Piazza dell’Agnello

L’origine del toponimo di Piazza e vico dell’Agnello rimanda alla presenza del bassorilievo che rappresenta l’Agnus Dei posto sopra il civ. n. 9.

L’agnello con il vessillo crociato rappresentava sia il Cristo Redentore che il potere genovese e per questo venne adottato come effigie sulle facciate di molti palazzi nobiliari.

Tale simbolo religioso e politico militare al contempo venne addirittura utilizzato nella seconda metà del XIII secolo come sigillo della Repubblica.

La Grande Bellezza…

In copertina: Piazza dell’Agnello. Foto di Leti Gagge.

Le Mura del X secolo

In Via Tommaso Reggio, tra Serravalle e Porta San Pietro, all’altezza del civ. n. 12, è possibile ammirare e toccare uno dei brani di mura più antichi della città, risalente come quello di Vico dei Ragazzi, addirittura alla cinta, (la seconda delle sette), del X secolo.

La superficie protetta di tale cerchia era di circa venti ettari e i principali varchi erano Porta Soprana, Porta di  S. Pietro (visibile ancora oggi sotto forma di archivolto in Piazza cinque Lampadi), quella di Serravalle, addossata a San Lorenzo, quella di San Torpete in zona San Giorgio e quella Castri (nell’odierno Sarzano).

Così il Dellepiane nel suo prezioso “Mura e Fortificazioni di Genova” ne descrive dettagliatamente il percorso:

“La cinta del X secolo che comprendeva dunque parte delle mura preesistenti restaurate ed ampliate presso Sarzano, percorreva la sommità di Ravecca e proseguiva lungo la zona del Broglio di S. Ambrogio escludendone una parte; degradando lungo la faglia occidentale del Broglio, in direzione della torre di Palazzo, fiancheggiano poi S. Lorenzo attraverso il Campus Fabrorum (Campetto), le mura giungevano a San Pietro in Banchi, lasciando fuori l’attuale piazza che “costituiva uno spazio libero esterno alla Porta”, attraversato dal Rivo di Soziglia discendente dalla Clavonaria (attuale via Orefici)…

… La cinta dirigendosi verso l’odierna piazza San Giorgio dove si apriva la porta di San Torpete, lasciando l’allineamento di Canneto, tendeva a chiudersi raggiungendo i dirupi sottostanti di Sarzano.

Entro le mura si elevavano le più antiche chiese genovesi: S. Nazario, S. Maria di Castello, San Donato, S. Ambrogio, San Cosimo e San Lorenzo mentre la cattedrale di San Siro era ancora situata fuori dalle mura, in prossimità della via romana che varcando il Fossatello di San Pancrazio s’inoltrava verso il campo di San Marcellino“.

In copertina: brani di mura in Via Tommaso Reggio. Foto di Grazia Musso.

Smarrirsi nei caruggi con Charles

“È un posto che “cresce dentro di voi” giorno per giorno. Sembra sempre che vi sia qualcosa da scoprirvi. Potete smarrire il vostro cammino (che cosa gradevole è, quando siete senza meta!) venti volte al giorno, se vi aggrada; e ritrovarlo tra le più sorprendenti ed inaspettate difficoltà. Abbonda dei più strani contrasti: cose pittoresche, brutte, meschine, magnifiche, deliziose e disgustose vi si parano davanti allo sguardo ad ogni angolo”.

Cit. Charles Dickens (1812 – 1870) giornalista e scrittore britannico.

In copertina: Panorama genovese. Foto di Leti Gagge.

Piazza De Marini

La piazza deve il nome alla nobile famiglia dei De Marini che qui avevano le proprie dimore.

Ciò si evince dalle cronache della lotta intestina del 1398 tra guelfi e ghibellini in cui questi ultimi bruciarono oltre cinquanta case di cui quattro di proprietà, appunto dei De Marini.

Questo antichissimo casato trae origine da Marino, figlio di Baldo fu Guglielmo, direttamente da Ido Visconti.

Fra i suoi membri annovera Conti (di Gavi), Marchesi (Castelnuovo Scrivia), alcuni cardinali, diversi arcivescovi, numerosi senatori e un doge, Gio Agostino di Gerolamo.

Questa località fuori dalle mura del X secolo era identificata un tempo come contrada dei Marmi o marmorea poiché qui avevano sede i depositi del prezioso materiale appena sbarcato dal porto.

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In copertina: Piazza De Marini. Foto di Stefano Eloggi.

Il Centro Storico

“Trent’anni fa era considerato un pittoresco ghetto con molti monumenti che ne costituivano la sola parte valida da salvare ed evidenziare demolendo il resto. Oggi proprio l’assieme è considerato monumento, da conservare nella sua quasi integrità, perché solo mediante l’assieme vengono trasmessi al contemporaneo i significati storici, artistici, ambientali, mentre alla mutilazione dell’assieme corrisponderebbe la perdita di molti dei significati. E questo si capisce proprio per la correlazione tra forma e contenuto, tra significante e significato”.

Cit Cesare Fera (1922-1995) architetto e ingegnere.

In copertina: tetti del centro storico. Foto di Stefano Eloggi.

Vico delle Fate

Vico delle Fate in realtà fino al 1868 si chiamava vico della Stella. L’intitolazione venne cambiata per non confonderlo con vico Stella, il caruggio dedicato alla celebre famiglia di annalisti nel sestiere della Maddalena.

Guardando la foto a metà sulla destra s’intravede sul portone del civ. n. 3 una grande edicola in stucco, catalogata come Madonna col Bambino. Purtroppo il tabernacolo, gravemente danneggiato, è privo della statua che è stata rubata.

Si ipotizza che il toponimo delle fate sia stato ispirato, vista la presenza in loco delle case chiuse, in omaggio alle signorine che vi esercitavano il mestiere più antico del mondo.

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In copertina: Vico delle Fate. Foto di Giovanni Cogorno.

Salita della Seta

L’origine del toponimo del caruggio della Salita della Seta riporta al tempo in cui, nel Medioevo, nella Repubblica di Genova si lavorava e commerciava il prezioso tessuto.

La memoria di tale nome lascia supporre che qui avessero sede, comode perché vicino al porto, fabbriche, magazzini e botteghe del morbido manufatto.

A rimarcare i legami con l’oriente da cui proveniva la seta, nel caruggio si trova un tempio greco ortodosso in cui si celebrano tuttora i relativi riti religiosi.

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In copertina: Salita della Seta. Foto di Stefano Eloggi.

Vico del Pepe

“Va ciù unn-a grann-a de peivie che unn-a succa”. L’antico adagio la dice lunga sul valore che aveva il pepe nel panorama delle spezie.

Genova contese a lungo senza successo il monopolio del pepe a Venezia e, come si evince dal toponimo, qui stabilì magazzini e rivendite del prezioso aroma.

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Foto di Giovanni Cogorno.

Manarola

Manarola come del resto le altre quattro con sorelle che compongono le Cinque Terre è una perla incastonata nella roccia.

I suoi abitanti originari furono i membri di un’antica tribù ligure della Val di Vara costretti a cercare sbocco verso il mare dalla crescente urbanizzazione romana.

Assai particolare è la via dei Birolli lungo la quale oltre a locali e ristoranti, non essendoci un vero e proprio porticciolo, sono parcheggiate le barche.

I gozzi infatti vengono calati in mare con un ingegnoso paranco.

Oggi Manarola è famosa in tutto il mondo per il suo grande presepe di luminarie, ideato da Mario Andreoli, che illumina nel periodo natalizio tutta la collina.

Ancora riconoscibile ė il primitivo castello scavato nel costone attorno al quale si è formato il nucleo cittadino.

Nonostante sia stato ormai inglobato nelle abitazioni limitrofe e non funga più da baluardo contro le scorrerie turche e saracene, la sua forma arrotondata in pietra è inconfondibile.

La Grande Bellezza.

In copertina: Manarola di notte. Foto dell’autore.