Anticamente nel 1200 tutta la zona occupata da vico indoratori e dagli attigui Piazza dei Ragazzi, Vico dei Carlone e Vico Scudai costituiva il principale collegamento fra la zona del futuro palazzo ducale e il mare.
A partire dal ‘500 vi si insediarono le botteghe dei doratori ovvero quegli artigiani che rivestivano le armi e decorazioni in legno con sottili e pregiate lamine d’oro.
Così mentre Campetto era il campo dei fabbri, Scurreria e Vico Scudai si specializzarono negli ornamenti degli scudi.
All’inizio del caruggio si notano le fasce in conci bicromi del palazzo medievale al civ. n.1 la cui loggia è stata tamponata con intonaco dozzinale ed invadenti finestrature in ferro.
In Copertina: Vico Scudai. Foto di Giovanni Cogorno.
Il toponimo rimanda al nome della famiglia proveniente dall’omonima città albanese.
Costoro che giunsero a Genova attorno al 1350 divennero una delle schiatte più influenti della città.
I Durazzo annoverarono tra le loro file decine di senatori, due cardinali Marcello nel 1683 e Stefano nel 1633 che ricoprì anche la carica di arcivescovo e ben nove dogi: Giacomo di Giovanni nel 1573, il figlio Pietro nel 1619, Gio-Batta di Vincenzo nel 1639, Cesare figlio del precedente Pietro nel 1665, suo figlio Pietro nel 1685, Vincenzo di Gio-Matteo nel 1709, Stefano di Pietro bel 1734, Marcello nel 1787 e Gerolamo, forse il più famoso per la sua inconsapevole parte nella nascita della maschera piemontese di Gianduja, nel 1802.
Il nome del caruggio rimanda alla lavorazione in loco delle “cavigge”, grossi chiodi di legno o ferro utilizzate per fissare le corbe nelle stive delle navi.
Il pezzo forte del caruggio però è un sovrapporta in pietra nera del XV secolo al civ. n.21 che ritrae il Dio Padre che mostra il Bambino avvolto in una raggiera all’Imperatore Ottaviano Augusto raffigurato in ginocchio ed in adorazione. Alle sue spalle la Sibilla che consiglia al Sovrano di rivolgersi il preghiera direttamente a Gesù. Fanno da sfondo i sette colli di Roma.
La rappresentazione trae origine dal racconto secondo cui la Sibilla Tiburtina nel tempio di Giunone Moneta avrebbe predetto all’Imperatore l’avvento del Cristo, l’unico vero re degno di adorazione. Secondo la tradizione nel cielo apparve una raggiera di fuoco con al centro la Vergine e il suo Bambino.
“Haec est ara primogeniti” proclamò una voce divina. Fu così che Ottaviano rifiutò di farsi chiamare Signore e abbracciò la vera fede. Nel luogo dove in Campidoglio avvennero i fatti i francescani eressero la basilica di Santa Maria in Aracoeli.
Il Vico delle Fiascaie, una traversa sulla sinistra scendendo Salita di San Matteo, trae origine secondo alcuni dall’ufficio incaricato di stabilire i prezzi dei vini situato nella vicina salita del fondaco, secondo altri dalla presenza in loco di una fabbrica o rivendita di fiaschi.
In Copertina: Vico delle Fiascaie. Foto di Alessandra Anna Illiberi Stella.
Qui, in quella che un tempo era identificata come contrada di Piazzalunga, aveva infatti sede l’antico forum romano e bizantino.
Punto strategico dunque di incontro e scambio favorito dalla convergenza della strada litoranea (oggi Canneto il Curto e Via delle Grazie), e del tracciato che dal porto dirigeva verso la Val Bisagno.
In quest’area avevano le proprie dimore i Cattaneo, i Della Volta e gli Alberici.
Curioso il fatto che nella piazza oltre alla chiesa intitolata al santo patrono militare della città (oggi data in gestione alla Chiesa ortodossa della Santissima Trasfigurazione del Patriarcato di Mosca) vi sia anche quella della comunità pisana, di San Torpete.
La piazza infatti segnava il confine con il quartiere commerciale che i genovesi avevano concesso ai pisani e con i quali continuarono a trafficare, anche durante le frequenti guerre fra le due Repubbliche.
In tempi remoti la chiesa di San Giorgio custodiva anche il vessillo con le effigie del santo, preziosissimo simbolo della potenza militare marittima della Repubblica.
Oggi una sua copia è conservata in Comune ed è utilizzata in occasione di tutte le manifestazioni ufficiali..
Sarebbe bello che, opinione personale, lo stendardo tornasse nella sua sede originaria.
In Copertina: Via San Giorgio. Foto di Giovanni Cogorno.
Via del Campo, per via dell’omonimo brano composto da De André, è uno dei caruggi più famosi di Genova.
La zona del Campo fino al XII secolo comprendeva il territorio dal rio Fossatello al rio Carbonara (oggi Via delle Fontane)..
Nel XIII secolo venne eretta la chiesa di San Marcellino e l’intera area circostante venne così identificata come “Campus Marcellini”.
Da qui dunque l’origine del toponimo “del Campo” che veniva utilizzata, estendendosi fuori le mura, dal Vastato o Guastato (odierna piazza dell’Annunziata) fino al Fossatello, per esercitazioni militari.
Il campo era una zona di orti e vigneti che salivano stretti fra il mare e la collina di Pietraminuta.
Nel XII secolo l’area agricola abitata da casupole in legno venne inglobata nelle mura sorvegliata dalla possente Porta di Santa Fede o dei Vacca dal nome della famiglia che ne aveva la custodia.
Costoro nel XV secolo insieme ai Piccamiglio costruirono le prime dimore in pietra.
In via del Campo oltre al negozio di articoli musicali di Gianni Tassio frequentato a suo tempo da De André, oggi museo dedicato al cantautore, innumerevoli sono le testimonianze storiche: palazzi come quello secentesco di Battista Centurione inserito da Rubens nel suo compendio sulle dimore genovesi; sovrapporta in pietra nera come al civ. 1a con il trigrammadi Cristo., o al 35r con l’Annunciazione; edicole votive come quella al civ. n. 3 della Madonna Regina, o del 3r della Madonna col Bambino, una delle più antiche della città risalente addirittura al XIV secolo; torri come quella maestosa dei Piccamiglio; colonne infami e fontane riparatrici come quelle dei Vacchero, protagonisti di congiure contro la Repubblica.
Via del Campo, c’è una graziosa Gli occhi grandi color di foglia Tutta notte sta sulla soglia Vende a tutti la stessa rosa
Via del Campo, c’è una bambina Con le labbra color rugiada Gli occhi grigi come la strada Nascon fiori dove cammina…
(Prime due strofe di Via del Campo 1967). Testo De André, musiche Iannacci, arrangiamenti Reverberi.
In Copertina: Via del Campo lato Porta dei Vacca. Foto di Stefano Eloggi.
Nel cuore del quartiere del Carmine attraverso un piccolo arco in pietra si accede alla Salita di Monterosso.
Nell’estimo del 1798 questa creuza è chiamata di Monte Roso. All’origine dell’etimo del sito il fatto che il vocabolo roso, di origine etrusca, definiva le zone fortificate.
Probabilmente è con l’uso popolare che si è avuto il passaggio da Monte Roso a Monterosso.
In Copertina: Salita di Monterosso. Foto di Anna Armenise.
Quest’immagine è per me assai gratificante perché credo, in tanti anni che mi aggiro fra i caruggi, di non aver mai vista la piazza così vuota e soprattutto sgombra dalla spazzatura.
In passato infatti proprio sotto il tabernacolo vuoto dell’edicola erano posti cassonetti straboccanti di rumenta.
Nel 1810 l’edificio religioso venne tramutato in biblioteca delle Missioni Urbane i cui volumi superstiti, dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale, sono ora custoditi presso la biblioteca Franzoniana.
Si lo so, a partire dal 12 settembre 2016 causa il nuovo regolamento nazionale sulla toponomastica, Campetto è diventato Piazza Campetto.
Per noi genovesi però, con buona pace della burocrazia, Campetto è Campetto. Così è, se vi pare, da quasi mille anni.
Se intorno all’anno mille infatti il Campetto era poco più che un orto addossato alle mura del castrum nel 1155, con l’erezione delle mura del Barbarossa, divenne uno snodo cruciale della nuova viabilità cittadina.
In tutta l’area proliferarono, come testimoniato dai caruggi attigui (Vico Scudai, degli Orefici, degli Indoratori) le botteghe artigiane legate alla lavorazione, soprattutto a scopo militare, dei metalli.
Campetto era il Campus Fabrorum, il campo dei Fabbri, da qui dunque l’origine del toponimo.
In Campetto si affacciano diverse prestigiose dimore: ai civici n. 8 e 8a il cinquecentesco Palazzo di Gio. Vincenzo Imperiale impreziosito dagli affreschi di G.B. Castello e da Luca Cambiaso; al civ. n. 2 palazzo Ottavio Sauli, più noto come Casareto De Mari, ovvero del Melograno (occupato da un grande magazzino) famoso per lo straordinario secentesco Ercole di Filippo Parodi; al civ. 19r oggi supermercato di una nota multinazionale l’edificio che fu un tempo la chiesa di San Paolo, poi convento, macelleria e in ultimo fino al 1821 sede del piccolo Teatro di Campetto; al civ. n. 9 palazzo Gio. Battista Imperiale con resti di affreschi del XVI secolo che a fine ‘800 ospitava il celebre Hotel Union Qui soggiornò il Dr. James R. Spensley tra i fondatori del Genoa Cricket and Football Club e padre del movimento scoutistico genovese.
Fra le altre testimonianze meritevoli di menzione sono: sopra il bar al civ. 1r. la lapide che narra le gesta di G. B. Ottone durante la rivolta del Balilla del 1746; al civ. n 5 un cinquecentesco sovrapporta in pietra nera con fregi floreali e il trigramma di Cristo.
Ultimo, non certo per importanza, al centro della piazza il barchile del 1643 che ritrae un fauno che suona una conchiglia opera dello scultore Guido Mazzetti.
La fontana si trovava un tempo nel quartiere di Ponticello, odierna Piazza Dante e, dopo travagliate peregrinazioni, ha trovato qui adeguata collocazione.