Piazza Embriaci

Situata nel cuore più antico della città vecchia piazza Embriaci costituisce emblematico esempio della piazza medievale concepita come fulcro intorno al quale ruotavano tutte le attività legate alla consorteria dominante: in origine case, logge, chiesa, pozzo, botteghe, magazzini e attività artigiane.

La piazza deve il suo nome alla famiglia degli Embriaci il cui più famoso esponente fu Guglielmo detto Testa di Maglio conquistatore di Cesarea e Gerusalemme.

La schiatta del grande condottiero si estinguerà nei primi del ‘500 quando confluirà nell’albergo dei Giustiniani.

La dimora che si trova al civ. n. 5 è passata di mano nei secoli dagli Embriaci ai Cattaneo, ai Sale e infine ai Brignole a cui si deve la conformazione attuale.

Il portone a colonne doriche, adornato con due elmi e un cartiglio abraso è opera di Battista Orsolino.

Sul timpano spezzato una lapide ricorda che:

Intorno a questa Piazza Ebbero Stanza gli Embriaci / Casato Memorabile nelle Crociate e in Patria / Giganteggia Qvi a Tergo la Torre / Nella Sva Antica Struttura.

MDCCCLXIX

A quel tempo i Brignole che fecero apporre la targa non potevano ancora sapere che in realtà la torre non era Embriaci ma De Castro.

Varcato l’atrio con singolare volta a padiglione lunettato e salito l’elegante scalone con colonne marmoree si accede al piano nobile decorato con preziosi affreschi seicenteschi di Andrea Ansaldo.

Sempre nella piazza un palazzo senza numero civico appartenuto nel ‘400 ai Cattaneo Mallone presenta tracce di affreschi del XV e XVI sec. di scuola lombarda. Nel ‘600 la magione è stata completamente stravolta con la chiusura delle logge sostituite da finestre.

Al civ. n. 4 è visibile la celebre edicola del Beato Maggi, mentre al civicio 3 angolo con civ. 4 di vico Pece si notano i resti, robusti pilastri angolari, due archi ogivali in pietra, una colonna di marmo con capitello corinzio, di un edificio del XII sec.

In direzione via Mascherona si possono inoltre ammirare le mampae, ovvero quel geniale accorgimento adottato dai genovesi che permetteva loro di intercettare quel poco di luce che filtrava nei caruggi per convogliarla all’interno delle abitazioni.

In copertina: Piazza Embriaci. Foto di Stefano Eloggi.

“Genova per noi…”

“… Ma quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così che abbiamo noi mentre guardiamo Genova ed ogni volta l’annusiamo, circospetti ci muoviamo, un po’ randagi ci sentiamo noi“.

Cit. da Genova per noi (1975). di Paolo Conte.

La Grande Bellezza…

Da Palazzo Rosso. Foto di Stefano Eloggi.

La mia S. Maria di Castello

Se mi dovessero mettere davanti all’ingiusta – e per me dolorosa -scelta di individuare solo ed una sola chiesa da mostrare ad un ipotetico visitatore non avrei dubbi e senza esitazione alcuna proporrei Santa Maria di Castello.

Nessuna chiesa genovese infatti può vantare, cattedrale di San Lorenzo a parte, un patrimonio storico, artistico, architettonico e culturale di tale importanza e prestigio. Cito in ordine sparso: antichi reliquiari, raffinati codici miniati, storici paramenti liturgici, il Cristo Moro, il portale maggiore del Riccomanni, la tomba di Jacopo da Varagine, il mausoleo di Demetrio Canevari di Tommaso Orsolino, la lastra tombale dei Grimaldi Oliva, innumerevoli annunciazioni fra le quali quella celeberrima di Giusto da Ravensburg, la pala di Ognissanti di Ludovico Brea, il trittico del Mazone, l’Immacolata di Anton Maria Maragliano, l’altare di Anton Domenico Parodi, le Sure del Corano incise in una piastrella sulla volta, quadri – qua e là – del Boccaccino, Pier Francesco Sacchi, Aurelio Lomi, Luciano Borzone, Bernardo Castello, Andrea Ansaldo, G. Battista Paggi, Andrea Semino, Giovanni Battista Carlone, Domenico Piola, Gregorio de Ferrari, il Grechetto, sculture di Pasquale Navone, Taddeo Carlone, Giovanni Gagini, tre chiostri, il giardino, il museo, le bandiere turche di Lepanto e mi scuso per tutto ciò che ho dimenticato o tralasciato.

Tutte queste meraviglie racchiuse in un prezioso scrigno di ineguagliabile bellezza.

Consiglio a tutti di investire una mattinata accompagnati dagli appassionati e competenti volontari che la tengono in vita, alla scoperta, in una dimensione senza tempo, degli splendori della ex cattedrale.

La Grande Bellezza…

Foto di Stefano Eloggi.

Piazza del Ferro

L’origine dell’etimo che da origine alla piazza è di natura incerta. Secondo alcuni storici deriverebbe da una famiglia Ferro che abitava la piazza, secondo altri dal nome di un’antica osteria. Molto più probabilmente invece discenderebbe, dai depositi di metalli e dalle botteghe dei fabbri che gravitavano nella zona.

Sulla piazza si affacciano il retro di alcune importanti dimore nobiliari di Via Garibaldi quali palazzo Tobia Pallavicino e il giardino pensile di palazzo Gio. Batta Spinola.

A catturare l’attenzione, oltre all’edicola all’angolo con vico Spada (retro palazzo Pantaleo Spinola) è il singolare il palazzo al civ.3 con il fronte curvo a seguire il dislivello del terreno. Da qui iniziava la salita che conduceva al Castelletto.

In copertina Piazza del Ferro. Foto di Stefano Eloggi.

Vico Stoppieri

L’origine del toponimo di questo caratteristico caruggio nei pressi della contrada di San Bernardo rimanda ad un antico mestiere quello degli stoppieri.

In epoca medievale infatti il vicolo era costellato dalle botteghe di artigiani che confezionavano e distribuivano la stoppa e la canapa, due prodotti indispensabili per le attività navali.

La corporazione degli stoppieri per celebrare il proprio prestigio nel 1734 commissionò per la chiesa di San Marco al Molo un maestoso gruppo marmoreo raffigurante la Madonna e i SS. Nazario e Celso opera di Francesco Maria Schiaffino.

La Grande Bellezza…

In copertina Vico Stoppieri. Foto di Stefano Eloggi.

Salita San Bernardino

Da tempo immemore si ha notizia della contrada del Carmine sorta in fondo alla piccola conca naturale di Vallechiara formata dal rio Fossatello che scende dalle Mura delle Chiappe al Righi lungo San Simone e Via Pertinace.

In epoca romana il quartiere era una zona collinare fuori le mura coltivata a vigne e oliveti che si sviluppava sopra il campo militare del Guastato, attuale Piazza dell’Annunziata.

Così fu anche nel medioevo fino a quando nel XIV sec venne incluso nella cinta muraria della città.

Salita San Bernardino con i resti di una costruzione medievale con grandi archi ogivali in laterizio tamponati, l’omonima Abbazia intitolata a Santa Chiara, rappresenta al meglio il fascino di quei caruggi.

Ma la vera meraviglia è costituita dalla caratteristica pavimentazione in mattoni sulla quale si cammina con il naso all’insù incantati ad ammirare l’intreccio degli archi a sesto abbassati a controspingere le facciate dei palazzi.

La Grande Bellezza…

Foto di Bruno Evrinetti.

Vico San Pietro della Porta

Ad angolo fra Via dei Conservatori del Mare e Vico San Pietro della Porta si staglia la settecentesca edicola della Madonna della Guardia.

Dal torrione su cui è apposta si evince come quello fosse una dei tre principali varchi di fine primo millennio.

Il caruggio di San Pietro deve infatti il suo nome alla vicinanza con la porta, oggi archivolto delle Cinque Lampadi, varco facente parte delle mura del X sec.

La Grande Bellezza…

Foto di Stefano Eloggi.

Via dei Conservatori del Mare

Nel medioevo qui avevano sede i magistrati che si occupavano di dirimere le controversie marittime, dai noleggi ai naufragi, dagli atti di pirateria, ai contratti di navigazione.

Sul muro del palazzo a mare, di fronte al civ. n.5, è infatti incastonata un’antica quanto sbrecciata lapide la cui epigrafe recita:

“Avisi per L.Ill.mo MAGISTRATO DEI CONSERVATORI DEL MARE”.

Sotto era presente una nicchia contenente una cassetta in cui imbucare messaggi, lamentele e denunce in un sistema molto simile a quello dei biglietti di Calice di Palazzo Ducale.

La Grande Bellezza…

Foto di Stefano Eloggi.

San Marcellino

Piazza e Vico San Marcellino con l’omonima chiesetta del XIII sec. e il brevissimo tratto di porticato sopraelevato in Sottoripa costituiscono una preziosa quanto rara testimonianza della ripa maris che fu.

La chiesetta era il tempio gentilizio delle potenti famiglie dei Cybo e Piccamiglio.

Il porticato di pochi metri che unisce vico San Marcellino con vico del Campo è l’ultima traccia ancora oggi visibile di quella che un tempo era chiamata Sottoripa la Scura.

La contrada era così detta per via della sua sopraelevazione e per i porticati più bassi, bui e arretrati rispetto alla ripa.

Tale porzione di Sottoripa si snodava a partire da via Ponte Calvi proseguiva fino alla torre a mare di Porta dei Vacca e con un prolungamento parallelo a via Prè raggiungeva la chiesa di San Sisto.

Nella foto si intravedono i resti della loggia del XVI sec. (che fa parte del civ. n. 6 di Ponte Calvi) con finestre a doppia arcata e superbe colonne doriche.

La Grande Bellezza…

Foto di Giuseppe Rando.

Vico del Serriglio

L’origine del toponimo Serriglio si presta a diverse interpretazioni: secondo alcuni deriverebbe dalla traduzione del cognome della famiglia Lerici che in dialetto arcaico si diceva Serriggi; per altri il caruggio originario deriverebbe invece dalla sede di un piccolo recinto di animali da cortile (serriculum) o da uno sbarramento che serrava l’accesso.

Di certo la zona è stata completamente stravolta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale.

Resta traccia di una costruzione in pietra del XII sec. con porta ogivale e una fascia di archetti frammentata dalle successive aperture di finestre il tutto sormontato da un arco con pilastri in laterizio.

Percorrendo il caruggio sul lato del ristorante si notano quattro pilastri in marmo e, sopra il civ. n. 19r, quel che rimane di una piccola edicola barocca in stucco, priva della statuetta e decorata con fastigio a motivi floreali e una conchiglia a sostegno della mensa.

In questo vicolo che fu dimora dell’abate Paolo Gerolamo Franzoni ebbe sede nel 1757 una delle tre biblioteche pubbliche cittadine, quella – appunto – franzoniana.

Foto di Danilo De Lorenzis.