul mare, inebriate da aromi e profumi portuali, dove il vento regna sovrano; caruggi stretti dove luce ed ombra giocano a nascondino, strade arrampicate in salita alla ricerca di uno scorcio di cielo, di un raggio di sole, sempre appese ad un filo dell’orizzonte. Proprio in quel punto dove cielo e mare si fondono nell’infinito. Genova e Tabucchi, come Lisbona e Pessoa; l’autore di “Sostiene Pereira” ne “Il filo dell’orizzonte”, edito da Feltrinelli nel 1986, aveva così descritto la nostra città:
«Ci sono giorni in cui la bellezza gelosa di questa città sembra svelarsi: nelle giornate terse, per esempio, di vento, quando una brezza che precede il libeccio spazza le strade schioccando come una vela tesa. Allora le case e i campanili acquistano un nitore troppo reale, dai contorni troppo netti, come una fotografia contrastata, la luce e l’ombra si scontrano con prepotenza, senza coniugarsi, disegnando scacchiere nere e bianche di chiazze d’ombra e di barbagli, di vicoli e di piazzette».