Piazza Stella

Piazza Stella prende il nome dall’omonima colta famiglia di parte ghibellina che diede alla Repubblica notai e storiografi. Tra questi Giorgio, il più celebre, fu illustre annalista continuatore dell’opera del Caffaro. I suoi resoconti coprirono il periodo dal 1290 al 1420 mentre il figlio Giovanni ne riscrisse una parte completandoli fino al 1435.

Nella piazzetta si notano subito le due grandi arcate ogivali in pietra del XIII sec. e il portale in pietra nera del XV – XVI sec  del civ. n. 5. Si tratta della loggia e del portone del palazzo del casato. Scolpito quest’ultimo nel 1506 dal Maestro Giacomo da Campione fu concepito a lesene con medaglioni imperiali e conchiglie alle estremità.

Il fregio dell’architrave presenta al centro l’agnello di Dio e ai lati stemmi abrasi su sfondo floreale.

A fianco il medaglione marmoreo della Madonna della Misericordia con inginocchiato il Beato Botta. L’intelaiatura di contorno è completamente abrasa e rimane solo, sul timpano sicuro dell’edicola, una solitaria testa di angioletto alato.

La Grande Bellezza…

In zona della Maddalena

Via della Maddalena un tempo passava tra i campi sotto l’antico Monte Albano (odierno Castelletto) esternamente alla cinta muraria.

Nel Medioevo tutta la zona limitrofa era nota come contrada Sartoria perché sede dei laboratori dei sarti.

Le sedie poste fuori dalla bottega ci ricordano inoltre che durante il ‘700 qui operavano gli apprezzati mobilieri (bancalari, intagliatori, laccatori) maestri del Barocchetto genovese, i primi a riprodurre lo stile francese dei vari Luigi in voga a quei tempi.

Talmente rinomati che i reali di Parigi gli commissionavano la laccatura dei loro preziosi arredi.

La Grande Bellezza…

In Copertina: Vico della chiesa della Maddalena. Foto di Leti Gagge.

Le catene di Porto Pisano

Sulle pareti all’interno del chiostro di San Matteo, insieme alle numerose lapidi che attestano il prestigio acquisito nei secoli dal casato dei D’Oria, è affissa la copia del bassorilievo del 1290 che raffigura Porto Pisano. Si tratta di una preziosa testimonianza di quel 23 agosto giorno in cui, Corrado D’Oria al comando della sua flotta, violò la roccaforte toscana interrandone definitivamente il porto.

Al centro spiccano le due torri Magnale e Formice collegate fra loro dalle famose gigantesche catene che proteggevano lo scalo della città della Volpe. Catene che furono, fino al 1860, appese sulle principali porte e chiese della Superba prima di essere, in segno di rinnovata concordia, restituite e conservate presso il Camposanto monumentale in riva all’Arno.

“Alcuni pezzi delle catene di Porto Pisano, restituite dai genovesi nel 1860, oggi custodite nel cimitero monumentale di Pisa”.

Le maglie erano appese in:

  • Chiesa di San Torpete
  • Palazzo San Giorgio
  • Chiesa di Santa Maria di Castello
  • Chiesa del Santissimo Salvatore
  • Porta Soprana
  • Bassorilievo in Borgo Lanaiuoli
  • Porta degli Archi
  • Chiesa di Santa Maria Maddalena
  • Salita di Sant’Andrea
  • Chiesa di Sant’Ambrogio
  • Chiesa di San Matteo
  • Chiesa di Santa Maria delle Vigne
  • Chiesa di San Donato
  • Porta dei Vacca
  • Chiesa di San Sisto
  • Commenda di San Giovanni di Pré
  • Murta
  • ” Nel’800 le catene penzolavano ancora al centro dell’arco di Porta Soprana”. Disegno di Domenico Cambiaso.

«Che a travaggiava con garie armè /
e ligava nemixi e noi servava, /
e chenne grosse da per lé schiancava, /
chi ancora son per Zena spanteghè

(Da Zena moere de regni e de cittè, Paolo Foglietta (1520 – 1596))

Traduzione:

«La grandezza di Genova è universalmente conosciuta] perché lavorava con galee armate, /
e legava nemici e ci salvava /
e grandi catene da sola spezzava, /
che ancora oggi sono sparse per Genova.»

“Le copie delle catene di Murta “.

Tuttavia ne restano ancora traccia in due località della Liguria: due anelli sono conservati infatti a Murta appartenuti ad un marinaio della zona che aveva partecipato all’impresa. In realtà si tratta di copie settecentesche realizzate a posteriori poiché gli originali furono trafugati nel 1747 dagli austriaci  del generale Schulenberg che, durante il vano assedio della Superba, erano accampati nel borgo della Val Polcevera.

Le copie  murtesi oggi vengono esposte durante la festa della Zucca mentre le originali dell’epoca erano appese sulla chiesa di San Martino.

“I due anelli esposti all’esterno della chiesa di S. Croce di Moneglia”.

Altre maglie sono infine esposte all’esterno della chiesa di Santa Croce di Moneglia donate dai genovesi al capitano Stanco che, al comando della fedele alleata, aveva partecipato all’impresa.

“San Giorgio e Corrado D’Oria”.

L’epigrafe latina:
In nomine D(omi)ni am(en)
MCCLXXXX
oc cadena tuleru(n)t
de portu Pisanoru(m)
oc opus fecit fieri d(omi)no
Tra(n)cheus Sta(n)co de Monelia

Traduzione della lapide:
Nel nome del Signore così sia
Anno 1290
Questa catena fu portata via
dal porto di Pisa
la lapide fu posta dal signor
TRANCHEO STANCO DI MONEGLIA

battaglia della Meloria 1284

“La traduzione italiana dell’iscrizione latina”.

L’originale del bassorilievo di Porto Pisano era invece affisso un tempo in Vico Dritto di Ponticello sulla casa di Carlo Noceti (detto anche Noceto Chiarli), il celebre fabbro genovese che con la sua perizia aveva tranciato le enormi catene del porto nemico. Maistro Chiarlo – così era chiamato – aveva ingegnosamente acceso dei fuochi sotto di esse rendendole incandescenti e quindi più facilmente spezzabili.

Pochi però sanno che le catene del 1290 non furono né le uniche né le prime tradotte a Genova:  già nel 1287 infatti, durante una spedizione organizzata dall’invincibile ammiraglio Benedetto Zaccaria, uno dei due eroi della Meloria, (l’altro Oberto D’Oria) i genovesi si erano già impossessati delle catene del porto. Benedetto, a bordo della sola “Divizia”, la sua galea prediletta, aveva violato il porto militare facendosi largo fra le torri di difesa mentre un suo sottoposto, il capitano Nicolino di Petracco al timone di altre 5, era entrato nel bacino mercantile spezzandone per urto (delle galee) le maglie. Catene che furono anch’esse, fino al 1860, appese sulla Cattedrale di San Lorenzo. Durante l’eroico assalto Benedetto rimase gravemente ferito ma in seguito alla sua coraggiosa impresa, impauriti, i pisani siglarono la pace. I patti furono talmente duri per i toscani che questi, non rispettandoli, videro nel 1290  il loro approdo definitivamente distrutto ed interrato ad opera di Corrado D’Oria.

“Alcuni anelli delle catene di Porto Pisano esposti sotto le arcate del palazzo del mare, meglio noto come S. Giorgio”.

La tavella genovese rimanda ad altre due rappresentazioni simili murate nella cattedrale di Pisa. La prima esposta lungo il muro meridionale del coro della chiesa, la seconda al pian terreno del campanile della stessa. Probabile quindi che l’opera sia stata commissionata dai vincitori ad una delle numerose maestranze pisane fatte prigioniere in quegli anni a partire dalla celeberrima battaglia della Meloria avvenuta nel 1284.

“Il bassorilievo originale custodito nel museo di S. Agostino”.

A seguito della distruzione del quartiere avvenuta nel 1935 il prezioso manufatto è stato ricoverato presso il Museo di S. Agostino dove tuttora è accuratamente custodito.

Edicola di Vico San Pietro della Porta

In Vico San Pietro della Porta all’angolo con Via dei Conservatori del Mare si trova l’edicola del XVIII sec. intitolata alla Madonna della Guardia.

All’interno del tabernacolo barocco con stucco campeggia la statua della Vergine in piedi che poggia su un tappeto di nuvole e teste di cherubini.

In braccio regge il Bambinello. Entrambe le figure sono coronate a sottolineare il ruolo di Regina della città.

Immancabile sull’ampio piedistallo dotato di ringhiera il devoto Benedetto Pareto inginocchiato in adorazione.

I profili della cornice sono riccamente decorati con riccioli, fogliami e due angioletti alati.

A reggere la parte superiore della cornice due teste di angeli alati che spuntano fra le nuvole contornati dalla tradizionale raggiera.

Recita il cartiglio: “Fundamenta /Ejus in Montib. Sanctis Psal. 86 / Redif. 1754 / R. 1805.

In basso sul muro di sostegno una cassetta in ferro con serratura a borchie utilizzata, come testimomiato da relativa epigrafe, per le elemosine: ” Ellemosina / per Nostra Sig / della Guardia/ 1729.

 

 

Via dei Sansone

Da salita S. Leonardo si dipana via dei Sansone, una “creuza” nella quale il tempo sembra essersi fermato.

La stradina, per secoli viale d’accesso al convento di San Leonardo, prende il nome da una antica famiglia di origine savonese che qui aveva eretto le sue dimore.

Peccato solo non ci siano più gli schiamazzi dei ragazzi che hanno segnato la mia gioventù in una Carignano incantata!

“A Genova. Poco fa, come tornavo da S. Maria di Carignano, ho sentito la tristezza opprimente dell’Italia, tristezza incomprensibile poiché l’italiano è allegro. Perché queste stradette chiassose mi provocano una malinconia così singolare? (Julien Green)”.

La Grande Bellezza…

La Cagna Corsa…

Molti sono quindi gli aneddoti e le leggende legate al sito ma certamente il più inquietante è quello che racconta le tristi vicende della “Cagna Corsa” che qui venne arsa viva. A testimonianza della  macabra esecuzione al centro della piazza c’è una mattonella superstite ancora annerita e, secondo la tradizione, ancora calda.

Piazza Banchi è sicuramente oltre che uno degli scorci più suggestivi della città vecchia anche un luogo ricco di storia: basti pensare ai cambiavalute, all’antica Borsa o al vicino Palazzo San Giorgio che nei secoli ha ricoperto la funzione di dimora del Capitano del Popolo, di dogana, prigione e Banca.

Ma alle vicende della piazza sono riconducibili anche avvenimenti criminali e leggendari quali ad esempio il pauroso incendio del 1398 che distrusse la primitiva chiesa di San Pietro della Porta. In quella nefasta circostanza perse la vita un giovane membro della potente famiglia dei Lomellini, il cui fantasma, secondo la tradizione, vaga ancora piagnucolante negli scantinati dell’edificio.

O le numerose risse e rasse (congiure) che nei secoli hanno visto protagonisti Mascherati (ghibellini) e Rampini (guelfi) fronteggiarsi in sanguinose lotte intestine.

Oppure il passionale omicidio avvenuto il 25 febbraio del 1682, per vendetta d’amore, del celebre musicista romano Alessandro Stradella.

Molti sono quindi gli aneddoti e le leggende legate al sito ma certamente il più inquietante è quello che racconta le tristi vicende della “Cagna Corsa” che qui venne arsa viva. A testimonianza della  macabra esecuzione al centro della piazza c’è una mattonella superstite ancora annerita e, secondo la tradizione, ancora calda.

“La mattonella annerita al centro della Piazza”. Foto di Leti Gagge.

Manola questo era il suo nome, nota anche come Cattarina, era una donna del XVII sec. che, abitante a Rapallo, era originaria, come ci ricorda il suo soprannome, della Corsica.

Cattarina venne giustiziata dalla Santa Inquisizione nel settembre del 1630 al tempo in cui la Superba era sotto l’intransigente influenza di Re Luigi XIII di Francia.

Era stato il capitano della città del Tigullio Emmanuele da Passano a far pervenire al Senato una lettera in cui sostanzialmente accusava la presunta strega di chiedere l’elemosina e, con sommarie testimonianze di passanti, di aver infastidito un paio di mocciosi.

La povera disgraziata aveva tentato invano di sottrarsi all’intervento delle guardie ma era stata bloccata dalla folla nel frattempo accorsa e accusata di aver eseguito malefici contro alcuni fanciulli misteriosamente morti poi, qualche giorno dopo.

La relazione del Capitano da Passano al Sant’Uffizio l’aveva definita maga e incantatrice e per questo senza tanti convenevoli l’aveva condotta in carcere.

In prigione subì un sommario processo in cui la testimonianza di un tal Nicolò Multedo fu purtroppo per lei fatale: Nicolò raccontò della visita che Cattarina aveva fatto 4 anni prima, egli assente, nella sua casa durante il periodo di Carnevale.

“La Chiesa di San Pietro in Banchi”. Foto di Leti Gagge.

Costei aveva domandato a sua moglie, ottenendone rifiuto, fichi e castagne. Nel frattempo Cattarina aveva notato nella stanza un pargolo e, mentre elemosinava dell’olio chiaro, le chiese se fosse il figlio. Angiolina, la moglie di Nicolò rispose che olio chiaro non ne aveva più ma che poteva servirsi lei stessa dalla “ramara” per riempire “il doglio” che recava seco.

Evidentemente la strega non doveva essere rimasta soddisfatta del trattamento visto che brontolò: “… tu facevi meglio a darmelo chiaro” e se ne andò. Poche ore dopo il termine della sgradita visita il pargoletto, che aveva poco più di un mese, iniziò a star male e l’indomani a perdere dal naso “tre stizze di sangue” che colarono sulla bocca. Morse persino la madre che lo stava fasciando. L’infante sulla gola presentava tre segni neri come la presa di una mano attorno al collo che, secondo i genitori, non potevano altro che essere stati fatti dalla strega.

Qui subentra l’interpretazione esoterica del numero tre in chiave malefica dato che: tre furono le richieste della strega (fichi, castagne e olio), tre le gocce di sangue, tre i segni neri e alle tre di notte del terzo giorno della settimana il decesso del pargolo.

Forte di questo nefasto episodio il processo proseguì con altre testimonianze, più o meno inventate, di assassini di altri bambini e quindi il Capitano poté chiudere soddisfatto la pratica informando il Senato genovese dell’esito della sua inchiesta.

“La pavimentazione nei pressi, secondo la leggenda, del rogo”. Foto di Leti Gagge.

La risposta giunse rapida e lapidaria il 30 agosto: “… Vi diciamo che restando il suo delitto soggetto mallo statuto criminale Cap. 10 sotto la Repubblica de Veneficiiis, tirate innanzi questa causa terminandola con giustizia”.

Cattarina fu così trasferita a Genova e, conformemente alla legge in vigore, fu arsa viva in Piazza di San Pietro in Banchi.

“Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle”.
(Voltaire)

“Piazza Banchi”. Foto di Leti Gagge.

La Tomba di Antonio Grimaldi

Sul lato del Portale di S. Gottardo della Cattedrale di S. Lorenzo che si affaccia dell’omonima via si trova una curiosa tomba in arcosolio.

Si tratta del monumento funebre del XIII sec. di Antonio Grimaldi, strenuo difensore di Famagosta, fino al 1895 custodito nella Commenda di San Giovanni di Prè.

Opera di pregevole fattura concepita a baldacchino con prospetto decorato con la rappresentazione dei quattro evangelisti, detta anche “tetramorfo” (rappresentazione iconografica composta da quattro elementi di origine mediorientale): da sinistra a destra Luca (il bue alato), Giovanni (l’aquila), Matteo (l’angelo), Marco (il leone alato) e, al centro, il Padre Eterno.

Antonio Grimaldi nel 1402 venne inviato dal Maresciallo Boucicault reggente della Superba al comando di tre galee in soccorso di Famagosta assediata dal re di Cipro Giano di Lusignano. Dopo averla liberata ed essersi stabilito alcuni mesi a Nicosia, il valente comandante rientrò a Genova da eroe.

Poco tempo dopo, approfittando dell’assenza del genovese, il re di Cipro ripeté l’assalto costringendolo a ritornare sull’isola per difenderla nuovamente. Antonio dopo aver conquistato alcuni legni catalani e veneziani, alleati del re cipriota, nello scontro morì da eroe.

La Grande Bellezza…

 

 

Salita San Leonardo

“La mia città dagli amori in salita,
Genova mia di mare tutta scale
e, su dal porto, risucchi di vita
viva fino a raggiungere il crinale
di lamiera dei tetti”.

(Giorgio Caproni)

In questa creuza di Carignano che collega Via Fieschi con il complesso monumentale di S. Ignazio (sede oggi dell’archivio di Stato) nel ‘600 aveva dimora la bottega di Domenico Piola.

Chissà quante volte il celebre maestro del Barocco genovese la avrà percorsa affannato e ispirato.

Nel ‘900 ospitò anche la principale sede cittadina del Partito Comunista Italiano.

La Grande Bellezza…

Edicola Via Chiossone 14

Via David Chiossone deve il suo nome al medico e scrittore genovese fondatore del celebre istituto per ciechi.

Al  n. 14 sul portale del cinquecentesco Palazzo Stefano D’Oria si trova la particolare, per via della sua forma a medaglione, edicola della Madonna con Bambino e San Giovannino del sec XVII – XVIII.