Salita Inferiore di S. Anna

Salita Inferiore di S. Anna si trova nei pressi di Via Caffaro e conduce alla Circonvallazione a Monte e a Corso Magenta.

Qui, attraversata la strada, si salgono le scalette che portano al Poggio Bachernia che ospita la chiesa di S. Anna.

Usciti dal convento di S. Anna si incontra un cancelletto poco visibile al cui interno si nasconde il piccolo chiostro di un ex convento di monache la cui struttura è inglobata negli edifici confinanti.

All’altezza del civ. n. 26 si possono ammirare gli stucchi settecenteschi di un’edicola votiva che conteneva un dipinto di cui non sono riuscito a trovare informazioni.

Al civ. n 6 il dipinto sec. XVII-XVIII all’interno del medaglione barocco è andato invece perduto.

Nel cortile del civ. n. 22r si trova un’altra votiva che raffigura la Madonna della Misericordia che, contrariamente alla rappresentazione classica con il Beato Botta, stringe fra le braccia un bambino.

In Copertina: Salita Inferiore di S. Anna. Foto di Anna Armenise.

Vico dietro il Coro delle Vigne

In Vico dietro il Coro delle Vigne può capitare al civ. n. 15r di cenare in un ristorante con al centro, su un grande basamento testimonianza di uno scomparso porticato, una marmorea colonna dorica.

Al civ. n. 13r invece si incontra la Bottega degli Incisori del maestro Luca Daum docente presso l’Accademia Ligustica delle Belle Arti.

Disegnatore, orafo e maestro incisore esperto nelle più antiche tecniche di lavorazione: sbalzo e cesello su lastre di metallo e argento. Ideatore di cornici, acquasantiere, reliquiari e arredi sacri.

Stampe alla puntasecca e all’acquaforte, acquatinta, alla cera molle che hanno come protagonisti immagini sacre e scorci dei caruggi.

Salendo da piazzetta Cambiaso verso via della Maddalena si nota, posto sopra una finestrella rossa in ferro battuto, un rilievo rettangolare in pietra che raffigura tre stemmi abrasi.

In Copertina: Vico dietro il Coro delle Vigne. Foto di Giovanni Cogorno.

Vico dei Fregoso

Alle spalle di via del Campo, in quello che un tempo è stato il cuore del secentesco ghetto ebraico, si trovano vico e piazzetta dei Fregoso.

La zona, abbastanza abbandonata e degradata, è ricca di testimonianze del passato: edicole votive portalini in pietra, archetti e vecchi portoni, sono visibili un pò dappertutto.

Purtroppo anche questo caruggio non sfugge alla pratica di presunti artisti da strada, meglio qualificabili come ignoranti incivili, di imbrattare i muri con le loro abominevoli scritte.

Il toponimo del sito trae origine dal nome dell’omonima nobile famiglia polceverasca.

Costoro, chiamati anche Campofregoso, provenienti da Piacenza agli albori del 200 infatti si stabilirono nella valle lungo il torrente Polcevera (“il fiume che porta le trote”) da loro indicata come “Fregosia”.

Fu un casato molto potente che si suddivise in diversi rami e che diede origine ad un plurisecolare strategico dualismo, legato alle alleanze con Francia e Spagna, con gli Adorno.

I Fregoso raggiunsero il loro apogeo infatti con Domenico Campofregoso che nel 1378 si auto proclamò Doge dopo aver destituito dalla carica il rivale Gabriele Adorno

Non pago il pugnace Tommaso tolse ai Fieschi il feudo di Roccatagliata e assicurò l’isola di Malta ai Genovesi.

Il fratello Piero non fu da meno poiché anch’egli, nominato poi Doge nel 1393, riprese Cipro agli infedeli restituendola, in cambio della signoria su Famagosta, al legittimo re.

Anche Giacomo, Tommaso, Spinetta, Giano, Ludovico, Pietro, Battista nei decenni successivi ottennero il dogato.

Paolo a metà ‘400 e Federico un secolo dopo furono cardinali e influenti arcivescovi di Genova.

L’esponente più famoso fu senza dubbio Ottaviano che fu Doge dal 1513 al 1515 e poi, per conto della Francia di Francesco I, governatore fino al 1522 quando la città passò, con il famoso Sacco, in mano spagnola. Morì in carcere ad Ischia, probabilmente avvelenato.

A lui si devono i lavori di ampliamento portuali, la costruzione del campanile di San Lorenzo e l’abbattimento della Fortezza della Briglia presso la Lanterna

Fu una figura di grande rilievo nel suo tempo al punto che Baldassarre Castiglione nl suo “Il Cortigiano” lo celebrò come modello illuminato per i governanti dell’epoca e persino il Guiccciardini nella sua “Storia d’Italia” ne tessè le lodi:

Principe certamente di eccellentissima virtù, e per la giustizia sua e per altre parti notabili, amato tanto in quella Città, quanto può essere amato un Principe nelle terre piene di fazioni, e nella quale non era del tutto spenta nella mente degli uomini, la memoria dell’antica libertà”

Caduti in disgrazia ai Fregoso fu impedito di formare un loro proprio albergo autonomo e nel 1528 furono ascritti in quello dei De Fornaro.

Continuarono a far fruttare il loro valore in armi in qualità di capitani e ammiragli prestando servizio per i veneziani, Papa Giulio II e Francia.

Per questo un ramo dei Fregoso fu fregiato della contea di Verona, un ramo si trasferì a Parigi mentre a Genova si estinsero già nel XIX secolo.

In Copertina: Vico dei Fregoso. Foto di Anna Armenise.

Portale in Vico dei Ragazzi 7r.

Poco prima dell’archivolto che immette in piazzetta Invrea sul fianco del palazzo a cui si accede dal civ. n. 3, si incontrano vestigia di un lontano passato.

Si tratta dei residui al 7r di un portale in pietra di Promontorio risalente addirittura al XIII secolo.

Ormai distrutto resta solo il trave in pietra nera che ritrae in rilievo una Madonna col Bambino racchiusa in una corona di fiori sorretta da due angeli.

Dalle descrizioni precedenti si evince che ai lati erano scolpiti candelabri, uccelli, mostri e figure alati.

In alto sul lato destro dello stipite si nota un medaglione imperiale.

In Copertina: Portale di Vico dei Ragazzi 7r. Foto di Giovanni Cogorno.

L’Archivolto Baliano

In Piazza Matteotti proprio poco prima di immettersi in via San Lorenzo sulla sinistra si incontra un passaggio che collega la piazza con il budello di via di Canneto il Lungo.

Questo varco è noto come archivolto Baliano e prende il nome dall’omonima famiglia che qui aveva le sue proprietà.

L’Archivolto Baliano ripreso da Canneto il Lungo verso Piazza Matteotti.

Tale archivolto, oggi semi tamponato e sovrastato da ulteriori successive costruzioni, è una delle porte della prima cinta muraria di cui si ha traccia del X secolo.

La copertura è stata realizzata nel primo decennio del 2000 per mascherare l’ingombrante struttura di consolidamento con travi metalliche necessarie alla sua stressa staticità.

L’Archivolto Baliano ripreso da Piazza Matteotti verso Canneto il Lungo.

L’esponente più famoso di tale schiatta fu senza dubbio il fisico e matematico Giovanni Battista Baliani o Baliano (Genova, 1582 1667).

La lapide che ricorda il rapporto di amicizia con Galileo Galilei

I suoi studi di meccanica e di astronomia gli valsero, testimoniata da una fitta corrispondenza epistolare, la stima e una venticinquennale amicizia con Galileo Galilei.

L’archivolto prima della copertura. Foto di Mario Caraffini.

Gio Batta Baliano fu anche uno dei principali artefici della costruzione delle Mura Nuove del 1639.

In Copertina: L’Archivolto Baliano ripreso dalla parte di Canneto il Lungo.

Vico Teatro delle Vigne

Tutta la zona contraddistinta dal toponimo delle Vigne ha origine antichissime e presenta continue vestigia medievali.

I nomi dei caruggi rimandano infatti alla vocazione agreste della contrada e omaggiano la millenaria basilica di Santa Maria delle Vigne – per i genovesi- semplicemente le Vigne.

In questo vicolo nel ‘600 aveva sede un’osteria che nel 1702 si trasformò in un teatro popolare.

La struttura interamente di legno contava ben 39 palchetti più un loggione.

Gli spettacoli di dubbia moralità che vi si rappresentavano costrinsero le autorità a numerosi interventi repressivi.

Il teatro, sotto la giurisdizione della nobile famiglia dei Durazzo, si convertì alle rappresentazioni di burattini e di storie sacre fino alla chiusura nei primi anni del ‘800 per motivi di igiene e sicurezza.

Qui ad inizio ‘800 si esibì la Compagnia di Giambattista Sales e Gioacchino Bellone ignari inventori in quel frangente della maschera piemontese Gianduja.

Il nome del loro personaggio principale Gerolamo infatti venne, per non offendere l’omonimo doge (Girolamo Durazzo) cambiato in Giuanin d’la douja (Giovanni della Foglietta) che per contrazione si trasformò in Gianduja.

In Vico Teatro delle Vigne rimane curiosa testimonianza invece di un passato molto più recente in un vecchio cartello di latta inchiodato al muro che avverte:

Contravvenzione £ 1000 e Risarcimento Danni Contro Chiunque non Rispetti i Muri di questi Edifizi Dichiarati Monumenti Nazionali e Contro Chiunque Versi Immondizie o Rifiuti in Questo Transito, Senza Riguardo alla Salute Pubblica e Contro la Moralità… Art. 726-733 Codice Penale.

Banali regole di buona educazione, per altro attuate dalla Repubblica di Genova già in pieno Medioevo, che oggi tra presunti writers e degrado diffuso, sono lettera morta di costante inciviltà.

In Copertina: Vico Teatro delle Vigne con scorcio su Piazza della Lepre. Foto di Giovanni Cogorno.

Vico della Prudenza

In quest’area della zona del Carmine sorgeva in epoca pagana il Tempio della Prudenza.

Da qui l’origine del nome del caruggio dove si presume avesse sede il tempio.

Secondo la tradizione il simbolo della prudenza era la giuggiola.

La giuggiola infatti (zizzoa in genovese) rappresentava la virtù del silenzio e forniva gli ornamenti per il tempio stesso.
Ancora oggi un secolare esemplare di questa pianta fa bella mostra di sé e dà il nome all’ omonima vicina piazza.

In Copertina: Vico della Prudenza. Foto di Stefano Eloggi.

L’Eden è qui… a Genova.

La trasmissione di ieri “Eden un pianeta da salvare” condotta da Licia Colò sulla Sette ha avuto come protagonista in prima serata Genova.

Nel complesso la narrazione non mi è dispiaciuta e l’ho trovata, in linea con il target ecologico del pubblico a cui si rivolge, senza infamia e senza lode.

Forse proprio per via di questo aspetto “green” si è dato ampio risalto alla pista ciclabile ed al trasporto pubblico, temi che in città non riscuotono proprio un consenso bulgaro.

Da Boccadasse con i suoi inconfondibili scorci e relativi racconti legati ai cantautori si è passati poi alle affascinanti atmosfere del centro storico con il suo inestricabile dedalo di caruggi e la magia delle sue botteghe storiche rappresentate, queste ultime, dalla confetteria più antica d’Europa, quella dei Romanengo.

Pazienza se non si è scollinato Capo Santa Chiara per mostrare un altrettanto meraviglioso e incorotto borgo marittimo come quello di Vernazzola.

Un plauso alla buona creanza di aver interpellato, per spiegare ai foresti la meraviglia dei Rolli, il Prof. Giacomo Montanari che ne è l’appassionato curatore.

Il viaggio è poi proseguito alla Spianata di Castelletto da dove, in pieno centro città, è possibile ammirare uno dei panorami più suggestivi della Superba.

Finalmente si è spiegato ai foresti che, come cantavano Fossati e De Andre’:

“Chi guarda Genova sappia che Genova
si vede solo dal mare”

E che l’altra chiave di lettura è quella della verticalità. Pazienza se una volta preso l’ascensore di Castelletto non si è ricordato che, proprio con quell’ascensore, Giorgio Caproni avrebbe voluto andarci in Paradiso.

Quel paradiso, ovvero quell’Eden, che Licia Colò rincorre nei suoi programmi, noi genovesi lo viviamo tutti giorni, privilegiati testimoni della sua incommensurabile bellezza.

La tappa all’Acquario è stata invece abbastanza scontata ma visto appunto il taglio naturalista del racconto, è comprensibile.

Così come comprensibile è stata la citazione di Colombo, la cui abitazione è stato omesso però essere un falso storico ad uso e consumo dei turisti.

Perdonata comunque per aver ribadito l’inconfutabile, documenti alla mano, genovesità dell’esploratore.

Giustificata invece, per via dell’importanza del museo stesso, la sosta al Gàlata, (non Galàta come erroneamente pronunciato) con tutto quel che riguarda la storia della navigazione e relativa testimonianza sull’emigrazione del Direttore Pierangelo Campodonico.

Dell’Antico Porto che poi in realtà è il Porto Antico si è raccontato del Bigo, dipinto solo come un ascensore panoramico senza spiegare cosa rappresenti (sistema di gru per la movimentazione delle merci sulle navi) e del sommergibile Nazario Sauro.

Pazienza se non si è parlato della Biosfera, dei Magazzini del Cotone, di quelli del Sale e dell’Abbondanza, della Città dei Bambini, del vascello pirata Neptune, della pista di ghiaccio in Piazza delle Feste.

Almeno la cinquecentesca porta alessiana del Molo Vecchio però due parole le avrebbe meritate.

Accenno che invece, per fortuna, è stato destinato alla banca più antica del mondo, quella del Banco di San Giorgio.

Interessante invece la bucolica escursione a Pegli nei giardini, di quello che è stato votato come il più bel parco d’Italia, di Villa Pallavicini.

Apprezzabile infine la scenografica chiosa sulle alture da uno dei sedici forti (Forte Begato) che fanno da corona alla città e alla secentesca cinta muraria delle Mura Nuove.

Insomma tutto sommato un gradevole spot pubblicitario che invita il turista a visitare la nostra città con l’augurio di comprendere perché noi genovesi la si ritenga la più fascinosa di tutte.

D’altra parte molti viaggiatori hanno professato la loro predilezione per Genova come ad esempio Cechov che nella sua commedia “Il Gabbiano” ci ha regalato questo inequivocabile dialogo:

Medvedenko: Posso chiedervi, dottore, quale città straniera vi è piaciuta di più?

– Dorn: Genova.

– Trepliov: Perché Genova?

– Dorn: Per le strade di Genova cammina una folla meravigliosa. Quando si esce, di sera, dall’albergo, tutta la strada è colma di gente. Poi te ne vai a zonzo, senza una meta, di qua e di là, a zig-zag, tra quella folla; vivi della sua vita, ti confondi a lei nell’anima; e cominci a credere che possa esistere una sola anima universale …

Genova è la città più bella del mondo”.

In Copertina: La conduttrice di “Eden” Licia Colò con sullo sfondo le imponenti torri di Porta Soprana.

Vico del Gallo

Vico del Gallo fa parte di quella serie di corti caruggi che uniscono via Gramsci a via Prè.

A fine ‘800 il Comune decise di chiamare alcune vie con nomi di animali (ad esempio vico chiuso del Leone, o vico della Tartaruga).

Ecco quindi vico del Gallo il cui toponimo nulla ha a che vedere, né con il Don Partigiano, né con l’omonima famiglia di origine medievale.

Di quest’ ultima va ricordato Antonio, poeta e, soprattutto cancelliere del Banco di San Giorgio, che scrisse un’apprezzata biografia di Cristoforo Colombo.

Dei Gallo già dal 1150 si ha notizia in quel di Levanto. Nel 1528 con la riforma degli Alberghi voluta da Andrea Doria furono ascritti al “Libro della Nobiltà”e confluirono in parte nei dei De Marini, in parte nei Lercaro.

In Copertina: Vico del Gallo.