Vico dei Notari… il caruggio degli scriba occidentali…

Storia di un caruggio… di una farmacia… di edicole… di un ninfeo… di una bomba…

Anticamente vico dei Notari era conosciuto, per via del fatto che qui si redigevano gli atti notarili (i più antichi documenti e cartolari privati occidentali di cui si abbia notizia), come il “caroggio di scriven” e si diramava fino al piano di S. Andrea. Oggi costituisce solo un breve tratto che collega Canneto il Lungo angolo Vico delle Erbe fino alla farmacia Tettoni.

Con le demolizioni di inizio Novecento la via si è allargata e divisa su due livelli per permettere a Piazza Matteotti lo sbocco di Via Meucci con Via Dante. E’ scomparso così il millenario Borgo Sacco o Sacherio con il Vico Paglia, il “Carrubeus Sant’Ambroxi” delle mappe medievali. Così tutta la via fino alle torri ha assunto il nome di via di Porta Soprana.

“La farmacia del Ducale. Nei due tondi le sagome in ferro battuto”. Foto di Leti Gagge.

All’esterno della farmacia Tettoni fondata nel 1725 ad opera dei gesuiti (di stanza nella vicina chiesa del Gesù) con il nome di “Spezieria Monastica”, sono poste due nicchie con peducci in pietra nera di Promontorio che contenevano, un tempo, due secolari anfore ad uso dei monaci farmacisti, ora sostituite da sagome in ferro battuto.

“L’edicola dell’Assunta”.

In Via della Porta Soprana al civ. n. 1 la scenografica edicola della Madonna Assunta. Il tempio di forma neoclassica è del XVIII-XIX sec. La statua invece è anteriore del XVII-XVIII sec. Un chiaro omaggio all’Assunta del Puget della ex chiesa dell’Albergo dei Poveri. Due cariatidi femminili sorreggono il timpano triangolare. La statua che rappresenta la Vergine posta su una nuvola con angeli e cherubini è protetta da un vetro. Una raggiera le incornicia la testa. Alla base portava in origine l’epigrafe: “HORNATUS HIC / Et PIETATE  Et PLACIDO / Et Ad BENEPLACITUM ILL. DD. COMIS. 1852”.

L’edificio, detto casa Massuccone, venne progettato dopo il 1776 da un giovanissimo emergente architetto, Carlo Barabino. Sul trave del portale marmoreo con semicolonne doriche l’epigrafe: “Animus Aequus Satis”.

“Il loggiato nel cortile del civ.n. 5 di Via Porta Soprana”.

Al civ. 5 dentro ad un anonimo portone ornato da una cornice marmorea con ovale del trigramma di Cristo, si percorre uno stretto ed angusto corridoio che conduce ad un ampio quanto impensabile cortile privato con quattro ordini di logge. Sul fondo il ninfeo con la statua di Nettuno. Non si conosce l’architetto di tale dimora ma si sa che, datato metà del ‘500, è molto simile allo stile adottato per il Palazzetto Criminale di Via Tommaso Reggio. Lo scalone che si arrampica lungo i piani loggiati offre scorci, punti di vista e giochi di luce assai suggestivi.

“Il ninfeo con la statua di Nettuno”.
“Edicola della Madonna Immacolata al civ. n. 19”.

Al civ. n. 19  l’edicola della Madonna Immacolata del sec. XVIII-XIX scolpita in una nicchia con cornice a delicati motivi floreali.

Nell’atrio del palazzo al civ. n. 23 è custodita, incastonata nel muro, una palla di cannone la cui sottostante lapide recita:

“Palla di cannone e lapide nell’atrio del civ. n. 23″. Foto tratta da XIX TV.”

“Questa Palla fu Lanciata in / Questa Casa dalla Batteria della / Lanterna dai Soldati del Generale / Alfonso La Marmora / il 5 Aprile 1849”.

“Primo piano della palla di cannone”.

Tangibile monito e ricordo di quello che è passato alla storia come il sacco di Genova. In quell’occasione i Savoia con l’aiuto dal mare della flotta inglese bombardarono la città. Scagliarono 30000 bersaglieri contro i suoi 90000 inermi abitanti che erano insorti contro il loro malgoverno. A nulla valsero gli eroici atti di resistenza della Guardia Civica comandata dal capitano De Stefanis. I Piemontesi entrarono con l’inganno e ripristinarono l’ordine.

Questa è una delle innumerevoli bombe che per 36 ore consecutive ferirono la Superba, distrussero interi quartieri e causarono migliaia di vittime. La furia omicida dei soldati di Vittorio Emanuele II, agli ordini del generale Alfonso La Marmora, non risparmiò nemmeno, sventrato da 16 devastanti proiettili, l’ospedale di Pammatone.

Genova prende nota ma… non dimentica…

In Copertina: Via di Porta Soprana. Foto di Leti Gagge.

Le due Scurreria…

Recita una lapide affissa all’angolo fra Scurreria e Campetto:

“Io, Iacobvs Imperialis Vincentii F. / Pvblico Privatoq. Comodo ac Vrbis Decori / Prospiciens Qvam Plvrimis Domibvs Coemptis, / et Dirvtis. Viam Hanc, Cvi Ab Avctoris / Familia Nomen Inditvm, Aere Svo / Faciendam Ornandam Sternendamq. / Cvravit. An. Sal. MDXIIIC.”

“Lo stemma araldico degli Imperiale”.
“Edicola della Madonna Immacolata di Campetto”. Foto di Leti Gagge.

La via venne aperta nel XVI sec. per volontà di Gio. Giacomo Imperiale per dare un accesso più consono al suo sontuoso palazzo di Campetto. La zona infatti anticamente nota con il nome di contrada scutaria perché sede delle officine degli scudai, era un dedalo intricato di stretti caruggi. In un secondo momento nel quartiere si aggiunsero anche le botteghe dei “Toscani”, come erano comunemente indicati i setaioli. L’inizio della via, dove oggi si trova la farmacia del Duomo, costituiva infatti la piazzetta dei Toscani. Durante alcuni lavori di ripristino della sede stradale avvenuti nel 1843 vennero rinvenute in questo tratto di strada tombe, urne cinerarie in terracotta di epoca preromana e monete romane. La famiglia Imperiale, molto ricca ed influente anche in oriente, possedeva, come testimoniato dalle iscrizioni sparse qua e la, quasi tutti i palazzi della strada.

All’angolo con Campetto s’incontra un’immagine della Madonna dell’Immacolata Concezione del XVII sec., una delle edicole più note e meglio conservate del centro storico: la Vergine è rappresentata in posa estatica fra ondulati drappeggi  con trionfo di angeli in cornice. Sul cartilio alla base il celebre  motto: “Imperet et Impetret”.

“Il fregio risorgimentale”.

Sopra la vetrina di un negozio di abbigliamento si scorge un fregio marmoreo fra due cornucopie che rappresenta l’allegoria dell’Italia che porta il tricolore con l’epigrafe “Italia Libera Lo Vuole e Lo Sarà”. Il rilievo con relativo motto ispirato dalle crociate (Deus Vult…) venne posto nel 1847 come auspicio divino del Risorgimento per l’unità d’Italia.

Al civ. n. 1 Madonna col Bambino del sec. XVII, un medaglione in marmo con Maria che regge il bambino in piedi mentre benedice.

“Gli affreschi sbiaditi di palazzo Gio. Giacomo Imperiale”.

Ai civici. n. 2 e n. 5 sui portale  del XVI sec. con stipiti in bugnato con timpano curvo e spezzato, lo stemma della famiglia Imperiale. Al civ. n. 3 si notano, ai piani alti, i resti di sfarzosi affreschi che abbellivano la facciata con motivi architettonici.

“La Madonna della Misericordia del Ponsonelli”.

Proseguendo, al civ. n. 6, la Madonna della Misericordia, un altro medaglione in marmo bianco che ritrae i personaggi in bassorilievo. La scultura del XVIII sec. è attribuita all’artista genovese Giacomo Antonio Ponsonelli.

All’angolo del palazzo ecco la Farmacia del Duomo, locale aperto nel 1849 e in precedenza ritrovo dei giacobini genovesi che tramavano l’insurrezione popolare. All’interno gli arredi, il vasellame, le decorazioni e i pavimenti sono quelli originali. Del primo novecento sono invece i soffitti lignei.

“Via di Scurreria la Vecchia”.

La Via di Scurreria originaria, per distinguerla dalla nuova, voluta dagli Imperiale, assunse così il titolo di “la Vecchia”. Qui aveva sede la bottega del doge popolare Paolo da Novi la cui attività era di tingere le stoffe. Eletto doge nel 1507 a furor di popolo dopo la cacciata dei Fieschi e dei francesi quando questi ripresero il potere venne imprigionato nella torre Grimaldina e, dopo sommario processo, pubblicamente decapitato il 10 aprile 1507, davanti a palazzo Ducale. I tintori Toscani, per omaggiare degnamente la processione del Corpus Domini, usavano ricoprire il selciato del caruggio con stoffe di velluto e arazzi finemente ricamati. Curiosa la conformazione del civ. n. 5 un susseguirsi confuso e sovrapposto di stili ed interventi nei secoli: il portale in marmo venato presenta un falso timpano a volute, il mascherone centrale con due listarelle di marmo vuote. Sul fronte del palazzo sono murate due colonne in pietra con capitelli marmorei, una finestra bifora con archi tondi, alcuni poggioli in ferro battuto ed i resti di un arco in conci bicromi, ora tamponato. Murata è anche la loggia al civ. n. 1 all’angolo con Vico Indoratori.

 

“L’edicola vuota, di fronte al civ. n. 5, addossata al muraglione dei canonici di S. Lorenzo”.

Di fronte al civ. n. 5 un’edicola vuota di Madonna col Bambino che conteneva un dipinto su tavola del XVII sec., oggi scomparso.

Svanito però non è il suo fascino medievale; Scurreria, per mantenerlo, s’è fatta in due.

 

Salita Pollaiuoli…

Piazza del Ferretto prende il nome dalla nobile famiglia che nel 1705 diede alla Repubblica il doge Stefano Onorato e l’abate Gio. Nicolò fondatore nel 1795 della scuola per fanciulle povere in San Francesco d’Albaro.

“La loggia ogivale del XIII sec. in Piazza del Ferretto”.

All’angolo con Salita Pollaiuoli si possono ammirare i resti di una loggia del XIII sec., una grande arcata ogivale in pietra con cornice di archetti. Ai piani nobili sono state aperte quattro finestre posteriori che hanno stravolto le arcate in conci bicromi di laterizio originarie. Agli ultimi due piani resistono ancora tracce a fresco di decorazioni architettoniche con cariatidi di epoca successiva. Un tipico esempio dei mutamenti e del sovrapporsi di usi e stili avvenuti nei secoli. Da loggia mercantile con magazzino e rivendita, a residenza nobiliare.

La salita e la piazza dei Pollaiuoli devono invece il nome alle botteghe di cacciagione, selvaggina e pollame presenti nella zona fin dal 1600 all’epoca dell’apertura del caruggio stesso. In precedenza infatti queste attività erano site in piazza San Giovanni il Vecchio, accanto alla Cattedrale di San Lorenzo e prima ancora, già dal XII secolo, in Soziglia.

All’interno del ristorante “Sapori di Genova”al 17r, (un tempo si chiamava Garofano Rosso, di qui il simbolo del Partito), si legge una lapide che racconta della fondazione, in occasione della quale ci fu la scissione con gli anarchici, proprio a Genova, del Partito Socialista Italiano:

“La targa all’interno del locale che, un tempo, si chiamava il Garofano Rosso”.

“La Sera del 14 Agosto 1892/ I Delegati di 150 Associazioni Operaie/ del Mutuo Soccorso e Sociali/ Lasciata Sala Sivori/ si Riunirono in Questa Trattoria/ e qui Decisero di Indire il Giorno Dopo/ 15 Agosto 1892/ nella Sala dei Carabinieri Genovesi in Via della Pace/ il Congresso di Fondazione / del Partito dei Lavoratori Italiani/ Partito Socialista Italiano/ 14 Agosto 1892. 14 Agosto 1892.

“La Sala Sivori in Salita Santa Caterina 48r”.

La Sala Sivori che venne inaugurata nel 1869 con un concerto di Camillo Sivori, celebre virtuoso del violino ed a questi intitolata, esiste ancora ed è attualmente occupata da un cinema.

Al civ. 18r una piccola edicola a tempietto semicircolare in stucco della Madonna della Immacolata Concezione. Un tempo era decorata con teste di cherubini e riccioli floreali. La statua della Vergine al suo interno è una copia poiché l’originale è stato rubato.

“Edicola barocca secentesca con Sant’Antonio da Padova e Santa Caterina Fieschi”.

Proprio nella piazza al n. 8 si trova una delle edicole più note, quella che ritrae Sant’Antonio da Padova e Santa Caterina Fieschi. L’ovale in stucco contiene i due santi rivolti in adorazione al bambino. Sant’Antonio in ginocchio su una nube, bacia la mano del bambinello. Santa Caterina poggia su un inginocchiatoio coperto da un bel drappeggio. In mano porta, in atteggiamento estatico, il cuore. Gesù poggia su una nuvoletta dal quale spuntano quattro teste di cherubini alati. La grande cornice sagomata che racchiude la scena è sorretta da due angeli alati mentre angioletti e cherubini alati spuntano dalle nubi. Completano l’immagine una grande raggiera in legno coperta da un tettuccio in lamiera lavorato.

“Interni in stile Liberty”. Foto di Leti Gagge.
“Interni della Grotta di porcellana di Dino Campana”. Foto di Leti Gagge.
“Specchi, specchi e ancora specchi”. Foto di Leti Gagge.

All’angolo con Via Canneto il Lungo i resti di due teste di cherubini di un’altra Madonna Immacolata, anch’essa sparita. Il tabernacolo è completamente abbandonato ed ospita nidi di piccioni.

Al civ. n. 43r. il famoso Caffè degli Specchi, inaugurato nella conformazione attuale nel 1917, interamente rivestito di tasselli in ceramica con pareti e specchi dell’epoca. Spettacolare il soffitto a “grotta” che ha ispirato i versi di Dino Campana che qui amava spesso sostare:

“Entro una grotta di porcellana

Sorbendo caffè

Guardavo dall’invetriata la folla salire veloce”.

In precedenza invece il locale fu di proprietà di Felice Dagnino uno dei maggiori attivisti mazziniani in città. Intorno al 1870 il caffè divenne il principale luogo di ritrovo dei repubblicani che vi organizzavano incontri e riunioni per cospirare contro la monarchia.

“I versi del poeta esposti all’ingresso del Caffè”.

Logge mercantili, mercato avicolo, fonte d’ispirazione per poeti, luogo di fondazione di un Partito e punto d’incontro per sovversivi repubblicani… e pensare che molti è solo una semplice salita come tante altre.

 

 

Il quartiere dei maiali…

Prima ancora dell’erezione delle mura del Barbarossa (1155) la zona di Soziglia era stata adibita alla macellazione delle carni. L’origine del nome significherebbe infatti “sus” maiale e “”ilium” isola, divenuto poi “eia” quartiere, Suzeia o Suxilia. L’isola prima e il quartiere dei maiali poi. Tale sito venne scelto perché, sia la lavorazione delle carni che l’operato dei fabbri del vicino “Campus fabrorum” in Campetto, necessitavano di parecchia acqua fornita dal sottostante Rio Bachernia.

“Il Barchile di Enea in Piazza Bandiera”.

Al centro della piazza di Soziglia si trovava un barchile del 1578 abbellito con una sinuosa sirena, realizzato da Taddeo Carlone. Troppo ingombrante, a detta degli abitanti del luogo, venne trasferito in Piazza Lavagna e la sirena ricoverata in un magazzino in attesa di essere ristrutturata poiché, causa le sassate dei  monelli del quartiere, si presentava mutila in più parti. La fontana, priva del suo ornamento, nel 1844 venne destinata in Piazza Fossatello. Intanto, nel 1726 lo scultore carrarese Francesco Baratta aveva ricevuto l’incarico di realizzare per la piazza, rimasta sguarnita, una statua con soggetto “la Fuga di Enea da Troia con il padre Anchise e il figlio Ascanio”. Il monumento nel 1870, in occasione dell’ inaugurazione del nuovo mercato della frutta vicino alla Nunziata, venne definitivamente trasferito in Piazza Bandiera, dove resiste tuttora assediato dalle automobili.

Nella piazza s’incontrano locali storici la cui fama si diffuse in tutte le principali corti europee:

“L’elegante vetrina di Romanengo”. Foto di Leti Gagge.
“Dettaglio della cornucopia”. Foto di Leti Gagge.

 Al civ. n.74r la Confetteria di Pietro Romanengo. Non v’era ricevimento infatti in cui non si degustassero, fra le tante celebri preparazioni, le gocce di rosolio e lo sciroppo di viole. Sul portale campeggia una guantiera colma di frutta candita con ai lati due putti. Al centro, fra le due vetrine, una cornucopia con fiori e frutta  sormontata da un elmo di Mercurio. L’azienda venne fondata nel 1780 in Via della Maddalena e si trasferì qui, nella nuova bottega di Soziglia, nel 1814. Preziosi e particolari gli arredi originali di quel periodo, specchiere e legni intarsiati, pavimenti in marmi policromi, lampadari e soffitti affrescati.

Al civ. n. 98r la Pasticceria Klainguti fondata nel 1828 da quattro fratelli svizzeri che erano giunti a Genova provenienti dalle valli intorno a St. Moritz, con l’intenzione d’imbarcarsi in cerca di fortuna oltreoceano. Ma l’America la trovarono a Genova dove esercitarono con profitto e passione la loro arte. La caffetteria è arredata fra il barocco e il liberty e, a testimonianza della propria storia, conserva orgogliosa un biglietto autografo di Giuseppe Verdi che decanta le virtù dei pasticcini “Falstaff” così battezzati dai proprietari in onore del famoso compositore.

“La Vetrina di Klainguti”.
“La dedica autografa di Giuseppe Verdi in cui il celebre compositore elogia i pasticcini, intitolati in suo onore Falstaff, di cui era ghiotto”.
“Madonna Incoronata o Mater Salutis, edicola a medaglione con Vergine in rilievo”.

Al civ. n. 10 ci s’imbatte nell’edicola della “Mater Salutis” un medaglione del 1854  posto a ricordo dell’epidemia di colera che colpì in quell’anno la città ma che risparmiò miracolosamente gli abitanti del palazzo su cui è affissa. Scolpita dal Cevasco si tratta dell’ultima edicola sicuramente datata innalzata nel centro storico.

 “Il Signore e gli Abitatori di Questa Casa / Cui Parve Grazia dell’Augusta Vergine Salutifera / Il Non Aver Compianto Persona  / Tocca Tra Queste Pareti dall’Indica Lue / Con Dispendio Comune il 31 Dic. 1854 / Qui Ne Allogarono La Cara Effige / Condotta da Gio. Batta Cevasco Valente Scultore / Perché Duri Memoria di Tanto Beneficio”.

“Il Palazzo della Dogana con l’Edicola di san Giovanni”. Foto di Leti Gagge.
“L’edicola di San Giovanni sul Palazzo della Dogana”.

Al civ. n. 116r sul palazzo che un tempo fungeva da dogana la grande edicola barocca di “San Giovanni Battista”. Sul timpano spezzato il Padre Eterno benedice i passanti con la mano destra  mentre con la sinistra regge un mappamondo. San Giovanni è invece raffigurato nell’atto di preghiera con ai piedi l’agnello di Dio. Quando nel palazzo si sviluppò un indomabile incendio vennero portate qui dalla cattedrale le ceneri del santo e le fiamme d’incanto si spensero. Ritenuta pertanto miracolosa questa  grande edicola  a tempietto è divenuta nei secoli oggetto di grande devozione. Alla sua base l’epigrafe: “Nostra Tutela Salve”.

“La Madonna della Misericordia”.

 All’angolo con Vico del Fieno la  secentesca Madonna della Misericordia, un’ altra edicola a tabernacolo classico, curvo spezzato con trigramma di Cristo, la cui mensola è sorretta da tre angeli. 

“Rivendita di stoccafisso”. Foto di Leti Gagge.

Proseguendo verso la Via e la Piazza dei Macelli di Soziglia, il “Fossatus Susiliae” sopra il rio sottostante si succedono botteghe alimentari di ogni genere in particolare rivendite di stoccafisso e baccalà, besagnini, drogherie, pescherie e, ovviamene, macellerie. Già prima del X sec. infatti, qui era il cuore di uno dei tre mercati di carne cittadini. Gli altri due si trovavano nel quartiere del Molo e in porto.

“Dettaglio con i personaggi del bancone della macelleria”
“I banconi della macelleria”.

A proposito di macellerie, all’angolo con Vico dei Corrieri, si incontra la rivendita di carni più patriottica d’Italia con un sontuoso bancone marmoreo intagliato con le figure dei personaggi protagonisti del Risorgimento. Da Garibaldi a Bixio, da Mazzini a D’Azeglio, (alcuni dicono Mameli, altri Cavour e La Marmora). In un angolo si notano la figura intera di Mercurio Dio del commercio e  il volto di una giovane donna incoronata a rappresentare l’Italia.

All’incrocio con Vico Lavagna colpisce una particolare rappresentazione della Madonna Assunta. In questo settecentesco dipinto  su ardesia la Vergine è raffigurata in volo sorretta da un gruppo di angeli. Poco più avanti, al primo piano, si possono notare le “mampae” le finestre con pannelli mobili riflettenti, espediente tipicamente genovese utilizzato per ottimizzare l’illuminazione degli interni.

“L’Edicola della Madonna della Città della Corporazione dei Beccai”. Foto di Leti Gagge.

Dal civ. n. 15r  fino al 25r sono ancora visibili sei archi tamponati, sede originaria dei mattatoi. All’incrocio fra via e piazzetta l’edicola della Corporazione dei Beccai recentemente restaurata. Un grande tabernacolo in stucco custodisce la settecentesca marmorea “Madonna di Città” che seduta, porta il Bambinello in braccio con due curiose teste di cherubini che spuntano dai drappeggi. Alla base un cherubino alato sorregge la mensola , ai lati due grandi angeli in soffici vesti, reggono il timpano curvo con la raggiera e lo spirito Santo. Ai piedi l’epigrafe: “Laniorum Ars Huius / Modi Deipare Simula / Crum Posvit Anno / Dni MDCCXXIV (1724)”.

“I colori di un besagnino sotto l’occhio vigile dell’edicola”.
“I palazzi sgomitano il loro spazio al sole”.
“La palazzata della piazza dei Macelli di Soziglia”.

In questa piazza dove le palazzate colorate si arrampicano le une sulle altre alla ricerca di un posto al sole,  non servono spiegazioni, bisogna solo ascoltare i suoni mediterranei delle parlate ed ammirare i  vivaci colori che i besagnini dipingono sui loro banchi, mischiati a quelli argentei pennellati dai pescivendoli. Infine occorre abbandonarsi, “In quell’aria carica di sale, gonfia di odori “ cantava Faber, agli invitanti aromi provenienti delle botteghe e respirare… Genova.

Genova febbraio 2017.

 

Clangore di spade…

Campetto e non Piazza Campetto, come erroneamente si dice, in origine era un rigoglioso orto addossato alle mura dell’antico castrum romano.

Fu nel 1155 con l’erezione delle poderose mura del Barbarossa che divenne snodo cruciale della nuova viabilità cittadina e sede di numerose botteghe artigiane. Il “campus fabrorum”, così indicato nelle antiche mappe, era la zona dei fabbri. Di conseguenza le contrade vicine presero toponimi legati alla lavorazione dei metalli e delle armi: Via degli Orefici, Vico Scudai e Vico degli Indoratori erano le fabbriche dove, fino al ‘600, si forgiavano le spade, gli scudi e le armature della Repubblica, prima che queste attività venissero trasferite nella zona fra la Maddalena e Strada Nuova in Vico del Ferro.

“Panoramica notturna di Campetto”. Foto di Leti Gagge.
“La statua di Ercole di Filippo Parodi”. Foto di Leti Gagge
“Palazzo del Melograno”. Foto di Leti Gagge.

Su Campetto si affacciano diverse prestigiose dimore quali, ai civ. n. 8 e 8a, il cinquecentesco Palazzo di Gio. Vincenzo Imperiale disegnato da Giovanni Battista Castello, detto il “Bergamasco”, una ricca magione patrizia affrescata da Luca Cambiaso e dal Bergamasco stesso; al civ. n. 2 il Palazzo Ottaviano Sauli, poi Casareto De Mari, a tutti noto come “il palazzo del Melograno”. Al suo interno, nell’atrio di un grande magazzino, la secentesca statua di “Ercole”, frutto della superba mano di Filippo Parodi e “la Madonna della Misericordia”, pregevole settecentesca creazione di Francesco Maria Schiaffino che, posta in una nicchia rinvenuta durante un restauro, ornava il “pregadio” privato della famiglia.

Al centro dello spiazzo il barchile con il fauno che suona la conchiglia. La fontanella risale al 1643 scolpita da Giovanni Mazzetti e un tempo si trovava nel quartiere di Ponticello, più o meno nella zona alla confluenza con Via Fieschi, occupata oggi da Piazza Dante. Prima di giungere in Campetto la scultura dal 1936 al 1990 venne spostata nel cortile minore del Ducale quando il Palazzo svolgeva le funzioni di Tribunale.

“La targa che omaggia G. B. Ottone”.

Sopra il civ. n. 1r una lapide marmorea ricorda il prezioso contributo di G. B. Ottone durante la rivolta anti austriaca del Balilla nel 1746. Il commerciante che aveva qui la sua bottega acquistò e distribuì a sue spese le armi e guidò l’insurrezione.

“La lapide in ricordo di Sir James R. Spensley”.

Ai civici n. 3 e 5 palazzi secenteschi i cui sbiaditi affreschi e i ricchi portali sono trascurata testimonianza di glorie passate.

“Antica cartolina in cui si nota, al centro, l’insegna dell’Albergo Unione”. Collezione di Stefano Finauri.

Al civ. n. 19r occupato oggi da un supermercato di alimentari sorgeva dal 1216 la piccola chiesa di San Paolo. Nel 1600 l’edificio fu destinato a convento dai padri Barnabiti poi, a fine ‘700 soppresso dagli editti napoleonici, trasformato prima in stalla, poi in macelleria in ultimo, fino al 1821, in teatro (“piccolo Teatro di Campetto”). Le colonne della chiesa furono smontate e riutilizzate per la facciata neoclassica della basilica delle Vigne. Alzando lo sguardo tra le corsie del supermercato e sbirciando dietro alle colonne è tuttora possibile ammirare brani di antiche pitture, stucchi e decori.

“Affreschi di Lazzaro Tavarone a palazzo Gio. Battista Imperiale”.

Al civ. n. 9 Palazzo di Gio. Battista Imperiale i cui sfarzosi affreschi sono ancora visibili lato Via di Scurreria, a fine ‘800 venne impiegato come albergo, il famoso “Albergo Unione”, allora alloggio privilegiato dai sudditi di Sua Maestà. Non a caso nell’atrio una lapide ricorda che vi soggiornò il Dott. James R. Spensley, fra i fondatori del Genoa CFC nel 1893 e padre dello scoutismo genovese.

Campetto è molto, molto più di una semplice piazza…

La Colonna Infame di Vico Tre Re Magi…

Il Vico dei Tre Re Magi prende il nome dall’omonimo Oratorio raso al suolo durante la seconda guerra mondiale.

L’Oratorio fu eretto nel 1365 e poi ricostruito in forme barocche nel 1611. Nei primi decenni del Novecento venne concesso a privati ed adibito a fabbrica di mobili. Alcune opere d’arte al suo interno sono state recuperate e conservate presso il vicino museo di S. Agostino, altre purtroppo, sono andate irrimediabilmente distrutte: degli affreschi di Lazzaro Tavarone, Luca Cambiaso e di Bernardo Castello di cui parlano gli storici dell’arte, non si ha più traccia.

Le vicende di questo edificio possono essere assurte ad emblema dell’ignoranza e della superficialità con cui i cementificatori del secolo scorso hanno gestito i beni comuni e distrutto interi quartieri dalla storia millenaria, cancellando le contrade dei Lanaioli, dei Servi, della Madre di Dio e della Marina.

Forse per questo gli abitanti del centro storico proprio qui, nel cuore di Sarzano, dove tutto un giorno ebbe inizio, hanno collocato la loro “Colonna Infame”.

Posta all’angolo con Via del Dragone (nello spiazzo dietro l’abside di S. Agostino) nella prima parte omaggia la più celebre descrizione della nostra città:

“… Arrivando a Genova / Vedrai Dunque / una Città Imperiosa, / Coronata da Aspre Montagne, / Superba per Uomini e per Mura, / Signora del Mare/ Francesco Petrarca 1358, a Cura dei Genovesi / del Centro Storico / Giugno 1990

Sotto prosegue…

“Male non Fare / Paura non Avere”. 1945 1981 – A Vergogna dei Viventi e a Monito / dei Venturi Come Usava ai Tempi / della Gloriosa Repubblica di Genova / Dedichiamo Questa / Colonna Infame / all’ Avidità degli Speculatori / e alle Colpevoli Debolezze / dei Reggitori della Nostra Città. Con Vandaliche Distruzioni Hanno / Cancellato Tesori di Arte e di Storia / Eliminando Interi Quartieri / del Centro Storico Marinaro ed Artigiano / Deturpando per Sempre la Fisionomia / della Città fino all’Inaudito Gesto / di Demolire la Casa Natale di Nicolò Paganini. Essi Hanno Così Disperso la Popolazione / di Questi Quartieri con l’Infame / Risultato di Sradicare le Fiere Tradizioni / che Fecero Genova Rispettata e Potente.

I Genovesi dei / Quartieri della. “Marina” / “Via Madre di Dio” / “Via del Colle” / “Portoria” / “Sarzano e Ravecca”.

… alla base della colonna, conclude poi con le amare parole di un grande musicista:

“Non ci Sarà Mai Più un Secondo Paganini” / Franz Liszt.

“La lapide posta sotto l’edicola della casa natale di Nicolò Paganini in Vico Gattamora”.

A proposito di Paganini in Vico Gattamora sotto l’edicola che ornava la casa natale del celebre violinista era affissa una lapide che recitava:

“Alta Ventura Sortita ad Umile Luogo / in Questa Casa/ il Giorno XXVII di Ottobre dell’Anno MDCCLXXXII / Nacque / a Decoro di Genova a Delizia del Mondo / Nicolò Paganini / nella Divina Arte dei Suoni Insuperato Maestro”.

Gli aromi e gli odori della stanza… del tesoro

“Caroggio del Promontorio”, così un tempo era chiamato Vico Casana, perché conduceva verso lo scomparso colle di Piccapietra, spianato poi per far spazio alle odierne Via Roma e Galleria Mazzini.

L’attuale nome del vicolo trae origine dal turco “Chasana” che indicava la stanza del tesoro del sultano di Costantinopoli.

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“La salita di Vico Casana”. Foto di Leti Gagge.

Nel medioevo il termine casana venne associato al tesoro del banco dei pegni e con il titolo di casanieri furono identificati i prestatori privati di denaro. Costoro offrivano palanche a tassi elevati, insomma erano dei veri e propri strozzini.

Ma con l’istituzione del Monte di Pietà le attività di questi usurai ebbero un significativo ridimensionamento. Genova, dal canto suo, già dal 1403 aveva creato il Magistrato della Misericordia e dal 1442 l’ospedale di Pammatone proprio per tutelare la popolazione da queste lucrose prassi.

 Il nuovo Ente nacque nel 1463 a Perugia per volere dell’ Ordine dei Francescani, comunità alla quale apparteneva anche Frate Angelo da Chivasso che a lungo dimorò nella nostra città e che ne favorì la diffusione.

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“Mosaico custodito nel vicino palazzo della Carige che rappresenta Padre Angelo da Chivasso accompagnato da un fratello dell’ordine. Sullo sfondo, si riconoscono, le Torri di Porta Soprana”.

Costui infatti, abile e stimato predicatore, si distinse nell’opera di  fondazione nel 1483 del primo Monte di Pietà genovese, istituto che  successivamente contribuì  a diramare anche a Savona.

Percorrendo la salita ammiriamo i preziosi gioielli che costituiscono, tuttora il suo “tesoro”:

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“Cappa, piastrelle, pavimento e paioli della cucina dell’antica tripperia”. Foto di Leti Gagge.

Al civ. n. 3  s’incontra “l’antica tripperia, già Cavagnaro”, fondata nel 1890, l’ultima rimasta delle circa 200 in cui ci si poteva imbattere nel centro storico ad inizio del ‘900. Pavimenti alla genovese, bancone in marmo, cucina a ronfò con cappa aspirante piastrellata, pentoloni e paioli di rame in cui, oltre alle trippe, segno dei tempi, già preparate in tutte le maniere, si può gustare la famosa “sbira”, il brodo di trippa con cui facevano colazione i Camalli.

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“Riflessa negli specchi del bistrot le Cafè de Paris, Leti Gagge, l’autrice della foto”.

Dal civ. n. 20 r  “Il Cafè de Paris” un elegante bistrot, arredato fine ‘800 e in stile liberty, perfettamente conservato, proviene invece un invitante ed avvolgente aroma di caffè.

Al civ. n. 7r sulla base del nobile portale in marmo due suggestivi rilievi raffiguranti, su uno sfondo di alberi e rocce, Ercole in lotta con Anteo il primo, Ercole contro il leone Nemeo, il secondo.

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“All’angolo con Via David Chiossone l’edicola della Madonna Regina”.

All’angolo con Via Chiossone  l’edicola    con statua secentesca della Madonna Regina sulla cui base l’epigrafe recita “Sub tuum praesidium”. Fra quelle  in stucco una delle meglio conservate, mirabile esempio del barocchetto genovese applicato non ad una opulenta chiesa, bensì ad una semplice Votiva di strada.

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“Al civ. n. 7 Ercole combatte Anteo”
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“Al civ. n. 7 Ercole smascella il leone Nemeo”.

Nel frattempo Ercole ed Anteo hanno sospeso la loro lotta, ingolositi dall’appetitoso odore di trippa che impregna di aromi “il caruggio del tesoro”, si sono presi una pausa…  e non stupitevi se osserverete anche la chioma del leone Nemeo, riflessa nello specchio del Cafè, mentre sorseggia soddisfatto il suo aperitivo. Tali visioni non sono frutto della vostra fantasia ma di “ quell’aria carica di sale, gonfia di odori…” così piacevolmente diffusa nei nostri inimitabili caruggi, magici a tal punto da alterare la percezione che abbiamo di essi.

In copertina foto di Giancarlo Cammilli.

                                                                                                                                                             

Sottoripa…

Con i suoi 900 metri di copertura è stato il più lungo centro commerciale del medioevo.

Il suo porticato venne costruito per volere dei Padri del Comune a partire dal 1125 fino al 1133, addirittura 30 anni prima dell’erezione delle Mura del Barbarossa e, per questo, costituisce la più antica opera pubblica di rilievo. Il suo percorso si snodava da Porta di S. Fede fino al molo vecchio senza però soluzione di continuità. Ne sono testimonianza il  breve tratto fra Vico San Marcellino e Vico del Campo, detto “Sottoripa La Scura” per via della sua sopraelevazione e per i porticati più bassi e arretrati rispetto alla ripa. Sarà questa la zona destinata nel ‘600 al ghetto ebraico.

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“Particolari dei decori sulle volte del porticato”.

Sotto ripa letteralmente significa “sotto la riva” perché il porticato infatti era a diretto contatto con i moli del porto antico e lì sotto vi si ricoveravano le imbarcazioni. Con l’allargamento e la sostituzione dei moli di legno con quelli in pietra il porticato andò progressivamente allontanandosi dal mare dal quale distava in origine circa 5 metri. Si impose poi ai commercianti di costruire a proprie spese una copertura che proteggesse le botteghe e le attività commerciali dalle intemperie. In cambio essi ottennero di potervi erigere sopra le proprie abitazioni e la concessione dei relativi spazi commerciali.

Ancora fino al secolo scorso Sottoripa era il luogo dove si concentravano scagni, uffici, taverne e trattorie, dove si ingaggiavano marinai e camalli, dove si contrattavano i prezzi delle merci, un colorato e variegato bazar degno delle casbah orientali. Da qui si diramavano dedali di caruggi diretti verso il cuore della città vecchia oggi, per via della risistemazione ottocentesca del fronte mare, scomparsi.

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“Le Terrazze di Marmo costruite fra il 1835 e il 1839 su progetto dell’architetto Ignazio Gardella senior”.

Nel 1836 in pieno regno sabaudo la zona venne rivoluzionata con sbancamenti e demolizioni resesi necessarie per l’apertura della “Carrettera Carlo Alberto”, oggi Via Gramsci, voluta dai piemontesi per snellire il congestionato traffico del porto.

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“Brani dell’antico acquedotto medievale”.

Per lo stesso motivo vennero edificate nel medesimo periodo anche le “Terrazze di marmo” abbandonate poi nel 1885 con l’avvento del trasporto ferroviario. Si concepì allora l’apertura di Via S. Lorenzo cosa che comportò la faraonica opera di arretramento degli attuali palazzi della strada e di Via Vittorio Emanuele II, oggi Via Turati verso levante. I portici da palazzo S. Giorgio a Piazza Cavour vennero abbattuti ed ampliata la piazza stessa. Era questa la parte identificata come “Ripa cultellinorum” dal nome dello stretto vicolo a fianco del porticato dove avevano bottega  coltellieri, fonditori, fabbri, lanternai, bilanciai e i laboratori di metallo utili per gli usi di bordo.

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“Dettaglio delle secolari colonne del porticato con il sovrastante acquedotto”. Foto di Leti Gagge

 

Si procedette, a partire dal 1893, a rivoluzionare tutto l’antico assetto del fronte mare con i riempimenti per la costruzione della Circonvallazione a mare (Corsi Quadrio e Saffi), sparirono all’altezza di Via Ponte Calvi fino a Vico Morchi, le costruzioni sopra il porticato e con esse le tracce dell’antico acquedotto medioevale lungo l’originario percorso romano. Nel tratto compreso tra Vico del Serriglio e Via al Ponte Reale se ne possono ancora oggi ammirare brani superstiti.

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“Il fronte mare di Piazza Caricamento com’era un tempo prima dello scempio”.

I bombardamenti della seconda guerra mondiale completarono lo stravolgimento, avendo provocato danni incalcolabili, causarono l’abbattimento di numerosi palazzi circostanti e la cancellazione di contrade intere come il caso dello scomparso Vico Lanterna.

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“L’orrida e blasfema palazzata di cemento con a fianco un’esterrefatta e imbarazzata Torre Morchi”.

Il colpo di grazia, ancora oggi un’offesa inaccettabile al nostro panorama, ce lo ha inflitto il Ministero della Pubblica Istruzione quando nel 1950 innalzò, incastonato fra le torri medioevali, quell’indescrivibile mostro architettonico di cemento che si affaccia molesto ed estraneo in Piazza Caricamento.

Nonostante ciò Sottoripa, con i suoi odori, colori, suoni e profumi mantiene tuttora inalterato il suo fascino “in saecula saeculorum”.

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“Sottoripa all’imbrunire”. Foto di Leti Gagge

Piazza del Carmine…

Pregevole ed imponente edicola barocco secentesca raffigurante il fondatore dei Padri Carmelitani, S. Simone Stock, ordine religioso che, in fuga dalle Crociate, trovò parecchi proseliti nella nostra città, in particolare proprio nel quartiere del Carmine, dove eresse nel 1262 la strepitosa parrocchia di Nostra Signora del Carmine e di S. Agnese.
Al suo interno sono stati rinvenuti, durante attività di restauro, affreschi di Manfredino da Pistoia, collega del più celebre Giotto e allievo del Cimabue.

Ospitava inoltre l’altare e la Confraternita dei Camalli.

"San Giovanni apostolo, particolare degli affreschi duecenteschi".“San Giovanni apostolo, particolare degli affreschi duecenteschi”.

Numerose sculture e quadri del Barocco secentesco genovese sono qui racchiuse come dentro a un prezioso scrigno… Nicolò Traverso, G.B. Paggi, G. De Ferrari, G. Assereto, Domenico Piola, G.B. Carlone e Giovanni David hanno lasciato traccia della loro preziosa arte.
Curiosità finale, questa Parrocchia oltre ad ospitare i funerali di Don Gallo, ha battezzato Palmiro Togliatti, padre del Comunismo nostrano.

"Gloria di Sant'Agnese, gruppo marmoreo di Nicolò Traverso".
“Gloria di Sant’Agnese, gruppo marmoreo di Nicolò Traverso”.

Vico e Piazza dell’Amor Perfetto…

Il toponimo trae origine dalla famiglia Finamore che aveva parecchie proprietà nel vicolo.
Un’altra teoria sostiene invece che il nome derivi dalla posa estatica della Madonna di un’edicola votiva, oggi scomparsa, che un tempo adornava il caruggio.
Ma la versione più fascinosa e romantica, anche se priva di fondamento storico, visto l’improbabile scenario logistico, è invece quella che narra del leggendario “intendio”, l’amor platonico fra la nobildonna genovese, Tommasina Spinola e il re di Francia Luigi XII
 
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“Luigi XII entra a Genova, in Italia, il 29 aprile 1507”. >Miniatura da “Voyage de Gênes”. L’opera, del poeta Jean Marot (1450 circa – 1526), fu composta nel 1520 circa a Tours, in Francia, con le miniature dipinte da Jean Bourdichon (Tours 1457 circa – 1521). BnF (Bibliothèque nationale de France), Parigi.

 

Difficile infatti immaginare nella realtà una frequentazione di tali popolari contrade per personaggi di quel lignaggio.
Il re sotto mentite spoglie più volte passò, durante i suoi soggiorni genovesi, in quel vicolo per vedere la sua amata.
Tommasina, fedelissima moglie, morì di crepacuore nel 1505 a causa di questo casto, profondissimo e impossibile amore, dopo aver appreso la falsa notizia della morte del sovrano.
Il re, tornato da nemico a Genova e appresa la triste novella, volle recarsi ancora una volta sotto le finestre dell’amata e lì avrebbe pronunziato la celebre frase “Avrebbe potuto essere l’amor perfetto”.

“Piazza dello Amor Perfetto”.
“Nella piazza un bel sovrapporta di S. Giorgio che uccide il drago”,

“Le finestre di Tommasina”.

Il pittore Ludovico Brea inserì il ritratto della poveretta (ritenuta una delle più belle donne del suo tempo) nel suo celebre capolavoro, intitolato il “Paradiso”, conservato ancor oggi nel museo di S. Maria in Castello.

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“Il Paradiso di Ludovico Brea”.
 
“Luigi XII entra a Genova, in Italia, il 29 aprile 1507”.
Splendida e complessa miniatura da “Voyage de Gênes”.
L’opera, del poeta Jean Marot (1450 circa – 1526), fu composta nel 1520 circa a Tours, in Francia, con le miniature dipinte da Jean Bourdichon (Tours 1457 circa – 1521). BnF (Bibliothèque nationale de France), Parigi.