Particolare di quest’edicola è il fatto che la statua della Vergine con il Bambinello è ricoverata all’interno di una nicchia semicircolare che sovrasta il portale.
Alla base l’epigrafe recita: “Venite. Ascendamvs. Ad Domus.Dei – PS. 1 C.2. V.3.
Gli storici dell’arte non sono concordi sulla datazione.
A questo palazzo è legata un’altra curiosità che rimanda ai resti della chiesa di San Vittore di cui resta traccia nell’edificio.
La chiesa di San Vittore fu fondata nel 1156 per ospitare i pellegrini e demolita nel 1836 dai reali piemontesi per espandere gli spazi del loro attiguo palazzo.
Nel cavedio della vicina chiesa di San Sisto in Via Prè sono infatti ancora visibili brani della navata sinistra e un mozzicone del millenario campanile.
All’altezza del civ. n. 35 di Via del Campo si può apprezzare una sobria ed elegante Annunciazione del XV sec. in pietra nera di Promontorio.
Sulla sinistra l’arcangelo inginocchiato annuncia la lieta novella. Al centro un vaso con foglie (forse di papiro) e a destra la Vergine con accanto un rudimentale focolare.
Oggi è un ristorante self service ricavato dal piano sotterraneo rispetto al sagrato della chiesa di San Matteo. Un tempo invece questo locale era adibito a cisterna e cantina dell’attiguo palazzo Branca Doria.
Qui, durante alcuni lavori di ristrutturazione, sono state rinvenute antiche colonne di pietra e alcune tavelle scolpite.
Fra queste certo il più prezioso, datato dagli esperti attorno al 1460, è il frammento di sovrapporta che raffigura l’Annunciazione con due angeli inginocchiati in adorazione.
In Canneto il Lungo si trova una delle più antiche rappresentazioni di San Giorgio attribuita a G. Gagini.
Il sovrapporta marmoreo infatti risale al XV sec. e raffigura il Santo che trafigge il drago fra due angeli con stemmi abrasi. Sopra il trigramma gotico di Cristo.
“Sovrapporta con San Giorgio che uccide il drago in Canneto il Lungo 29r”.
Nel cuore di quella che un tempo era nota come la “Cheullia” al civ. 58 si trova quel che resta dell’edicola della Madonna col Bambino e San Giovannino.
Se la statua originaria è andata persa o, più probabilmente, rubata e sostituita con un’anonima immagine della Vergine, l’elegante tabernacolo marmoreo del 1607 si è conservato invece in buone condizioni.
L’arco tondo che chiude la nicchia, sorretto da due grandi cherubini alati, è sormontato da due cornucopie che riversano frutta.
Alla base della statua era incisa l’epigrafe:
“Svb Tvv Presidiv / An MDCVII.
Recentemente l’edicola è stata restaurata e, adeguatamente illuminata, riportata al suo antico splendore.
Al n. 8 di Piazza Pollaiuoli si trova una delle edicole più note, quella che ritrae Sant’Antonio da Padova e Santa Caterina Fieschi.
L’ovale in stucco contiene i due santi rivolti in adorazione al bambino. Sant’Antonio in ginocchio su una nube, bacia la mano del bambinello. Santa Caterina poggia su un inginocchiatoio coperto da un bel drappeggio.
In mano porta, in atteggiamento estatico, il cuore. Gesù poggia su una nuvoletta dal quale spuntano quattro teste di cherubini alati.
La grande cornice sagomata che racchiude la scena è sorretta da due angeli alati mentre angioletti e cherubini alati spuntano dalle nubi.
Completano l’immagine una grande raggiera in legno coperta da un tettuccio in lamiera lavorato.
La nuova strada che avrebbe dovuto risolvere i problemi viari determinati dai traffici portuali si rivelò presto insufficiente a soddisfarne le moderne esigenze. Negli anni ’30 del secolo scorso venne così presentato un progetto di raddoppio della strada che doveva collegare Piazza Dante con Via Turati demolendo le case di Canneto il Lungo e di Via dei Giustiniani. Per fortuna il delirante proposito si arenò nei meandri della burocrazia e non ebbe attuazione.
Oggi rappresenta il salotto buono del centro, ma non è stato sempre così. Da bambino infatti me la ricordo come una delle vie più trafficate della città, l’aria irrespirabile, i palazzi anneriti dalla fuliggine, i bus che arrancavano esausti in coda e le auto parcheggiate, irriverenti, davanti alla Cattedrale.
In origine la via non esisteva, non era che un dedalo di vicoli e piazzette. Nel 1835 fu al centro di una rivoluzione viaria, volta a dare sfogo alle merci che transitavano in Piazza Caricamento, che stravolse tutta l’area.
Fin qui nulla di strano ma forse non tutti sanno che per
realizzare l’ambizioso progetto non solo vennero abbattuti molti edifici
fatiscenti ma che alcuni vennero letteralmente segati. Le facciate smontate e
arretrate di parecchi metri. Insomma un’opera di ingegneria civile non da poco.
La nuova strada che avrebbe dovuto risolvere i problemi viari determinati dai traffici portuali si rivelò presto insufficiente a soddisfarne le moderne esigenze. Negli anni ’30 del secolo scorso venne così presentato un progetto di raddoppio della strada che doveva collegare Piazza Dante con Via Turati demolendo le case di Canneto il Lungo e di Via dei Giustiniani. Per fortuna il delirante proposito si arenò nei meandri della burocrazia e non ebbe attuazione.
Dopo i restauri dei palazzi e la pedonalizzazione per il G8
del 2001 Via San Lorenzo è diventata la strada, grazie anche ai numerosi locali
che affollano la zona, del passeggio dei genovesi e dei turisti.
Sul lato di Via San
Lorenzo il palazzo ad angolo con accesso
dal civico n. 2 di Via Turati non ha portone. Il fronte è in bugnato al piano
strada mentre i due piani nobili presenta stucchi di fine ‘800 con fascia marca
davanzale.
Al civ. n. 2 il fronte è invece in bugnato liscio e il portone in pannelli di ghisa lavorati a riccioli con teste leonine. La lunetta sopraluce è a verghe gigliate mentre su quella del negozio a fianco vi sono due angioletti alati che porgono delle cornucopie. L’atrio è a voluta sferica con al centro una lanterna in ferro battuto.
In Via San Lorenzo n. 3 c’è uno dei pochi palazzi che venne invece avanzato di circa 5 metri nell’area della scomparsa Piazza delle Olive. L’antica facciata risulta incorporata all’interno del palazzo, mentre la nuova si presenta con il piano terra occupato da un negozio con le vetrine in ghisa e lamiera. Il fornice del portale è in marmo con una curiosa testina di lupo in stucco al centro.
Timpano e cornice sono interamente di stucco. Il trave è lavorato a fasci di verghe con ai lati due testine sporgenti dette acroterii.
In cima fa capolino una testa di Minerva fra riccioli e girali sopra una cornice greca.
Al civ. n. 5 il Palazzo Gio Batta Centurione (appartenente alla schiatta dei banchieri più ricchi d’Europa) meglio noto con il nome di Boggiano Gavotti. In facciata la Madonna col Bambino del sec. XVIII , un tondo in marmo con rilievo molto sporgente, attribuito allo scultore Bernardo Schiaffino. L’edificio era in origine orientato verso Canneto e venne modificato nel 1843 con la nuova facciata neoclassica lato Via San Lorenzo e con l’accorpamento del palazzo adiacente al Vico della Noce. Nel loggiato spicca il rilievo commissionato da Lorenzo Costa e realizzato da Santo Varni nel 1860. La scultura ricorda il celebre episodio del 1747, quando la rivolta popolare contro l’occupazione austriaca, iniziata nel dicembre del ’46, si stava evolvendo in senso rivoluzionario. I rivoltosi puntarono un cannone dritto contro Palazzo Ducale intenzionati a bombardarlo per dispetto contro quella borghesia che si era schierata con gli austriaci. Il senatore Giacomo Lomellini si pose a braccia aperte davanti all’arma e placò l’insurrezione.
Da qui il proverbio “O Lomelin o l’ha averto u portego”, che sta ad indicare un gesto plateale non propriamente eroico. Al primo piano un ponticello con balaustre marmoree collega il palazzo con un giardino pensile sovrastante l’angolo fra Canneto il Curto e Vico Caprettari. Il terrazzo versa nel più totale abbandono mentre il ninfeo con la statua di Venere risulta ancora ben conservato.
Sul portale del civ. 8 è scolpita una lapide il cui testo recita:
“Patriae Ornamento / Franciscus Ronco C. F. / MDCCCXXXX”. La lunetta sopraluce
in ghisa presenta una Testa di Minerva sul fornice. Osservando le finestre del
secondo piano nobile si nota una cornice in stucco con fregi di ghirlande e
putti e cinque bucature ad occhio di cui due con fregi a stucco.
Il palazzo del civ. n. 10 a che presenta un basamento in bugnato rustico aveva l’ingresso principale in Vico San Genesio e venne arretrato di ben 10 metri per permettere la costruzione della via.
L’edificio al civ. n. 12 è il Palazzo Bandinelli Sauli in San Genesio ristrutturato nel 1852 su progetto di Ignazio Gardella. Il portale mostra colonne doriche scanalate con metope scolpite con allegorie. A sinistra quella del fiume Po con un toro, simbolo della città di Torino. A destra un Nettuno con un Giano bifronte e un castello, simbolo di Genova. Al centro lo stemma con le due città unite opera di Santo Varni. Questa era la sede della Banca Nazionale, fusione della banca di Torino con quella di Genova che costituirà l’origine ed il nucleo fondante della Banca d’Italia.
Sul tetto terrazzato una balaustra marmorea con anfore e sotto un cornicione istoriato. Nel grande atrio di rappresentanza con colonne doriche si apre il cavedio tondo balaustrato. L’edificio è accorpato con l’ottocentesco palazzo Solari col quale divide l’accesso. Iniziato nel 1851 su progetto dell’architetto Carpineti il palazzo si presenta oggi con il fronte principale rivolto alla Cattedrale.
Per i genovesi è noto come le Fatiche di Ercole ed è lo spettacolare portone di Palazzo Gio Batta Spinola al civ. n. 7 di Via Orefici.
Il cinquecentesco portale è attribuito al maestro Giacomo Della Porta: sugli stipiti due telamoni poggiano su teste mostruose (una leonina ed una umana ringhiante).
A sinistra un barbuto Ercole, avvolto nella pelle del leone Nemeo, regge in mano la sua famosa clava (ottenuta da un ulivo selvatico del monte Elicona).
Il personaggio di destra invece rappresenta un contadino glabro dal volto rilassato anch’esso con in mano una clava.
Alle basi di questi telamoni sono scolpiti due Ercoli in rilievo. quello di destra è seduto con la clava in mano, quello di sinistra è rappresentato in piena lotta con il re dei felini.
Le metope presentano elmi con testine urlanti, clipei e bucrani alternati a triglifi a mensola.
Al centro l’enigmatica testa di medusa alata. Infine, sulla trabeazione, si stagliano due eleganti figure femminili con drappeggi, anfore ai lati e in mezzo un mascherone baffuto. Quest’ultimo posto in sostituzione dell’originale stemma di famiglia asportato durante il nefasto periodo napoleonico.