Madonna col Bambino, Santa Caterina da Genova e San Giovannino

Al civ. n. 15 di Vico degli Indoratori si nota un medaglione marmoreo tondo che raffigura la Madonna col Bambino, Santa Caterina da Genova e San Giovannino.

La secentesca edicola, protetta da una pesante grata di ferro, è incisa in forte rilievo e in poco spazio racconta un’articolata scena: la Vergine con il braccio destro tiene in braccio il Bambinello, con quello sinistro si appoggia alla spalla di Caterina Fieschi che inginocchiata offre il suo cuore a Gesù.

Dal drappeggio, a completare il quadretto, spunta San Giovannino in posa di preghiera.

Foto di Stefano Eloggi

Vico San Pietro della Porta

Ad angolo fra Via dei Conservatori del Mare e Vico San Pietro della Porta si staglia la settecentesca edicola della Madonna della Guardia.

Dal torrione su cui è apposta si evince come quello fosse una dei tre principali varchi di fine primo millennio.

Il caruggio di San Pietro deve infatti il suo nome alla vicinanza con la porta, oggi archivolto delle Cinque Lampadi, varco facente parte delle mura del X sec.

La Grande Bellezza…

Foto di Stefano Eloggi.

Via dei Conservatori del Mare

Nel medioevo qui avevano sede i magistrati che si occupavano di dirimere le controversie marittime, dai noleggi ai naufragi, dagli atti di pirateria, ai contratti di navigazione.

Sul muro del palazzo a mare, di fronte al civ. n.5, è infatti incastonata un’antica quanto sbrecciata lapide la cui epigrafe recita:

“Avisi per L.Ill.mo MAGISTRATO DEI CONSERVATORI DEL MARE”.

Sotto era presente una nicchia contenente una cassetta in cui imbucare messaggi, lamentele e denunce in un sistema molto simile a quello dei biglietti di Calice di Palazzo Ducale.

La Grande Bellezza…

Foto di Stefano Eloggi.

San Marcellino

Piazza e Vico San Marcellino con l’omonima chiesetta del XIII sec. e il brevissimo tratto di porticato sopraelevato in Sottoripa costituiscono una preziosa quanto rara testimonianza della ripa maris che fu.

La chiesetta era il tempio gentilizio delle potenti famiglie dei Cybo e Piccamiglio.

Il porticato di pochi metri che unisce vico San Marcellino con vico del Campo è l’ultima traccia ancora oggi visibile di quella che un tempo era chiamata Sottoripa la Scura.

La contrada era così detta per via della sua sopraelevazione e per i porticati più bassi, bui e arretrati rispetto alla ripa.

Tale porzione di Sottoripa si snodava a partire da via Ponte Calvi proseguiva fino alla torre a mare di Porta dei Vacca e con un prolungamento parallelo a via Prè raggiungeva la chiesa di San Sisto.

Nella foto si intravedono i resti della loggia del XVI sec. (che fa parte del civ. n. 6 di Ponte Calvi) con finestre a doppia arcata e superbe colonne doriche.

La Grande Bellezza…

Foto di Giuseppe Rando.

Vico del Serriglio

L’origine del toponimo Serriglio si presta a diverse interpretazioni: secondo alcuni deriverebbe dalla traduzione del cognome della famiglia Lerici che in dialetto arcaico si diceva Serriggi; per altri il caruggio originario deriverebbe invece dalla sede di un piccolo recinto di animali da cortile (serriculum) o da uno sbarramento che serrava l’accesso.

Di certo la zona è stata completamente stravolta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale.

Resta traccia di una costruzione in pietra del XII sec. con porta ogivale e una fascia di archetti frammentata dalle successive aperture di finestre il tutto sormontato da un arco con pilastri in laterizio.

Percorrendo il caruggio sul lato del ristorante si notano quattro pilastri in marmo e, sopra il civ. n. 19r, quel che rimane di una piccola edicola barocca in stucco, priva della statuetta e decorata con fastigio a motivi floreali e una conchiglia a sostegno della mensa.

In questo vicolo che fu dimora dell’abate Paolo Gerolamo Franzoni ebbe sede nel 1757 una delle tre biblioteche pubbliche cittadine, quella – appunto – franzoniana.

Foto di Danilo De Lorenzis.

Il Ratto di Persefone

Valerio Castello concepisce a metà 600 per la galleria di palazzo Balbi Senarega in Via Balbi n. 4 un’opera di stupefacente bellezza.

Il pittore sceglie di decorare l’ambiente di passaggio che raccorda le due ali del palazzo e che si affaccia sul cortile da un lato e sul giardino dall’altro, con il mito del Ratto di Persefone.

I due episodi principali, accomunati dalla presenza di carri che solcano il cielo, sono collocati alle estremità: da una parte il Rapimento di Persefone da parte di Plutone re degli Inferi, dall’altro la Caduta di Fetonte fulminato da Giove.

Nella volta riempita da oltre cinquanta personaggi impiegati nei vari episodi si distingue anche la figura di Demetra, dea della prosperità e delle messi, contraddistinta dalle spighe di grano, che si rivolge ai fratelli di Plutone, Giove e Nettuno, per ottenere la liberazione della figlia Persefone.

Attraverso le scene legate al mito di Persefone, al fecondo rinnovarsi della natura, Valerio Castello celebra la prosperità della famiglia committente dei Balbi.

Il rapimento di Persefone è infatti alla base dell’alternarsi delle stagioni, secondo la mitologia greca; Autunno ed Inverno corrispondono ai mesi in cui Persefone è prigioniera di Ade negli Inferi, Primavera ed Estate sono i sei mesi in cui si ricongiunge alla madre Demetra sulla terra, come dispose Giove a seguito delle sue suppliche.

Dall’altro lato della galleria Valerio prosegue il suo fantastico racconto rappresentando Fetonte che fu fulminato da Giove per aver tentato di guidare il Carro del Sole, e aver causato la distruzione delle messi avvicinandosi troppo alla Terra.

Complici le sapienti finte architettoniche barocche del quadraturista bolognese Andrea Seghizzi il talento di Valerio Castello, scomparso prematuramente a soli 35 anni, esplode in tutta la sua genialità.

Ed ecco allora che i carri e i protagonisti dell’affresco sembrano precipitare davvero sopra alla testa di chi osserva.

Il magistrale illusionismo prospettico con cui sono rese le figure che sembrano quasi tridimensionali crea infatti un effetto di incredibile realismo in cui i personaggi dialogano con gli spazi interni ed esterni circostanti.

Il tutto immerso in un trionfo di stucchi e colori che lasciano davvero – e non è un modo di dire – senza parole.

La grande Bellezza…

Via di Prè

Fin dal ‘300 il borgo di Prè era un piccolo agglomerato agreste di case e chiesette sparse lungo l’asse viario in direzione ponente.

Prè a quel tempo era collegata con il Montegalletto (dove oggi si staglia il castello D’Albertis) e con il bastione di Pietraminuta (attuale Corso Dogali) da una serie di ripide creuze delimitate da modeste casupole in legno.

Nel 1606 con la realizzazione di Strada Grande del Guastato, ovvero via Balbi, la contrada viene stravolta: i campi espropriati, i sentieri cancellati, molte chiese demolite o traslocare.

Ma è nei primi decenni del 800 con la costruzione della ferrovia che taglia il porto fino allo scalo di Caricamento, il borgo assume più o meno la morfologia odierna. Ovvero una lunga e sottile striscia di caruggi e di case aggrappate le une alle altre, strette fra via Balbi a monte e la ferrovia a mare.

Via Prè perde, in concomitanza con l’apertura di via Carlo Alberto (oggi via Gramsci), la sua funzione di transito verso il ponente ma non la sua vocazione commerciale di strada dell’angiporto per antonomasia.

Curiose sono poi le teorie legate all’origine dell’etimo: secondo alcuni Prè significherebbe “Conträ di Prè” Contrada dei prati.

Per altri sarebbe invece da ricondurre al fatto che fosse la zona dove i capitani di galea si spartivano il bottino, la preda.

Da qui il significato di “Burgus de praedis”.

Altri ancora infine propendono per l’associazione “prae castra” davanti al campo per indicare tutta l’area adiacente il campo militare del Guastato (attuale Annunziata) dove si esercitavano i Balestrieri.

Via Prè. Foto di Bruno Evrinetti

La collina di Castello

La collina di Castello con il sottostante Campo di Giano (Sarzano) sovrasta l’insenutara del Mandraccio e accoglie l’antico oppidum cittadino (V Sec. a. C.) posto a difesa dell’approdo di Genua, poi città murata e sede della “Compagna communis” nel 1099.

Per conformazione e collocazione la zona di Castello appartenne prima ad una grande consorteria, quella degli Embriaci De Castro, poi al vescovo e, infine, a diverse comunità religiose (in particolare i domenicani di S. Maria di Castello) che qui costruirono vasti complessi conventuali sia femminili che maschili.

Il sole al tramonto illumina con la sua luce dorata la grande bellezza della Torre De Castri e dei campanili di San Silvestro, di Santa Maria di Castello e di Santa Maria in Passione.

“Anche la luce sembra morire
Nell’ombra incerta di un divenire
Dove anche l’alba diventa sera
E i volti sembrano teschi di cera”.

Cit. da “Inverno” di Fabrizio De Andre’.

La Grande Bellezza…

Foto di Leti Gagge.

Vico dei Cartai

In Sottoripa accanto al Gran Ristoro, il celebre negozio di panini, si snoda vico dei Cartai, la cui targa è purtroppo imbrattata dai soliti incivili.

Il toponimo trae origine dalla presenza in loco in epoca medievale di numerose botteghe di cartai.

Costoro avevano le loro fabbriche, vedi quelle dell’Acquasanta a Mele, nel ponente del genovesato ed erano talmente rinomati da fornire di fogli, per la redazione dei propri atto ufficiali, il Parlamento inglese.

Al civ. n. 17r è presente (s’intravvede in fondo al caruggio) la settecentesca edicola di Madonna col Bambino celebre perché al suo fianco è murata una palla di cannone sparata dalla Batteria della Lanterna durante il Sacco di Genova del 1849 del generale La Marmora.

La Grande Bellezza…

In Copertina: Vico dei Cartai. Foto di Stefano Eloggi.