Certo l’anagrafe recita “Santiago de Las Vegas de La Habana” come luogo di nascita di Italo Calvino ma lo scrittore, sanremese di origine e cultura, esprime in tutta la sua feconda poetica una sensibilità e appartenenza del tutto ligure. Egli stesso infatti racconta:
“Il mondo di cui sto parlando ha questo di diverso da altri possibili mondi, che uno sa sempre dove sono il levante e il ponente in tutte le ore del giorno e di notte […] ogni orientamento per me comincia da quell’orientamento iniziale, che implica sempre l’avere sulla sinistra il levante e sulla destra il ponente, e solo a partire di lì posso situarmi in rapporto allo spazio, e verificare le proprietà dello spazio e le sue dimensioni.
Una Liguria decritta dai poeti e pioniera del turismo a cavallo tra ‘800 e ‘900 che Calvino omaggia sì ma non tralasciando l’aspetto più sincero e segreto del ligure, quello laborioso e riservato di coloro i quali lavorandola quella terra, l’hanno nobilitata.
“Dietro la Liguria dei cartelloni pubblicitari, dietro la Riviera dei grandi alberghi, delle case da gioco, del turismo internazionale, si estende, dimenticata e sconosciuta, la Liguria dei contadini”.
Un viaggio che prosegue nei ricordi di bambino di una bucolica e spensierata infanzia:
“Finiti gli orti, cominciava l’oliveto, grigio-argento, una nuvola che sbiocca a mezza costa. In fondo c’era il paese accatastato, tra il porto in basso e in su la rocca; ed anche lì, tra i tetti, un continuo spuntare di chiome di piante […] Sopra gli olivi cominciava il bosco. I pini dovevano un tempo aver regnato su tutta la plaga, perché ancora s’infiltravano in lame e ciuffi di bosco giù per i versanti fino sulla spiaggia del mare […] Più in su i pini cedevano ai castagni, il bosco saliva il bosco saliva la montagna, non se ne vedevano confini. Questo era l’universo di linfa entro il quale noi vivevamo…”
E per un ligure – si sa – Genova rimane comunque il fulcro di tutto, il metro con cui misurare le cose, l’ombelico del mondo:
“La realtà e la storia di Genova possono essere una chiave per capire qualche carattere di fondo che è di tutta la Liguria: suo limite e insieme sua forza. Se è decadentismo volgersi al passato per assaporarne l’agonia, Genova è una città così poco decadente da tenersi stretto il proprio passato fin quasi a non vederlo, portandolo con sé nel presente, che è la sua vera dimensione. Se è narcisismo non sapersi staccare dalla contemplazione della propria immagine, Genova è così poco narcisista che della propria immagine non sa né se ne cura, tutta presa com’è da quello che fa e mette insieme e moltiplica”.
I Genovesi sono un popolo assai attaccato alla propria terra, tradizioni, cultura e Calvino ne distingue di due principali tipi: “quelli che restano attaccati agli scogli come le patelle e quelli che invece partono e vanno a girare per il mondo”.
I più grandi – aggiungo io – quelli che hanno contribuito a migliorarlo quel mondo appartengono a quest’ultimo. Chi scrive questo racconto, più modestamente, al primo.