La storia del salame di S. Olcese è sostanzialmente “cosa loro”, dei Cabella e dei Parodi le due famiglie che, da oltre un secolo, se ne contendono la paternità.
Nei primi decenni dell’Ottocento la fama di questo salume varcò i bucolici confini della Val Polcevera per invadere sapidamente le tavole inurbate dei genovesi.
L’abbinamento con le fave divenne binomio imprescindibile di qualsiasi scampagnata primaverile. Ancora oggi infatti, nel genovesato, non si contano le sagre che, da aprile in poi, celebrano il gustoso connubio. Dato l’aumento della domanda i due salumifici estesero la loro richiesta di forniture alle valli limitrofe, Valle Scrivia, Stura, Bisagno e basso Piemonte o, come dico io, alta Liguria, dalle quali approvvigionarsi delle materie prime, le carni.
Il gustoso insaccato è frutto dell’armonica fusione in parti variabili di carne suina (di Piemonte ed Emilia) e bovina del Piemonte (astigiano, alessandrino, cuneense). Il salame, nonostante la scontata evoluzione tecnologica, tuttora viene essiccato a legna, legato a mano e segue fedele l’antica ricetta che prevede l’aromatizzazione a base di aglio e vino bianco del Polcevera.
Entrambe le famiglie vantano documentati diritti di primogenitura. I Parodi hanno fondato l’impresa nel 1890, mentre i Cabella hanno iniziato nel 1911. Secondo i Cabella a fare fede però è la registrazione in Camera di Commercio e la loro risulta essere la prima. Se poi si discute sulla primitiva produzione casareccia tutto è opinabile e ciascuna delle due parti in causa rivendica la precedenza.
L’ultima controversia tra le due famiglie che si rispettano ma non si frequentano, l’una i Parodi a nord del paese, l’altra i Cabella a sud è proprio legata alla ricetta base. i Parodi e i Cabella hanno tesi diverse, i primi ci metterebbero più suino, i secondi più bovino. Discordi su questo punto focale non hanno trovato un punto d’incontro e quindi il salame di S. Olcese non ha ottenuto la benedizione europea che esigeva una codifica ufficiale della ricetta. Niente ricetta-base nero su bianco, niente benedizione, denominazione e tutela europea.
Pazienza, a S. Olcese ne fanno una questione d’onore .
D’altra parte, all’inizio del capitolo n. 6 del romanzo “Il Padrino”, Mario Puzo così scriveva:
“Peter Clemenza quella notte dormì male. La mattina si alzò presto, si preparò da solo la colazione con un bicchiere di grappa, una spessa fetta di salame di Genova, e un grosso pezzo di pane italiano fresco che veniva ancora consegnato alla porta come nei vecchi tempi”.
Da S. Olcese a New York il salame è “cosa loro”, anzi, “cosa nostra”!
A scanso di equivoci l’associazione tra il Padrino e il salame di S. Olcese è una mia licenza poetica. Il salame di Genova citato da Puzo nulla ha a che fare con il nostro insaccato, trattasi infatti di altro tipo di salume.
Però grappa e salame…Possibile non avessero un gotto di bianco?
Magari di Coronata?
Buono il salame di San Olcese. …pane e salame è sempre stato un panino. .ottimo
Non ricordavo questa citazione dal Padrino. Effettivamente meglio con un bicchiere di vino bianco che con la grappa. Ma i gusti americani ……anche se loro erano italo americani, ma quando si è in un luogo di tende a prenderne usi e costumi e …gusti.
In America c’è un tipo di salame che si chiama Genoa Salami…. Nessun a che vedere o di sapore del vero salame di sant’ Olcese. .