Storia di una misteriosa scacchiera…

Incastonata sulla parete esterna di sinistra della Cattedrale di S. Lorenzo compare una misteriosa scacchiera.
Questa appartenne a Megollo Lercari che nel 1314, ospite a Trebisonda del Re Alessio II, venne durante una partita a scacchi, da un suo cortigiano insolentito, un tal Andronico.
Megollo diede scacco matto al suo avversario e, come già narrato in apposito post, mise in atto la sua terribile e feroce vendetta:
“Sappi tu e sappiano i Greci tutti che chi offende un genovese deve attendere inesorabile il castigo.

"Atrio e scalone di Palazzo Lercari".
“Atrio e scalone di Palazzo Lercari”. Foto di Leti Gagge.
“Affresco cinquecentesco di Luca Cambiaso al piano nobile di Palazzo Lercari Parodi che illustra la costruzione del fondaco di Trebisonda”.

Noi genovesi siamo tutti della stessa tempra, per cui se io fossi morto o preso prima che la mia vendetta fosse compiuta, altri genovesi sarebbero giunti a portarla a termine”.
La scacchiera ricorda lo scacco matto della vendetta lavata con il sangue dal valoroso genovese.

“Megollo sferra un calcio al volto di Andronico”. Affresco del 1622 – 1625 di Giovanni Carlone presso Villa Spinola di San Pietro a Sampierdarena”.

Non tutti però concordano con questa versione. Almeno altre due sono le ipotesi accreditate dagli studiosi: la prima legata e correlata ad altre simbologie presenti in Cattedrale, rimanda ai cavalieri Templari dei quali la scacchiera sarebbe una esoterica testimonianza. La seconda, riferita dal Caffaro nei suoi Annali, racconta di una disputa, nel XII sec. al tempo della nascente rivalità fra Genova Pisa, risolta fra le due contendenti con una partita a scacchi vinta dai genovesi. In ricordo di quella vittoria la scacchiera sarebbe stata così murata in S. Lorenzo.

Storia di palanche…

Nel ‘500, al tempo di Carlo V, A. Doria fece una scelta strategica che avrebbe segnato in positivo le sorti della città.
Optando infatti per l’alleanza con la Spagna ai danni della Francia contribuì al secolo di maggior splendore economico della Superba.
Non solo A. Doria venne nominato Ammiraglio Capo di tutto l’Impero e, più tardi di tutte le forze cristiane, ma anche le maestranze genovesi ottennero numerose e lucrose commesse per l’armamento della flotta spagnola.
Da un lato i genovesi, in particolare gli Spinola, i Doria e i Centurione finanziarono con ingenti prestiti le attività militari dell’Impero, dall’altra ottennero di occuparsi in esclusiva di tutte le attività marittime ai danni degli Aragonesi, i più importanti esperti di mare iberici.
Tanta era l’opulenza della Superba che venne coniato il famoso adagio “L’oro nasce in America, cresce in Spagna e muore a Genova”.
Proprio in quel periodo cominciò a circolare in città una moneta spagnola il Blanco che, per storpiatura onomatopeica planco, palanco, si cristallizzò infine in “palanca” dando così origine al modo, ancor oggi in uso, di indicare i soldi tanto caro a noi zeneizi.

Vico e Piazza dell’Amor Perfetto…

Il toponimo trae origine dalla famiglia Finamore che aveva parecchie proprietà nel vicolo.
Un’altra teoria sostiene invece che il nome derivi dalla posa estatica della Madonna di un’edicola votiva, oggi scomparsa, che un tempo adornava il caruggio.
Ma la versione più fascinosa e romantica, anche se priva di fondamento storico, visto l’improbabile scenario logistico, è invece quella che narra del leggendario “intendio”, l’amor platonico fra la nobildonna genovese, Tommasina Spinola e il re di Francia Luigi XII
 
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“Luigi XII entra a Genova, in Italia, il 29 aprile 1507”. >Miniatura da “Voyage de Gênes”. L’opera, del poeta Jean Marot (1450 circa – 1526), fu composta nel 1520 circa a Tours, in Francia, con le miniature dipinte da Jean Bourdichon (Tours 1457 circa – 1521). BnF (Bibliothèque nationale de France), Parigi.

 

Difficile infatti immaginare nella realtà una frequentazione di tali popolari contrade per personaggi di quel lignaggio.
Il re sotto mentite spoglie più volte passò, durante i suoi soggiorni genovesi, in quel vicolo per vedere la sua amata.
Tommasina, fedelissima moglie, morì di crepacuore nel 1505 a causa di questo casto, profondissimo e impossibile amore, dopo aver appreso la falsa notizia della morte del sovrano.
Il re, tornato da nemico a Genova e appresa la triste novella, volle recarsi ancora una volta sotto le finestre dell’amata e lì avrebbe pronunziato la celebre frase “Avrebbe potuto essere l’amor perfetto”.

“Piazza dello Amor Perfetto”.
“Nella piazza un bel sovrapporta di S. Giorgio che uccide il drago”,

“Le finestre di Tommasina”.

Il pittore Ludovico Brea inserì il ritratto della poveretta (ritenuta una delle più belle donne del suo tempo) nel suo celebre capolavoro, intitolato il “Paradiso”, conservato ancor oggi nel museo di S. Maria in Castello.

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“Il Paradiso di Ludovico Brea”.
 
“Luigi XII entra a Genova, in Italia, il 29 aprile 1507”.
Splendida e complessa miniatura da “Voyage de Gênes”.
L’opera, del poeta Jean Marot (1450 circa – 1526), fu composta nel 1520 circa a Tours, in Francia, con le miniature dipinte da Jean Bourdichon (Tours 1457 circa – 1521). BnF (Bibliothèque nationale de France), Parigi.

Storia di un Parco e dei suoi illustri visitatori…

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“Gioco del pallone sui bastioni dell’Acquasola, secolo XIX”.

 

Anticamente percorrendo l’attuale Via Luccoli (dal latino “luculus” bosco sacro) si raggiungeva il tempio intitolato agli dei pagani Acca (luna) e Solis ( sole).
Da qui il nome Acquasola.
A metà del ‘500, munito dall’omonima porta, in seguito al potenziamento della cinta muraria voluta dall’Amm. Andrea  Doria, il luogo venne utilizzato per raccogliere i detriti derivati dalla costruzione della Strada Nuova (attuale Via Garibaldi) e, per questo, chiamato “i Muggi”.
In seguito, l’area compresa fra Piazza Corvetto e i bastioni cinquecenteschi, venne utilizzata come parco pubblico fino al 1657, anno di una terribile peste, quando fu convertito in cimitero.
Le catacombe sono ancora presenti più o meno nel tratto compreso fra i laghetti dei cigni (che pare verranno ripristinati) e il complesso di S. Stefano.
Opportunamente abbellito e ampliato, sul finire del ‘700, diventa meta della noblesse ospite in città….

"Dame a passeggio".
“Dame a passeggio”.

Fra gli altri Gustav Re di Svezia, il Principe di Condè, l’Imperatore d’Austria, i reali britannici e gli Arciduchi milanesi. 

Nell’800 il Parco raggiunse il massimo splendore al punto di conquistarsi il nome di un Viale di Mosca.

Nella speranza che, dopo la recente inaugurazione, ritrovi se non gli antichi fasti, almeno il perduto decoro degli anni ’70, quando era meta domenicale delle famiglie…

 

 

Storie popolari…

Il mare regna sovrano nella nostra storia ma, a sorpresa, come l’onda si ritira quando si parla di fiabe.
Ebbene si, a farla da padrone sono i racconti legati alla terra, forse perché tramandati dalle mogli che aspettavano il rientro dei loro mariti e dettati dai tempi dei lavori manuali ed agricoli.
Forse perché i marinai, sparsi in chissà quale oceano e indaffarati in commerci o impegnati in battaglia, non avevano tempo per perdersi in chiacchiere, intenti com’erano a salvare la “pellaccia”.
Genova e la Liguria non hanno una grande tradizione in materia e di secoli di racconti narrati intorno al focolare è rimasto ben poco.
Per fortuna, sul finire dell’800,  il “foresto” James Bruyn Andrews si è “preso la briga e di certo il gusto di tramandare ai posteri il racconto giusto” raccogliendo nel suo “Contes ligures” il patrimonio nostrano.
Racconti di streghe, balli e processioni di morti, lupi mannari, sabba diabolici e stregonerie varie.
Una delle più diffuse è la foa delle “troe belle cetronnelle”, variante di quella nota, in altre regioni come ” delle tre melarance”;
In questa favola l’incantesimo al protagonista è svelato da due stregoni rappresentati da Venti Violenti (ne esistono comunque numerose varianti).
La tecnica utilizzata è quella della vivace e sintetica narrazione, basata sulla ripetitività e sulla progressione (grande, più grande, enorme, gigantesco).
Singolare, in alcuni racconti, più che mai espressione del nostro territorio, l’ossessivo susseguirsi di scale sempre più ripide e strette, proprio come gli angusti spazi dei secolari caruggi
Parsimoniosi non solo nelle palanche ma anche nelle parole!

Storia di due pittori…

di un’edicola… di gelosie… di assassini…
Pellegro Piola, ventiquattro anni non ancora compiuti era già un pittore fatto e finito che godeva in città di alta considerazione.
Membro della dinastia di artisti che, assieme al fratello Domenico, rappresentarono la massima espressione del Barocchetto genovese, la sera del 25 Novembre 1640 mentre rincasava dalla bottega di Salita S. Leonardo sita in Carignano, in Sarzano venne aggredito e ferito a morte durante una rissa dall’amico e collega, il prete artista G. Battista Bianco.
Da quando nel 1637 Genova aveva proclamato la Madonna sua Regina era rifiorita la consuetudine (in vigore già dal ‘200) di adornare i caruggi con dei piccoli templi votivi, le Edicole, che le rendessero omaggio.
Le Corporazioni facevano a gara per esibire le Edicole più belle e sfarzose.
Fu così che quella degli Orefici che era fra le più ricche, commissionò poi a Pellegro un’opera che non avesse eguali:
un’edicola di ardesia che rappresentasse La Madonna con il bambino insieme a S. Eligio, loro patrono.
Terminato il lavoro in città non si parlava d’altro fu così che il Bianco, quando vide il capolavoro di Pellegro, rimase sopraffatto da cotanta bellezza e comprese la propria inferiorità artistica.
Reo confesso raccontò ai magistrati di aver commesso l’orrendo delitto per errore, accecato dall’invidia voleva infatti solo ferirlo, perché temeva che non avrebbe mai più ricevuto commesse finché Pellegro fosse stato in circolazione.
Copia dell’Edicola in questione è ancora oggi visibile in Via degli Orefici al n. 18 realizzata dal pittore Raimondo Sirotti.
Per intervento del Maestro stesso, a quel tempo Direttore dell’Accademia Ligustica di Belle Arti, l’originale è ivi custodito.
Nelle brumose notti invernali leggenda narra che il fantasma di Pellegro vaghi ancora irrequieto in Sarzano

Storia di una sfida divina…

e di un rocambolesco epilogo…
Leggenda narra che un tempo Gesù, in compagnia di Pietro, si trovò a percorrere le creuze lungo Costa Chiappeto, sulle alture sopra San Benigno quando, stanco del lungo peregrinare, invitò il discepolo a cercare ospitalità per la notte.
Rimasto solo il Salvatore venne avvicinato da Lucifero in persona il quale gli propose una singolare sfida:
Avrebbe vinto chi dei due avesse scagliato lontano un ciottolo fino a raggiungere il mare.
Il Nazzareno, senza fatica alcuna, lanciò il sasso per circa un paio di miglia oltre il blu delle onde.
Belzebù, sicuro di se e di vincere agevolmente la scommessa, prese la rincorsa ma scivolò miseramente producendo un tiro imbarazzante.
Perso l’equilibrio cadde lungo disteso….. ecco perché  in quella zona per secoli si mostrò una grossa pietra sulla quale, si raccontava, fosse impressa l’impronta delle demoniache natiche.
Quando si dice “Il Diavolo a gambe all’aria.”……

Una “voce” rossoblù… anzi “The Voice”…

Frank “The Voice” Sinatra, di padre siciliano e madre genovese (di Rossi di Lumarzo) era un grande amante di Genova e del Genoa.
Non perdeva occasione la domenica, terminato di assistere alle partite di baseball, di chiamare in Liguria per sapere cosa avesse fatto il suo amato Grifone.
Sinatra infatti, a causa del suo forte legame materno, ha sempre considerato Genova la propria patria. Quando era in tournée in Italia faceva di tutto per capitare in città e cenare da “Zeffirino” del quale esportò il pesto negli States.

"Francobollo commemorativo di Sinatra".
“Francobollo commemorativo di Sinatra”.

Quando morì nel 1998, in suo onore, Las Vegas spense le luci una notte intera e New York illuminò di azzurro (il colore dei suoi leggendari occhi) l’Empire State Building.
Interrogata in proposito la figlia, per sapere se Frank avrebbe apprezzato, costei rispose:

Certo che si, ma se avessero proiettato le luci rossoblù, papà avrebbe gradito ancor di più…”.
The Voice volle affrontare infatti “l’ultimo Viaggio” per raggiungere, stella fra le stelle, il suo posto nel firmamento indossando una cravatta rossoblù.

“Faber”…

"Creuza de ma di Boccadasse".
“Creuza de ma di Boccadasse”.

L’11 gennaio 1999 Genova rimaneva orfana del suo figlio più devoto….
Il Poeta capace di comporre la più bella lirica per noi che amiamo questa città:
 “Bacan d’a corda marsa d’aegua e de sa che a ne liga e a ne porta nte ‘na Creuza de ma”(padrone di una corda marcia d’acqua e di sale che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare).
Nulla, meglio di questi versi intrisi di salsedine, riesce a descrivere duemila anni della nostra cultura.
Faber dipinge con le note e scolpisce con le parole.
A noi non resta altro che, a questa “corda marsa d’aegua e de sa”, rimanere ben ancorati.

Canzone del “Balaridone”…

Il 1522, come ricordato in apposito racconto, è l’anno del terribile Sacco di Genova.
Ciò non impedisce ai bigotti reggitori del Governo di occuparsi di frivole facezie come quella di proibire la canzone popolare, probabilmente di origine provenzale, detta del “Balaridone”.
Ecco il goliardico testo:
SI TROVASSE UNA DONNA,
CHE MI VOLESSE AMARE,
E POI VOLESSE FARE
CON MI LA PAVANELLA.
ALHOR PER LA MIA PATRONA
IO LA VORREI CHIAMARE
E POI CON LEI CANTARE:
DE TOCA LA CANELLA
O DOLCE PASTORELLA
OYME’, CHE l’E’ PUR BELLA
DA FAR BALARIDON
DOGHE ( don) DOGHE ( don).
Così recita il decreto di messa al bando:
“La maledetta canzone de Balaridone, quale contamina la mente non solum de’ secolar de’ religiosi, cosci homini come done, che la odeno, soto pena di multa o fustigazione.
E se saranno puti, li saranno date tante patte”.