“U vin giancu de Cônâ”…

Nell’anno 218 a.C., durante la Seconda Guerra PunicaGenova alleata di Roma, subì l’imprevisto e violento attacco di Magone, fratello minore dei più celebri condottieri cartaginesi Asdrubale e Annibale. Distrusse, devastò e saccheggiò la città che, parole sue: “non meritava di essere risparmiata perché priva di una buona vigna” (il nostro vino gli era parso infatti aceto). Probabilmente – dico io -non aveva avuto occasione di assaggiare il bianco di Coronata altrimenti non avrebbe potuto pronunciare tale nefasta sentenza e Genova si sarebbe salvata.

Sulle alture di Cornigliano si erge infatti la collina di Coronata il cui nome deriverebbe da “columnata”, le colonne che erano impiantate nei terreni a confine, o a supporto della vigna stessa. Eh si di vigna stiamo parlando perché per noi genovesi Coronata è sinonimo dell’omonimo vino bianco che da secoli viene prodotto in Val Polcevera nei comuni di Morego, Sestri Ponente, Fegino, Borzoli e, appunto, Coronata.

Oggi, dopo essere stato per anni quasi introvabile, se non nelle cantine di qualche contadino che ne produceva per il fabbisogno familiare, grazie all’intraprendenza di alcune piccole aziende agricole locali (quella di Cognata su tutte che ha ottenuto anche diversi riconoscimenti a livello nazionale) sta vivendo una sorta di rinascita.

Nella galleria dei miei ricordi il profumo fruttato di questo vino mi riporta indietro nel tempo ai primi anni ’90 quando ragazzo, insieme ad altri coetanei, fui ospite ad una cena di un caro amico: ad un certo punto il papà del padrone di casa presentò in tavola una casareccia bottiglia di vetro verde spesso con tappo di sughero artigianale e disse: “Questo è il vero bianco di Coronata… non se ne trova tanto facilmente … assaggiate e ditemi…”. La bottiglia ancora perlata di frigo fu un successo sorprendente e il nostro Trimalcione dovette dare fondo alle scorte della cantina per accompagnare il nostro pantagruelico pasto a base di pesce amorevolmente preparato dalla padrona di casa.

Non so se il mio giudizio sia influenzato dal piacevole ricordo di quella spensierata serata fra amici ma, quel profumo e aroma non li ho mai dimenticati, un po’ come  il sapore delle madeleines della zia per Proust nel suo celeberrimo “À la recherche du temps perdu”.

Il Papà del mio amico era giardiniere del Comune ed era entrato in possesso di una vera partita di Coronata regalatagli da un contadino del luogo che intendeva così sdebitarsi per un intervento da questi effettuato nella sua vigna, per risistemare alcuni viticci.

Il Val Polcevera Coronata si produce con le uve dei vitigni Bianchetta Genovese,Vermentino e Albarola da soli o congiuntamente per almeno il 60%; possono inoltre essere utilizzate le uve dei vitigni Pigato, Rollo e Bosco per un massimo del 40%. Deve avere una gradazione alcolica non inferiore a 11 gradi. Va consumato entro un anno dalla vendemmia e va servito ad una temperatura tra i 10 e gli 11 gradi.

“Il Bianco di Coronata etichetta Cognata”.

Il Coronata ha un colore tonico, non slavato, e al naso ha una fragranza intensa, con note di frutta bianca un po’ macerata. Nell’assaggio colpisce subito la vena salata intensa, affilata, e un sottile amaro finale, così delicato da risultare in definitiva elegante.

La caratteristica più tipica del bianco di Coronata è il suo sentore di zolfo che qualcuno sostiene fosse generato dalle abbondanti dosi di verderame utilizzate nelle vigne mentre altri, vogliono che lo zolfo provenisse dai fumi delle vicine acciaierie. “U vin giancu de Cônâ” si accompagna al pesce in  generale al “ciupin” – la zuppa di pesce ligure – alle acciughe all’ammiraglia, ai totani e cavoli ripieni in particolare e, secondo alcuni, può essere una valida alternativa alla Bonarda (vino rosso) per il classico abbinamento fave e salame di S. Olcese.

E se non è dato sapere se Magone l’avesse assaggiato e se gli fosse piaciuto o meno certamente Stendhal ne era rimasto più che soddisfatto a tal punto da citarlo nel suo famoso “Viaggio in Italia”.

“Grande è la fortuna di colui che possiede una buona bottiglia, un buon libro e un buon amico”. Cit Molière.

“Piano piano Genova si rifà”…

“Naturalmente non esiste la città perfetta ma nel mio immaginario… la città perfetta è Genova.
Lo capisco che è una risposta di parte ma Genova è una città straordinaria.
É una città di pietra ma al tempo stesso una città di mare … É una città che cambia continuamente … le navi che vengono e che vanno, è come se cambiasse ogni cinque minuti, ogni mezz’ora.
É una città straordinaria”. A pronunziare questa appassionata dichiarazione d’amore è Renzo Piano che così prosegue:
“É una città silenziosa, attenta, introversa, un po’ selvatica però allo stesso tempo straordinariamente potente … Il Centro Storico, che è di pietra, è il luogo della certezza, della protezione ; il mare è il luogo dell’avventura…”

“Si dice che i Genovesi siano tirchi, in realtà io credo profondamente che siano parsimoniosi ed è una qualità straordinaria che si è un po’ dimenticata … qui non si spreca niente funziona perfettamente sempre… funziona a tavola, funziona nel lavoro, funziona nei rapporti tra le persone…

“In primo piano una corda marsa d’aegua e de sa, al centro il Bigo davanti al Millo si specchia nel mare cobalto. Dietro il Salone delle Feste”. Foto di Leti Gagge.

A Genova la prima cosa che ti viene in mente è andartene, andartene per scoprire il mondo” – continua Piano – “Dice Calvino che ci sono due tipi di Genovesi: quelli che restano attaccati agli scogli come le patelle e quelli che invece partono e vanno a girare per il mondo”.

É vero, ha ragione l’architetto “andarsene per scoprire il mondo” come in passato hanno fatto i suoi figli più illustri e mi riferisco a Guglielmo Embriaco, Benedetto Zaccaria, Cristoforo Colombo, Andrea D’Oria, Giuseppe Mazzini, Garibaldi, tanto per citare i primi che mi vengono in mente. E che dire poi di Fabrizio De Andrè che proprio a Ponte Morosini nel Porto Antico, un nido di gabbiano per il ritorno se lo era preparato? In realtà tutti avevano una seconda cosa in mente e soprattutto in fondo al cuore, cioè quella di ritornare un giorno fra le braccia della propria madre, Genova, e poterle dire: “Hai visto mamma come sono stato bravo?”.

Anche Renzo Piano non si è sottratto a questo sentimento intimamente genovese del “a pösâ e össe dove’hò mæ madonnâa” e dopo aver girato il mondo, aperto studi in tutti i continenti e aver mostrato per oltre mezzo secolo il proprio talento ovunque, da tempo è ormai tornato al suo nido di Vesima nel ponente cittadino.

“Interni del luminoso studio di Renzo Piano a Vesima”.

Dopo aver restituito a Genova nel 1992 il suo naturale accesso al mare realizzando l’Expo con tutte le sue relative attrazioni è tornato per regalare alla sua città natale una nuova visione del suo porto e del suo “water front”.

“A Genova non manca niente per essere europea. Nel ‘600, il siglo de oro, è stata una capitale mondiale e non ha mai perso quelle caratteristiche che l’hanno resa unica. […] Spero che chi non c’è mai stato capisca la sua bellezza, troppo spesso nascosta e silenziosa”, a quel tempo rammentava l’architetto che continua:

“Genova, è una delle città più belle del mondo. Prima del ’92 il porto era separato dalla città, ma da allora Genova ha potuto ritrovare il suo contatto con il mare e ristabilire un rapporto con l’acqua”.

“Il progetto della nuova configurazione del fronte mare a levante”.

L’architetto Renzo Piano nei mesi scorsi ha rinnovato il suo sogno regalando  il progetto che cambierà il volto di oltre 2 km di lungomare cittadino, da Porta del Molo (per tutti erroneamente Porta Siberia) alla Foce, un dossier di 17 fogli vergato “Renzo Piano Building Workshop s.r.l”.

Il nuovo progetto prevede alcune varianti rispetto al vecchio “Blueprint” respinto dalle precedenti giunte. Ora spetta alle istituzioni e alle amministrazioni locali che finalmente sembrano aver apprezzato, trovare i fondi per realizzare l’opera, che permetterà di proseguire la passeggiata di corso Italia, a piedi o in bicicletta, fino a Porta Siberia al Porto Antico.

L’idea è quella di «riportare l’acqua dove già c’era», ha spiegato Renzo Piano tenendo conto di alcuni punti fermi, come la riqualificazione del palasport e la convivenza, in giusta proporzione, fra cantieri navali ed edifici residenziali.

Certo le città di mare godono di un indubbio fascino che le favorisce rispetto alle altre, fra queste, Barcellona e Lisbona risultano essere fra le più gettonate. E pensare che, senza nulla toglier alla loro turistica bellezza, la città catalana e la capitale lusitana sono solo delle fotocopie, per altro sbiadite, della nostra Superba. Come sentenziava Cechov ne “Il Gabbiano” Genova è la città più bella del mondo. Genova sa bene di esserlo e non se ne preoccupa, i Genovesi invece che non lo avevano capito, forse ora stanno iniziando a cambiare idea.

“L’architetto Renzo Piano”.

“Ha una distesa di cupole, di monti calvi,di mare,

di fiumi, di neri fogliami, di tetti rosa.

E quella Lanterna così alta ed elegante,

e meandri popolosi, labirinti affollati,

le cui viuzze salgono, scendono, si intersecano improvvisamente,

sbucano sulla veduta del porto.

Genova, una città piena di sorprese.

Di porte scolpite in marmo, ardesia, casse, formaggi, scale,

biancheria al posto del cielo, cancellate,

bizzarro dialetto dal suono nasale e irritante,

dalle abbreviazioni strane, vocaboli arabi o turchi.

Mentre Firenze si contempla

e Roma si sogna

e Venezia si lascia vedere.

Genova si fa e rifà”.

Lasciamo dunque al nostro illustre concittadino la possibilità di rinverdire gli ispirati versi di Paul Valery: “Genova si fa e si rifà”. ”Piano piano Genova Renzo Piano si rifà”.

“I Genovesi sono di due tipi”…

Certo l’anagrafe recita “Santiago de Las Vegas de La Habana” come luogo di nascita di Italo Calvino ma lo scrittore, sanremese di origine e cultura, esprime in tutta la sua feconda poetica una sensibilità e appartenenza del tutto ligure. Egli stesso infatti racconta:

“Il mondo di cui sto parlando ha questo di diverso da altri possibili mondi, che uno sa sempre dove sono il levante e il ponente in tutte le ore del giorno e di notte […] ogni orientamento per me comincia da quell’orientamento iniziale, che implica sempre l’avere sulla sinistra il levante e sulla destra il ponente, e solo a partire di lì posso situarmi in rapporto allo spazio, e verificare le proprietà dello spazio e le sue dimensioni.

Una Liguria decritta dai poeti e pioniera del turismo a cavallo tra ‘800 e ‘900 che Calvino omaggia sì ma non tralasciando l’aspetto più sincero e segreto del ligure, quello laborioso e riservato di coloro i quali lavorandola quella terra, l’hanno nobilitata.

“Italo Calvino”.

“Dietro la Liguria dei cartelloni pubblicitari, dietro la Riviera dei grandi alberghi, delle case da gioco, del turismo internazionale, si estende, dimenticata e sconosciuta, la Liguria dei contadini”.

Un viaggio che prosegue nei ricordi di bambino di una bucolica e spensierata infanzia:

“Genova ripresa dall’alto con al centro il suo bacino portuale che ricorda la forma dell’ombelico”.

“Finiti gli orti, cominciava l’oliveto, grigio-argento, una nuvola che sbiocca a mezza costa. In fondo c’era il paese accatastato, tra il porto in basso e in su la rocca; ed anche lì, tra i tetti, un continuo spuntare di chiome di piante […] Sopra gli olivi cominciava il bosco. I pini dovevano un tempo aver regnato su tutta la plaga, perché ancora s’infiltravano in lame e ciuffi di bosco giù per i versanti fino sulla spiaggia del mare […] Più in su i pini cedevano ai castagni, il bosco saliva il bosco saliva la montagna, non se ne vedevano confini. Questo era l’universo di linfa entro il quale noi vivevamo…”
E per un ligure – si sa – Genova rimane comunque il fulcro di tutto, il metro con cui misurare le cose, l’ombelico del mondo:

“La realtà e la storia di Genova possono essere una chiave per capire qualche carattere di fondo che è di tutta la Liguria: suo limite e insieme sua forza. Se è decadentismo volgersi al passato per assaporarne l’agonia, Genova è una città così poco decadente da tenersi stretto il proprio passato fin quasi a non vederlo, portandolo con sé nel presente, che è la sua vera dimensione. Se è narcisismo non sapersi staccare dalla contemplazione della propria immagine, Genova è così poco narcisista che della propria immagine non sa né se ne cura, tutta presa com’è da quello che fa e mette insieme e moltiplica”.

I Genovesi sono un popolo assai attaccato alla propria terra, tradizioni, cultura e Calvino ne distingue di due principali tipi: “quelli che restano attaccati agli scogli come le patelle e quelli che invece partono e vanno a girare per il mondo”.

I più grandi – aggiungo io – quelli che hanno contribuito a migliorarlo quel  mondo appartengono a quest’ultimo. Chi scrive questo racconto, più modestamente, al primo.

“Così parlò Zarathustra”…

Nietzsche soggiornò più volte a Genova e lungo la riviera di Levante. Qui visse i suoi anni più felici e creativi dove nei periodi di tregua che la malattia gli concedeva trascorreva il suo tempo indisturbato intento a comporre i suoi scritti.

Fu così che durante uno di questi soggiorni alla fine di novembre del 1882 partì per Santa Margherita e tornò a Genova solo nel febbraio dell’anno seguente. L’euforia degli ultimi due anni era svanita: gli restavano pochi amici, il suo malessere fisico peggiorava e, dopo essere stato respinto dall’amica Lou, cominciò la stesura del manoscritto del “Così parlò Zarathustra”.

“Salita delle Battistine”. Foto di Leti Gagge.

Si accentuava la sua alienazione, voleva nascondersi dal resto del mondo. In una lettera del 22 febbraio 1883, spedita da Rapallo, scrive all’amico Franz Overbeck: “Sabato partirò per Genova, lì il mio indirizzo sarà (per favore non darlo a nessuno): Genova (Italia), Salita delle Battistine 8 (interno 6)”.

“Il portone del civico dove dimorò il filosofo”.

A scuola nessuno me lo aveva raccontato ma l’opera che forse più di ogni altra ha influenzato il pensiero occidentale del Novecento “Così parlò Zarathustra” appunto, è stata ispirata da Genova e concepita proprio davanti al suo mare. Forse se da ragazzo lo avessi saputo avrei affrontato lo studio di questo filosofo con tutt’altro interesse e solo da adulto, con questa consapevolezza, mi sono cimentato nel leggere sul serio le sue opere.

A raccontarlo è lo scrittore stesso che così descrive nei suoi appunti durante una passeggiata tra Zoagli e Portofino il magico momento della creazione:

“La mattina andavo verso sud, salendo per la splendida strada di Zoagli, in mezzo ai pini, con l’ampia distesa del mare sotto di me; il pomeriggio, tutte le volte che me lo consentiva la salute, facevo il giro di tutta la baia di Santa Margherita, arrivando fin dietro Portofino. Questo luogo e questo paesaggio sono diventati ancora più vicini al mio cuore per il grande amore che l’indimenticabile imperatore tedesco Federico III ha avuto per essi; per caso mi trovavo di nuovo su questa costa nel’’autunno 1886, quando egli visitò per la prima volta questo piccolo dimenticato mondo di felicità. – Su queste due strade mi venne incontro tutto il primo Zarathustra, e soprattutto il tipo di Zarathustra stesso: più esattamente, mi assalì…”

“Passeggiata a mare di Zoagli”.
“Scorcio di sentiero nei dintorni di Zoagli”.

Spesso frequentava la passeggiata a mare “Principessa di Piemonte” (oggi Anita Garibaldi) di Nervi e prendeva appunti seduto sugli scogli.  Durante la permanenza nella nostra regione compose numerose poesie ispirate da Genova e, oltre al “Così parlò Zarathustra”, anche alcune delle sue altre principali opere che sarebbero poi diventate pietre miliari dello spirito occidentale quali: “La Gaia Scienza”, “Gli idilli messinesi” e “Aurora”.

Non ultimo “L’Ecce Homo” pubblicato postumo, una sorta di biografia e sintesi del suo percorso umano e filosofico, che profuma di mare:

“Quasi ogni frase del libro Ecce Homo è stata ideata, pescata in quel guazzabuglio di scogli vicino a Genova, dove io stavo solo e scambiavo ancora segreti col mar”.

In copertina: Passeggiata Anita Garibaldi. Foto di Stefano Eloggi.

“Come nelle favole”…

Il viaggio in Italia, per quelli che se lo potevano permettere costituiva tappa obbligata per la formazione culturale dell’artista: pittori, scultori, romanzieri, scrittori, poeti e filosofi  provenienti da ogni angolo d’Europa percorrevano il Bel Paese assetati di conoscenza, famelici di bellezza, in cerca d’ispirazione.

Nel 1833 anche un giovane e ancora sconosciuto Hans Christian Andersen arrivò a Genova dove rimase meravigliato ad ammirare il mare. I colori erano più intensi, nitidi, vivaci rispetto a quelli a cui era abituato sulle coste della sua terra natia, la Danimarca. Un’esplosione di mediterranea  bellezza che lo incanta come una fiaba e lui si che di fiabe se ne intendeva.

L’autore di celeberrime favole quali, fra le tante, “La Principessa sul Pisello”, “La piccola fiammiferaia”, “La Sirenetta” o il “Brutto Anatraccolo” (“I Vestiti dell’Imperatore la mia preferita”) racconta nei suoi appunti di essersi perso nel dedalo dei  caruggi  nel tentativo di raggiungere il teatro Carlo Felice dove aveva intenzione di assistere all’opera “Elisir d’Amore” di Gaetano Donizetti.

“Limoni di S. Ilario”. Foto di Leti Gagge.

“Per la prima giornata, il viaggio da Genova verso sud, lungo il mare, è uno dei più belli che si possano fare. Genova poi sorge sulle colline, in mezzo ad oliveti verdi-azzurri. Nei giardini crescevano aranci e melograni, e i lucenti limoni verde pallido facevano pensare alla primavera, proprio allora che noi scandinavi ci approssimiamo all’inverno. I temi degni d’un quadro succedevano l’uno all’altro; per me tutto era nuovo e indimenticabile, e vedo ancora adesso gli antichi ponti ricoperti d’edera, i cappuccini per la strada e le schiere di pescatori genovesi con i berretti rossi in testa. La costa era tutto uno splendore, con le belle ville e il mare costellato di velieri e vapori dai camini fumanti”.

“Statua di Andersen che emerge dalle acque del porto di Odense, sua città natale”.

Lasciata in eredità a Genova questa solare e vitale descrizione, colorata come un quadro impressionista di Monet, Andersen si diresse verso Sestri Levante. In onore di questo suo soggiorno nel Tigullio una delle due baie del golfo sarà chiamata (grazie ad una felice intuizuone di Enzo Tortora) la Baia delle Favole e dal 1982 costituirà impareggiabile scenario del premio internazionale di narrativa per l’infanzia a questi intitolato.

In Copertina: Panorama di Genova dalla spianata di Castelletto. Foto di Leti Gagge.

“Come un sogno Genova si sprofonda nel mare”…

Paul Klee giunse in Italia nel 1901 alla ricerca d’ispirazione dato che non aveva ancora deciso se intraprendere, come i suoi genitori l’attività di musicista, o quella di pittore. Le impressioni dell’artista  al suo arrivo a Genova  sono annotate in un libercolo intitolato “Diario Italiano” composto fra l’ottobre del 1901 e il maggio del 1902.

“Del mare avevo un’idea approssimativa, non però della vita in un porto. Vagoni ferroviari, minacciose gru a vapore, carichi di merce e uomini lungo argini di solida muratura, funi da scavalcare. Sfuggire ai barcaioli: «Giro del porto, panorama della città!», «Le navi da guerra americane!», «I fari!», «Il mare!». Sedersi sui grossi cavi di ferro. Clima insolito. Piroscafi da Liverpool, Marsiglia, Brema, la Spagna, la Grecia, l’America. Rispetto per la grandezza del globo terrestre. Centinaia di vapori accanto a innumerevoli vaporetti, velieri, rimorchiatori. E gli uomini, poi? le figure più strane, col fez. Qui, sugli argini, emigranti, italiani del Sud, accoccolati al sole (come lumache), gesticolare da scimmie, madri con lattanti al petto, i bambini più grandicelli che giocano e si bisticciano. Un vivandiere si fa largo con un recipiente fumante di «frutti di mare». Colpisce l’odore d’olio e di fumo. Donde proviene? Poi gli scaricatori di carbone, belle figure robuste, il torso nudo, agili e veloci, col carico in groppa (in testa un fazzoletto, a riparo dei capelli), sulla lunga passerella su al magazzino, per la pesatura. Poi, liberi, per un’altra passerella giù al piroscafo, dov’è pronta un’altra cesta piena. Così in incessante giro, uomini abbronzati dal sole, neri di carbone, rudi, sprezzanti. Lì un pescatore. L’acqua schifosa non può contenere nulla di buono. Non pesca nulla, e neppure gli altri. Gli arnesi: una corda, con un sasso attaccato, una zampa di gallina, un mollusco.
Sugli argini case e magazzini. Un mondo a sé. Noi semplici oziosi. Eppure fatichiamo, almeno con le gambe”.

“Castello e Sole”. Tela del 1928 di Paul Klee.

“Case alte, fino a tredici piani, vie strettissime nella città vecchia, fresche e maleodoranti, di sera una fitta folla, durante il giorno quasi solo bambini. I loro panni sventolano come bandiere di una città in festa. Cordicelle tese da una finestra a quella di fronte. Durante la giornata sole pungente in quelle viuzze, riflessi metallici del mare, dovunque una luce abbagliante. Con tutto questo, le note di un organetto, un mestiere pittoresco. Attorno bambini che ballano. Il teatro nella realtà. Ho portato molta malinconia oltre il San Gottardo. Dioniso non ha effetti semplici su di me”.

“Il pittore fotografato nel suo studio”.

“Il viaggio per mare è stato un avvenimento. Come andava gradatamente sparendo lontano, la grande Genova notturna, disseminata di luci, assorbita dal chiaro di luna, così come un sogno trapassa in un altro! […] Come un sogno Genova si sprofonda nel mare. Sono morto per questo mondo, dileguato con l’ultima luce? Oh, fosse così! Sarebbe possibile?”.

L’immagine onirica di Genova che “come un sogno si sprofonda nel mare” è, a mio modesto parere, quanto mai pertinente e suggestiva: uno splendido dono che i genovesi hanno voluto contraccambiare nel 1967 intitolando al pittore il principale liceo artistico cittadino.

Ma non solo poichè a progettare nel 2005 il museo di Berna a questi interamente dedicato è stato il nostro apprezzato architetto Renzo Piano.

“Genova è magnifica… il bacio dell’Italia”…

Attratti dal clima mite e dalla varietà dei panorami l’Italia fu per i russi quasi una seconda patria: dalle montagne più impervie alle sinuose colline della Toscana, dalle Alpi con i laghi alle riviere distese sul mare. Artisti, scrittori, diplomatici, politici, rivoluzionari infatti, avidi di sole e mare, frequentavano il Mar Ligure, il Tirreno, il golfo di Napoli.

A questo intimo bisogno non si sottrasse nemmeno Nikolaj Vasil’evič Gogol ucraino di nascita ma russo di cultura. Anch’egli travolto da questo romantico sentimento di cui soffriva ogni spirito libero ansioso di visitare e conoscere la cultura, l’arte e la bellezza italiche.

Nelle lettere spedite in patria dalla città eterna, sotto forma di racconto con protagonista sé stesso, così raccontò il suo incontro con l’Italia il cui primo impatto avvenne proprio a Genova:

“Genova è magnifica, moltissime case somigliano piuttosto a palazzi, adorne di quadri dei migliori pittori italiani, però le strade sono così strette che due persone affiancate non riescono a passarci. In compenso, sono lastricate di marmo e molto pulite.”

“Statua del poeta a Mosca”.

Il protagonista si sente avvolto da una sensazione molto spirituale, dovuta al profumo molto intenso, che proviene dalle porte aperte delle chiese, l’aroma d’’incenso che emana dalle stesse: “Ricordò che già da anni non era stato in chiesa… entrò silenzioso e s’inginocchiò vicino alle splendide colonne di marmo e pregò a lungo, incosciente lui stesso dell’oggetto delle sue preghiere; pregò di essere accolto dall’Italia, che gli venisse concesso il desiderio di pregare, che l’anima sua era allegra ora e questa sua preghiera davvero era migliore”.

E ancora…

“Gogol’ ritratto da Moller, 1840, Galleria Tret’jakov Mosca”.

Era difficile descrivere il sentimento che lo colse alla vista della prima città italiana, la magnifica Genova. Si innalzarono su di lui i suoi campanili policromi, le chiese rigate di marmo bianco e nero e tutto il suo anfiteatro turrito che all’improvviso lo circondò da ogni parte, nella sua raddoppiata bellezza, quando il piroscafo giunse al molo. Non aveva mai visto Genova prima di allora. Quel gioco di case, chiese e palazzi dai mille colori nell’aria tersa di un cielo che brillava di un incredibile azzurro, era unico. Sceso sulla riva, si ritrovò all’improvviso nelle buie viuzze lastricate, strette e meravigliose, con in alto un’esile striscia di cielo azzurro. Lo colpì questa vicinanza tra le case, alte, enormi, l’assenza del rumore delle carrozze, le piccole piazzette triangolari e tra di loro, simili a stretti corridoi, le linee sinuose delle vie, riempite dalle botteghe degli argentieri e orafi genovesi. I pittoreschi veli di pizzo delle donne, appena mossi dal tiepido scirocco; le loro camminate decise, il fragoroso vocio nelle vie; le porte aperte delle chiese, l’odore di incenso che ne usciva, tutto ciò fece soffiare su di lui una brezza di cose lontane e passate. […] In poche parole, egli ripartì da Genova con il ricordo di una bellissima sosta: era lì che aveva ricevuto il primo bacio dell’Italia.

In Copertina: Campanili genovesi, le Vigne, Santa Maria in Passione, San Lorenzo.

Foto di Leti Gagge.

“Genova è la più tortuosa”…

“Genova è il viluppo topografico più intricato del mondo e anche una seconda visita vi aiuta poco a dipanarlo. Nelle meravigliose strade genovesi curve, tortuose, ripide, vertiginose, misteriose, il visitatore è realmente e totalmente immerso nel tradizionale bozzetto italiano”.

Così annotava Henri James nella sua raccolta di scritti di viaggio dedicati all’Italia, composti fra il 1872 e il 1909.

“La targa che attesta gli illustri ospiti dell’albergo”.
“Torre Morchi il cui interno ospitava l’Hotel Croce di Malta”. Cartolina tratta dalla Collezione di Stefano Finauri.

Henry James nel 1877 soggiornò a Genova dove prese alloggio all’Albergo Croce di Malta. Ce lo ricorda una lapide posta all’angolo tra i portici di Sottoripa e vico Morchi, ai piedi dell’omonima Torre al cui interno si trovava l’hotel che lo ospitò. Scolpiti nel marmo gli altri illustri viaggiatori che, con la loro presenza, nobilitarono la pensione: tra gli altri, Giuseppe Verdi, Stendhal, Mary Shelley, Mark Twain e, appunto, Henry James.

Lo scrittore rimase affascinato dalla singolare morfologia dei caruggi, dalla magnificenza e dagli atri misteriosi dei palazzi e dalla straordinaria vitalità delle persone che vi abitano, prosegue infatti:

“Le alte palazzate e le tinte pastello di Via Porta Soprana”. Foto di Leti Gagge.
“Salita Inferiore di San Rocchino a Castelletto”. Foto di Leti Gagge.

“Come ho accennato, Genova è la più tortuosa e incoerente delle città; distesa qua e là sui fianchi e sulle creste dei dodici colli, è segnata da precipizi e burroni che sono irti di quegli innumerevoli palazzi per i quali, fin dalla prima volta che ci siamo stati, abbiamo udito che il luogo è famoso. Questi grandi edifici, con quelle forme variegate e un po’sbiadite, innalzano i loro enormi cornicioni ornamentali ad altezze vertiginose, dove, in un certo modo indescrivibilmente disperato e pieno di desolazione, sorpassandosi l’un l’altro, sembrano riflettere lo sfavillio e lo splendore del caldo Mediterraneo. Giù a pianterreno, nelle vie strette e senza sole, la gente si muove di un moto perpetuo, andando e venendo, oppure fermandosi sugli ingressi cavernosi o sulla soglia dei negozi bui e affollati, parlando, ridendo, chiacchierando, lamentandosi, vivendo la propria vita in quel modo fatto di conversazione che è tipicamente italiano”.

“Ritratto di Henri James”.

Henri James americano di nascita ma inglese di cultura si lasciò infine andare ad una profonda riflessione forse in antitesi con la sua formazione intellettuale in cui si abbandonava ad una romantica considerazione:

“Camminai per lungo tempo a caso attraverso le tortuose stradine della città, dissi a me stesso, non senza un accento di trionfo privato, che qui almeno c’era qualcosa che era pressoché impossibile modernizzare”.

Il fascino di Genova aveva fatto breccia nell’animo del romanziere.

In Copertina: Salita alla Spianata di Castelletto. Foto di Leti Gagge.

“Il Campo fortificato di Satana”…

Durante il viaggio intrapreso in Italia nel 1857 Melville raccolse le sue impressioni, sotto forma di appunti, redigendo il “Diario Italiano”.

A Genova l’autore di “Moby Dick” stanziò solamente tre giorni, dall’11 aprile al 14 aprile. La sua descrizione è frettolosa, quanto il soggiorno in città per questo commette anche errori cronologici di registrazione ma la sua sinteticità è efficace e trasmette le impressioni che gli ha suscitato Genova mentre la scruta passeggiando per le strade.

Ne esce un quadro non del tutto lusinghiero dove le erte strade gli ricordano la Scozia e i palazzi tanto decantati lo deludono. In compenso il panorama dalla Lanterna ed i percorsi lungo le mura lo affascinano non poco.

Sabato: “Alle dieci preso il treno per Genova, più di cento miglia. Piacevole per qualche tempo. Attraversata una contrada piacevole. Molto popolosa e intensamente coltivata. Ci avviciniamo agli Appennini, paesaggio stupendo. Strade costruite con grande abilità e alto costo. Numerosi finché arriva il grande tunnel – lungo due miglia – Arrivato a Genova con la pioggia alle tre del pomeriggio. La valigia è caduta dalle spalle di un facchino maldestro ho avuto paura di guardare cos’era successo agli oggetti di Kate.

“Herman Melville”.

Sono sceso all’Hotel Feder sul lungomare. Passeggiato per la Strada Nuova. I palazzi son meno belli di quelli di Roma, Firenze e Venezia. Una caratteristica sono i dipinti di architetture invece che della realtà. Ogni sorta di elaborata architettura è rappresentata negli affreschi – Il detto di Machiavelli secondo il quale l’apparenza della virtù può essere vantaggiosa quando la realtà lo sarebbe meno – Strade come quelle di Edimburgo, soltanto più erte e aggrovigliate.

“La Torre dei Morchi sede un tempo del prestigioso Hotel Croce di Malta”.

Mi sono arrampicato per una di esse per via del paesaggio – mangiato alla table d’hotel. Bella sala. L’hotel occupa un antico palazzo. A sera a spasso lungo la passeggiata presso il porto. Hotel di molti piani. La torre dell’Hotel Croce di Malta. Vista sulle colline in lontananza”

Domenica: “Fatto colazione al caffè. Cioccolata. Alla passeggiata pubblica sui bastioni. Si guarda all’ingiù. Soldati. Una brigata di uomini tutt’altro che eleganti. Alla Cattedrale. Marmi bianchi e neri in disposizione alternata. Il bassorilievo a “graticola” – bello l’interno. Torre.

“Il Bassorilievo della Passio di S. Lorenzo nella lunetta della cattedrale”.

Il Palazzo Ducale.Tutti in piazza. Schiere di donne. L’acconciatura genovese. Ondine e fanciulle. Semplice e grazioso. Ricetta per rendere attraente una donna senza particolari doti. Preso l’omnibus (2 soldi) fino all’estremità del porto. Il faro (alto 300 piedi). Ci son salito. Vista superba. La costa verso il sud. Un promontorio. Tutta Genova e le sue fortezze, la loro esterna solitudine. La desolazione, l’aspetto selvaggio delle valli che intercorrono sembrano fare di Genova la capitale e il campo fortificato di Satana; fortificato contro gli Arcangeli. Le nuvole che si addensano sui bastioni sembrano immaginarie. Sono andato sulla parte orientale del porto e ho cominciato il giro della terza linea di fortificazioni.

“La Lanterna”.

I bastioni guardano a picco sul mare aperto, arcate lanciate sugli scoscendimenti. Bei paesaggi di parti della città. Su e su. Penitenziario per galeotti. Le grate si aprono sulla vista del mare – sull’infinita libertà. ho continuato sempre il giro. Bloccato. Andato alla passeggiata pubblica. Mi sono arrampicato per un sentiero scosceso fino a una chiesetta (bella vista del mare dal portico). Di là più in alto e sono giunto ai bastioni. Magnifica veduta della valle profonda che sta dall’altra parte – di Genova e del mare. Su e su, sempre più bello, fino a che ho raggiunto la vetta. Ho visto le due vallate intorno e il crinale nel quale si congiungono per formare il sito delle fortezze più alte. grande popolosità di queste vallate. Solitudine di alcune delle fortezze più in alto. i terreni inclusi nella terza linea di fortificazione. Vallette scoscese prive di vegetazione. Polveriere solitarie. Desolato come una valletta dell’altopiano di Scozia. Disceso con grande fatica attraverso un sentiero irregolare e giunto presso il Palazzo Doria. Un greco vicino a me. Di fronte a me delle persone che ridono sguaiatamente. Passeggiata al porto. Mi sono fermato con il greco al caffè-giardino. Bel posto con fontane, archi eccetera. A letto alle otto e mezzo. Per tutto il giorno sembrava che stesse per piovere, ma ha tenuto”.

“Il perimetro delle seicentesche Mura Nuove”.
“Genova dalle alture”. Foto di Leti Gagge.

Lunedì. – Cioccolata al caffè. Antico muro della dogana. Ho visitato i palazzi. Stile differente da quelli di Roma. Grandi atrii che precedono i cortili. Ma vedi la guida. Mi hanno mostrato in gran fretta alcuni palazzi, il Palazzo Rosso in particolare. Vento forte. Presto in albergo, risultato dello sforzo di ieri.

A pranzo ho incontrato il Commissario del ” Constitution”. A letto alle otto”.

Martedì – Ho preso il treno alle sei antimeridiane diretto ad Arona sul Lago Maggiore. Ho incontrato il tenente Fauntleroy alla stazione. Piacevole viaggio attraverso un paese nuovo. Alle due del pomeriggio imbarcato ad Arona su un piccolo vapore[…]”.

Buon viaggio Capitano Achab!

“Genova dal mare…”

All’apice del successo, lo scrittore Guy de Maupassant nell’autunno del 1889 intraprese, a bordo del suo panfilo “Bel Ami II”, il suo ultimo viaggio in Italia, una traversata che dalla Francia lo avrebbe condotto in Toscana passando dalla Liguria.

Durante la navigazione sostò a Porto Maurizio, Bordighera, Sanremo, Savona, Genova, Portofino, Rapallo e Santa Margherita.

Della visita alla Superba il ricordo fu contraddittorio: se da un lato la passeggiata, a parte l’opulenza dei palazzi, deluse il poeta, dall’altro rimase piacevolmente sorpreso e incantato dalla città vista dal mare:

“Il celebre scrittore francese Guy de Maupassant”.

“Quando si entra in queste magnifiche residenze signorili, che i discendenti dei grandi cittadini della più fiera delle repubbliche hanno dipinto di colori chiassosi, quando se ne paragona lo stile, i cortili, i giardini, i portici, le gallerie, le superbe decorazioni con l’opulenta barbarie delle belle dimore della Parigi moderna, appartenenti a milionari capaci di incassare soldi ma non di concepire e realizzare una cosa nuova e bella, si comprende che nella nostra società democratizzata, composta da ricchi finanzieri senza gusto e da parvenu privi di tradizioni la distinzione data dall’intelligenza, il senso della bellezza delle forme, quello della perfezione nelle proporzioni e nelle linee sono scomparsi”.

“Genova vista dal mare è una delle cose più belle che si possano vedere al mondo.
La città si innalza in fondo al golfo, come se uscisse dai flutti, ai piedi della montagna. Lungo le due coste che si arrotondano intorno a lei per racchiuderla, proteggerla e accarezzarla, vi sono quindici cittadine, serve e vassalle, che riflettono nell’acqua le case dai colori chiari. A sinistra della loro grande patrona ci sono Cogoleto, Arenzano, Voltri, Pra’,Pegli, Sestri Ponente, San Pier d’Arena; a destra, Sturla, Quarto, Quinto, Nervi, Bogliasco, Sori, Recco, Camogli, ultima macchia bianca sulla punta di Portofino, che chiude il golfo a sud est.
Sopra al suo immenso porto, Genova si stende sui primi mammelloni delle Alpi, che si innalzano dietro, curvi e allungati in una gigantesca muraglia. Sul molo, la torre alta e quadrata del faro, detto ‘la Lanterna’, sembra una candela smisurata”.

“Genova vista dal mare è una delle cose più belle che si possano vedere al mondo”. Dal canto loro, circa cent’anni dopo Ivano Fossati e Fabrizio De André avrebbero interpretato la stessa emozione e meraviglia componendo i versi di “Chi guarda Genova” con l’omonimo ispirato incipit del titolo “Chi guarda Genova sappia che Genova si vede solo dal mare…”.