È questo il tratto terminale, l’antico snodo del percorso dell’acquedotto medievale. Qui infatti svoltando sulla destra si nota un archivolto i cui conci bianco e neri sono i resti di un antico mulino.
Al suo interno, curiosità, è ancora conservata una scaletta in ferro battuto, oggi murata, che serviva agli addetti per ispezionare le vasche di raccolta.
L’acqua proveniente dalle vicine cisterne del Castelletto, dopo aver messo in moto cinque mulini (tutta la collina era destinata ai forni), scendeva nell’odierno Largo della Zecca per poi, con tre ponti sifone, terminare il suo percorso alimentando Porta dei Vacca e il porto.
Ma non finisce qui!
A una storia se ne sovrappone un’altra: infatti prima ancora di essere inglobato nell’acquedotto e poi nei palazzi questo varco costituiva una delle tre porte minori fornite di torretta delle mura del Barbarossa: Portello (Piazza del Portello), S. Agnese (Nunziata) e -appunto- di Pastorezza (Largo della Zecca).
In Copertina: Salita dell’Acquidotto. Foto di Stefano Eloggi.
Vico primo dello Scalo si trova tra via Gramsci e via Prè. Il toponimo richiama l’antichissima vocazione marinara del borgo originario lungo la ripa dove ancora oggi restano tracce dei sostegni in ferro utilizzati per sistemare i remi.
La piazzetta, il vico primo e il vico secondo dello scalo certificano infatti la presenza in loco fin dal 1162, realizzato per volere dei consoli, di uno scalo navale.
In quel periodo infatti tutta la zona, per via della vicinanza con il quartiere del Molo Vecchio, fu coinvolta in una profonda opera di trasformazione ed espansione portuale. Risalgono a quel tempo, oltre ai nuovi attracchi, la Darsena e l’Arsenale.
In Copertina: Vico primo dello Scalo. Foto di Stefano Eloggi.
Una volta superata quest’ultima si giunge ad uno slargo ricavato fra le case chiamato Piazzetta del Pozzetto. A differenza del precedente omonimo vico qui l’ambiente, forse anche per la presenza di una residenza per studenti, è invece lindo e decoroso. Alle circostanti palazzine restaurate con vivaci colori è stata restituita anche un pò di quella vitalità che un secolo fa caratterizzava questo spazio occupato da un paio di frequentate osterie, una delle quali con alloggio.
Sull’origine dell’etimo non vi sono notizie certe anche se non è irrealistico pensare fosse legato alla presenza in zona di un piccolo pozzo.
In Copertina: Piazzetta del Pozzetto ripresa dal lato di Vico Macellari. Foto di Stefano Eloggi.
Da qui si scorge una piccola creuza, Salita Boccafò, che termina poi bruscamente con una scalinata interrotta dai palazzi, costruiti nel dopoguerra, della sovrastante Via Fieschi.
Il toponimo del caruggio rimanda all’antica vocazione tessile artigiana del sito.
I Boccafò infatti originari di Chiavari, esercitavano il mestiere del laniere o (lanaiuolo) che qui anticamente nel Borgo -appunto- dei Lanaiuoli, dove esisteva anche un Vico Lana, aveva il proprio epicentro.
Eppure anche questo dimenticato vicolo della zona del Molo ha la sua storia da raccontare.
Qui infatti fin dal Medioevo aveva sede la corporazione dei cassai ovvero quell’associazione di artigiani che si occupava della costruzione di casse in legno per il trasporto di merci varie sfuse.
Un’attività dunque che, soprattutto in ambito portuale, rivestiva grande importanza.
I cassai infatti dovevano collaudare l’integrita delle casse, assicurarsi che fossero sufficientemente resistenti per sopportare i frequenti urti durante i lunghi viaggi, che non presentassero segni di scasso o aperture dolose e, alla bisogna, essere in grado di ripararle nel piu breve tempo possibile onde non compromettere le tempistiche di spedizionieri e armatori.
In Copertina: Vico Cassai. Foto di Stefano Eloggi.
Leggendo i testi del Pescio, si evince che le colonie genovesi tra il XIII sec. e il 1455 di Focea la Nuova e Focea la Vecchia, (città turche di origine greca) dette le due Focee, erano anche denominate Foglie Vecchie e Foglie Nuove.
In lingua genovese infatti il plurale di Focea, Focee si pronunciava Fogie e da qui dunque latinizzato la trasposizione in Foglie Vecchie e Foglie Nuove.
In Copertina: Vico delle Foglie Nuove. Foto di Stefano Eloggi.
Probabilmente l’origine del toponimo rimanda al fatto che, rispetto agli altri caruggi della contrada, vico Largo è appunto un pò più grande e a quel tempo carrabile.
Qui, oltre ai muri scrostati, sono visibili resti di archetti, una bifora del XV sec e due piccole settecentesche edicole marmoree: di Madonna con il bambino la prima e di Madonna della Misericordia la seconda.
Nel quartiere di Prè vico di Santa Fede prende il nome dall’omonima chiesa che un tempo, punto di assistenza dei pellegrini in partenza per la Terrasanta, era orientata verso il lato della vicina Piazzetta di Metelino.
Alzando gli occhi si nota ancora il campanile della ex chiesa inglobato nel corpo degli circostanti edifici adibiti ad aule universitarie.
Particolarmente suggestivo è l’angusto passaggio di un varco laterale da non confondersi con la vicina omonima porta di Santa Fede.
In Copertina: Vico di S. Fede. Foto di Stefano Eloggi
Da via Prè addentrandosi in quel reticolo di caruggi che collegano con via Balbi si incontrano luoghi sconosciuti ai più.
Causa la nomea non proprio edificante della zona sono pochi infatti quelli che vi si addentrano non privi di un qualche timore.
Eppure si tratta di un dedalo antichissimo ricco di tracce del passato, purtroppo mal conservato, in cui le edicole votive sono scomparse o rovinate.
Pietre di sbrecciati muri tardo medievali con arcate in laterizio spuntano dai prospetto dei palazzi del ‘600.
Il restauro della piazza avvenuto circa una decina di anni fa, se da un lato ha reso più vivibile il luogo, dall’altro non ha saputo tramandarne l’anima.
Al centro della piazza, al posto dello scomparso pozzo, una bella pianta verde infonde tuttavia speranza creando un legame con il passato.
Sia la via che la piazza del Roso infatti devono il nome alla forma latino arcaica per indicare il giunco.
Non tutti gli esperti però concordano con questa spiegazione: secondo alcuni storici invece il toponimo deriverebbe dalla macerazione delle corteccia di quercia ad utilizzo della concia delle pelli, secondo altri dalla denominazione di una località detta del Roso nei pressi di Fontanegli.
In Copertina: Piazza Inferiore del Roso. Foto di Stefano Eloggi.