La leggenda del polpo di Tellaro…

Gli abitanti di Tellaro avevano costruito una chiesetta vicino al mare. Lì avevano posto una sentinella con il compito di suonare a martello le campane in caso di pericolo. “Con questa tempesta nessuno metterà di sicuro la propria nave in mare. Stanotte posso dormire tranquillo”. Sicura di se, la sentinella si appisolò, felice di non dover stare con gli occhi aperti fino al mattino successivo. A mezzanotte in punto i pirati si avvicinarono alla riva. Proprio quando stavano per attraccare, le campane della chiesetta si misero a suonare, battere e rintoccare…

I Tellaresi si precipitarono a difendere il loro paese e ricacciarono in mare i pirati saraceni. Scongiurato il pericolo si chiesero chi avesse suonato la campana, visto che la sentinella dormiva fra le braccia di Morfeo? Ai piedi del campanile i tellaresi videro un enorme polipo attaccato alle funi delle campane: era stato lui a salvare il paese!
La leggenda trae origine da un avvenimento storico realmente accaduto nel luglio del 1660 quando un manipolo di pirati saraceni guidati da Gallo d’Arenzano tentò un fallito assalto al borgo. Una targa affissa all’esterno della chiesa di S. Giorgio celebra il leggendario episodio:

Saraceni mare nostrum infestantes sunt noctu profligati quod polipus aer cirris suis sacrum pulsabat“.

“La storia raccontata con gli occhi e i tratti di un bambino”.

Da allora i Tellaresi hanno adottato il cefalopode come simbolo del paese anche se, a dire il vero, non gli sono stati poi così grati visto che la sua preparazione culinaria è divenuta una presenza irrinunciabile sulle loro tavole.

Il polpo alla tellarese è una gustosa variante di quello lessato con le patate comune a tutta la regione e prevede nel condimento, a base di olio locale, l’aggiunta ad aglio e prezzemolo, di olive nere della riviera.

 

Lo scoglio di Asseu… la fiaba di Riva e Trigoso…

Opera dello scrittore sestrese Mario Antonietti è la suggestiva fiaba che affonda le sue radici nella leggenda e che narra le vicende di due giovani innamorati, Riva e Trigoso. La storia è ambientata ai tempi in cui Riva era un piccolo borgo di pescatori oggetto spesso delle incursioni dei pirati saraceni.

Il protagonista del racconto è un giovane molto coraggioso ed aitante, tale Trigoso, il quale amava la sua bella, dalle bionde trecce color dell’oro, di nome Riva, I due decisero di sposarsi ma, il giorno delle nozze, durante i festeggiamenti, il paese fu invaso dai pirati Saraceni, che saccheggiarono il villaggio e rapirono le donne più giovani e belle. La scena del ratto rievoca i trecenteschi versi di Cecco Angiolieri: “torrei le donne giovani e leggiadre,
le vecchie e laide lasserei altrui”.

“A sinistra lo scoglio di Asseu dipinto dai colori del tramonto”.

Nel tentativo di difendere la sua promessa sposa Trigoso si scagliò coraggiosamente contro i pirati e, nello scontro, mentre Riva veniva caricata a forza sulla capitana degli infedeli, perse i sensi.

“Lo scoglio dell’Asseu”.

Quando Trigoso riaprì gli occhi i legni saraceni stavano prendendo il largo e, realizzato quanto era successo, corse sulla rena dove iniziò a urlare a gran voce il nome di Riva ma, non appena i pirati lo udirono, venne colpito da una sventagliata di frecce che lo trafissero in pieno petto e lo fecero cadere a terra agonizzante. “Cadesti a terra senza un lamento e ti accorgesti in un solo momento che la tua vita finiva quel giorno e che non ci sarebbe stato ritorno” proprio come nella “Guerra di Piero”, la celebre ballata di Faber. Riva assistette alla scena dalla nave e quando vide il suo sposo morire si gettò contro il comandante che la uccise con ripetute pugnalate al ventre; i pirati ne gettarono il corpo in mare.

L’acqua si tinse del rosso del sangue e dal mare sorse un’enorme onda che colpì la nave dalla quale fece cadere diversi forzieri e bauli contenenti una gran quantità d’oro e di preziosi. I pirati non riuscirono però ad individuare il punto esatto dove era affondato il tesoro e, dopo giorni di ricerche, decisero di desistere e di salpare. La notte stessa degli Angeli discesero dal cielo e collocarono, nel punto in cui Riva era morta, un grande scoglio a forma di campana (l’attuale scoglio dell’Asseu), per ricordare ai posteri la giovane fanciulla e il suo coraggio. Contemporaneamente, nel punto dove cadde Trigoso, i ciottoli intonarono un canto d’amore.

Secondo gli esperti di storia locale il toponimo dello scoglio asseu deriverebbe dalla traduzione genovese di assiolo, un piccolo rapace notturno, molto simile alla civetta, che vi nidificava sopra. 

Passarono gli anni, i pirati non tornarono più e mentre il borgo iniziava ad ingrandirsi, i ciottoli continuavano inconsolabili a cantare la loro canzone d’amore, la baia dove i pirati persero il loro tesoro (forse al largo dell’attuale spiaggia di Renà) venne, per questo, chiamata la Baia dell’Oro e i pescatori decisero di intitolare il loro paese alla memoria dei due giovani e della loro romantica storia d’amore.

“Ancora lo scoglio di Asseu (dell’assiolo)”.

Storia di un Re, di un carro, di un cigno…

il mito della nascita dei Liguri…

Racconta Esiodo che Fetonte, figlio del Sole, reo di essersi  troppo avvicinato alla Terra con il suo carro infuocato bruciò ogni cosa, venne fulminato da un irato Giove e cadde morto nel fiume Eridano, l’attuale Po.

Le sorelle di Fetonte le Eliadi, addolorate, vennero tramutate in pioppi, le loro lacrime, in ambra (da qui l’antica denominazione “Ambrones”) e Cicno, re dei Liguri e suo fraterno amico che pianse con loro, per via della sua melodiosa voce, in cigno.

Come ricorda Virgilio: “Cicno, abbandonando la Terra, con il canto raggiunse le stelle”.

Da qui l’origine delle costellazioni del Cigno e delle Pleiadi, volute vicine da Apollo perché si facessero compagnia.

Questo significa il bassorilievo romanico di Vico S. Pietro della Porta nel quale sono rappresentati stemmi araldici, il Vescovo (S. Siro) e il Cigno.

Storia di leggende…. quinta parte…

misteri… e fantasmi… continua… quinta parte
I membri della Confraternita di S. Germano si divertivano, sbucando nel buio della sinistra Crosa del Diavolo (odierno Largo S. Giuseppe) a spaventare i passanti.
Indossavano un lenzuolo sotto il quale nascondevano una lanterna illuminata e calzavano lunghi trampoli.
In realtà, più che di un’associazione religiosa, si trattava di un gruppo di cospiratori e affaristi politici che, durante i loro incontri, non tolleravano intrusi e avevano ideato questo stratagemma per spaventare i curiosi.
Nei rigogliosi giardini dietro a palazzo Tursi, si aggira invece un elegante e fascinoso spettro di dama bianca.
Chi lo ha visto svanire nel loggiato sostiene essere una signora molto simile a quelle che Rubens e Van Dyck, a loro tempo, amavano ritrarre nei loro dipinti.
Poco distante, nel caruggio sottostante Palazzo Rosso, in Vico Brignole, al tramonto si possono udire i singhiozzi e i lamenti di una enigmatica figura di donna con il volto velato.
Un altro sito molto gettonato per le apparizioni sovrannaturali è la zona dell‘Acquasola che, oltre ad essere stata luogo di culto pagano, nel 1657 in seguito alla peste, è divenuta cimitero di circa ottantamila nostri concittadini.
Nel centro storico bighellona anche lo spettro di un lussurioso tedesco in cerca di piacere che, nonostante le raccomandazioni dei suoi commilitoni di non inoltrarsi nel pericoloso labirinto dei caruggi, non ha obbedito al consiglio ed è stato trucidato dai partigiani.
Dal 1943 dunque, le “Graziose” confermano l’apparizione del fantasma di un uomo in uniforme militare.
L’ho lasciato per ultimo perché ne hanno parlato anche le televisioni nazionali e le emittenti private ed è sicuramente il fantasma più famoso di Genova: la vecchina di Vico Librai.
L’anziana signora gironzola nei pressi di Porta Soprana chiedendo informazioni sulla strada da percorrere per raggiungere la propria abitazione in Vico Librai.

"La vecchina consolata in un'immagine di fantasia".
“La vecchina consolata in un’immagine di fantasia”.

Il vico, a cavallo degli anni ’60 e ’70 è andato distrutto insieme a tutto il quartiere della Madre di Dio in seguito alla vergognosa e spregiudicata politica di rinnovamento urbanistico decisa a quel tempo.
A rendere ancora più affascinante la vicenda di questa nonnina è il ritrovamento, all’interno di un locale dove era entrata per chiedere informazioni, di un borsellino contenente monete del regno, immaginette sacre e un antico rosario.
Tutti oggetti risalenti all’800.

In Copertina:Ritratto di nobildonna genovese, realizzato da Antoon van Dyck all’incirca tra il 1625 e il 1627 a Genova.

Storia di un cagnolino…

longevo e di un artista riconoscente…

Scolpito sulla colonna destra del portale della Cattedrale di S. Lorenzo, lato dell’omonima via riposa, ad altezza occhi un cagnolino opera di uno degli artisti che, nel ‘500, restaurarono la chiesa.

Pare che i due fossero inseparabili così che, alla morte dell’animale, lo scultore appartenente alla Corporazione degli antelami (maestranze provenienti dal comasco e dal Canton Ticino) volle ricordarlo dormiente per l’eternità.

La gradevole storiella è priva di fondamento e trova palese smentita nelle numerose altre simili rappresentazioni zoomorfe presenti in città.

Ad esempio nel chiostro di S. Andrea dietro la casa di Colombo ve ne è uno identico.

Le figure antropomorfe, fitomorfe e zoomorfe, soprattutto se fantasiose e bizzarre, come spiegato dal Prof. Giacomo Montanari (curatore delle manifestazioni dei Rolli) erano infatti patrimonio consolidato dell’arte già dal XIII secolo.

La leggenda sostiene che accarezzarlo porti fortuna ma il marmo, a forza delle attenzioni che gli hanno riservato i genovesi, ormai è liscio e consumato. Meglio quindi, al fine di  preservarne l’integrità, limitarsi ad ammirarlo. Il cagnolino stesso ve ne sarà grato.

Storia di leggende… quarta parte…

misteri… e fantasmi…
continua… quarta parte.
Anticamente Via Luccoli (“piccolo bosco”) era la strada che conduceva all’Acquasola sede dei templi pagani del Sole e della Luna.
In quel tempo era purtroppo normale fare sacrifici umani per ingraziarsi le divinità.
Una di queste vittime che, oltre mille anni dopo, gironzola ancora oggi nel vicolo, ignara del proprio triste destino, è il fantasma di un ingenuo fanciullo che sorride ai passanti.
Tra la sera del venerdì santo e l’alba di Pasqua è possibile invece imbattersi in un lugubre carro che, guidato da un misterioso nocchiero e trainato da un superbo palafreno, percorre il tragitto da Porta di S. Fede, attraversa Via delle Fontane e prosegue lungo Corso Carbonara, carico delle anime defunte di morte violenta.
Sempre nei pressi della Porta certe notti si può intravedere lo scellerato spettro del Vacchero colui al quale, a causa del suo tradimento, la Repubblica ha dedicato la celebre colonna infame.
Un’altra sanguinosa leggenda riguarda la Cattedrale di S. Siro nella quale i Vescovi lombardi, in fuga da Milano, traslarono le reliquie del loro patrono S. Ambrogio.
Fra i prelati milanesi si distinse per costumi dissoluti un tal Valentino che, una volta deceduto, nella chiesa ebbe sepoltura.
Ma una notte, fra il terrore dei presenti accorsi sul posto perché turbati dal frastuono delle urla, due spettri furibondi riesumarono la salma del monaco.
Costoro lo resuscitarono e trascinarono fuori dall’edificio religioso.
All’indomani il corpo del malcapitato venne rinvenuto gettato in malo modo nella fossa comune del cimitero.
In Piazza Banchi, nei pressi di S. Pietro della Porta vaga invece, accompagnato da una triste melodia, lo spirito dello Stradella, noto compositore secentesco, protagonista di torbide vicende amorose.
Ai fatti accaduti la sera del 24 aprile 1841 è infine legata l’infelice relazione fra il Conte Camillo Benso di Cavour e la nobildonna genovese Anna Schiaffino Giustiniani.
Costei, depressa perché non corrisposta, la sera sopra citata, durante un importante ricevimento, si gettò nel vuoto dalla finestra del palazzo Lercaro di Via Garibaldi.
Da allora, ogni 24 aprile, in corrispondenza della finestra del folle volo, compare una grande macchia con le sembianze della trentatreenne suicida.

Fine quarta parte… continua…
In Copertina: Via Luccoli di sera. Foto di Leti Gagge.

Storia di leggende… terza parte…

misteri e fantasmi… terza parte.
Un racconto a me molto caro che si perde nella notte dei tempi narra di una singolare coppia di frequentatori dei caruggi: il Diavolo e il Vento.
Una sera il Diavolo, passando sotto l’Arcivescovato, disse all’amico che sarebbe salito a parlare con il Vescovo e di attenderlo lì sotto.
Nel palazzo della Curia il Diavolo, evidentemente, si trovò proprio a suo agio visto che più non scese.
Ecco perché in Salita all’Arcivescovato soffia sempre forte il Vento; perché questi è ancora lì sotto ad aspettare il Diavolo.
Legato invece ad un fatto storico vero è il racconto che vede come sfondo l’intrigante Piazza di Campo Pisano:
nel 1284 infatti i Genovesi condussero in città, in seguito al trionfo della Meloria, ben novemila nemici pisani.
Molti di questi morirono di stenti e trovarono sepoltura, lontano dal suolo patrio, proprio nel cimitero sottostante l’attuale piazza (da qui il toponimo).
Per questo, dalla Marina lungo tutta la salita che conduce alla piazza, nelle fredde sere invernali, riecheggia un incessante tintinnare di catene e ferraglia trascinate dai prigionieri.
In Piazza Senarega invece, dal palazzo dell’omonima famiglia, si può scorgere a mezzogiorno in punto, una giovane dama affacciarsi dalla finestra e vederla spiccare il volo tenendo in mano un fagotto.
Superato l’attimo di incredulità si può notare come il presunto fagotto sia in realtà il suo capo mozzato opera del suo geloso amante.
Proseguendo poco distante, in Vico delle Mele, è possibile inoltre imbattersi in una misteriosa meretrice, bruna di capelli, di pelle ambrata e dalle prosperose forme che vi farà girar la testa e, magari, sparire il portafoglio.
La leggenda in proposito racconta infatti che, colta in flagrante insieme al suo nobile amante, sparì insieme alla dimora in cui nel vicolo avvenne l’incontro, non lasciando più traccia né di se, né del palazzo.
Per finire un cenno al fatto che, a partire da inizio ‘500 le impiccagioni avvenivano presso il Castellaccio e le odierne Via Cavallo e Via Accinelli che un tempo si chiamavano Salita dell’Agonia e della Morte, erano le uniche strade per arrivarci.
I condannati infatti le percorrevano entrambe: da vivi la prima all’andata, e da cadaveri la seconda al ritorno…
Via vai continuo di anime…..
Fine terza parte… Continua.

Storie popolari…

Il mare regna sovrano nella nostra storia ma, a sorpresa, come l’onda si ritira quando si parla di fiabe.
Ebbene si, a farla da padrone sono i racconti legati alla terra, forse perché tramandati dalle mogli che aspettavano il rientro dei loro mariti e dettati dai tempi dei lavori manuali ed agricoli.
Forse perché i marinai, sparsi in chissà quale oceano e indaffarati in commerci o impegnati in battaglia, non avevano tempo per perdersi in chiacchiere, intenti com’erano a salvare la “pellaccia”.
Genova e la Liguria non hanno una grande tradizione in materia e di secoli di racconti narrati intorno al focolare è rimasto ben poco.
Per fortuna, sul finire dell’800,  il “foresto” James Bruyn Andrews si è “preso la briga e di certo il gusto di tramandare ai posteri il racconto giusto” raccogliendo nel suo “Contes ligures” il patrimonio nostrano.
Racconti di streghe, balli e processioni di morti, lupi mannari, sabba diabolici e stregonerie varie.
Una delle più diffuse è la foa delle “troe belle cetronnelle”, variante di quella nota, in altre regioni come ” delle tre melarance”;
In questa favola l’incantesimo al protagonista è svelato da due stregoni rappresentati da Venti Violenti (ne esistono comunque numerose varianti).
La tecnica utilizzata è quella della vivace e sintetica narrazione, basata sulla ripetitività e sulla progressione (grande, più grande, enorme, gigantesco).
Singolare, in alcuni racconti, più che mai espressione del nostro territorio, l’ossessivo susseguirsi di scale sempre più ripide e strette, proprio come gli angusti spazi dei secolari caruggi
Parsimoniosi non solo nelle palanche ma anche nelle parole!

Storia di una leggenda…

… di una chiesa… e di un campanile…. molto particolare…
Alla sua morte, avvenuta nel 430 d.C. , le spoglie di S. Agostino vennero traslate in Sardegna ma, causa la successiva invasione saracena, il re longobardo Liutprando chiese ai genovesi di intervenire per salvare il corpo del santo.
Il re, infatti, era un gran devoto del padre della chiesa e voleva trasportare le reliquie del santo a Pavia, capitale del suo regno.
Tornati a Genova, compiuta la missione, i nostri marinai deposero il santo nella cappella del Palazzo del Vescovo (attuale Facoltà di architettura) in attesa dell’arrivo di Liutprando (anno 726).
Al momento di trasportare l’arca nessuno riuscì a sollevarla, come se il santo non volesse più abbandonare la città.
Il re fece allora voto solenne di edificare in quel luogo una chiesa a lui dedicata.
Miracolosamente il corpo si lasciò sollevare e trasportare nella basilica di S. Pietro in Ciel d’Oro, a Pavia.
Di questa leggendaria chiesa non resta più alcuna traccia e fu eretto, in corrispondenza dell’altare maggiore, il monastero di Santa Tecla.
Solo nel 1477, per volere popolare, fu reintitolata dagli agostiniani al loro fondatore.
Qui vennero eletti i Capitani del Popolo i due Oberto, Doria e Spinola e, nel 1339 Simone Boccanegra, il primo Doge della Repubblica.
Fu sede di numerose confraternite e consorterie
nonché di cappelle nobiliari.

genova
“Il Campanile in alicados di Sant’Agostino”.

Nel 1798 chiesa e convento vennero soppressi per volere di Napoleone e la struttura venne usata prima come magazzino e officina del Genio Civile, poi come sede dei Carabinieri Reali.
Il complesso, gravemente danneggiato durante la Seconda Guerra Mondiale, è stato recuperato dagli architetti nei primi anni ’80.
La facciata a fasce bicrome è sormontata da una lunetta affrescata con l’immagine del Santo.
Ma, a mio parere, il pezzo straordinario è il duecentesco campanile, coevo di S. Giovanni di Prè e delle Vigne, interamente ricoperto, unico esempio nel nord Italia, in alicados cioè delle stesse piastrelle lisce monocrome con cui si rivestono le moschee.
Gli alicados di S. Agostino sono maioliche opera dei Magistri, come inciso su di esse, di Albisola.

 

Storie di leggende… prima parte…

misteri… fantasmi…
Già altri, prima di me, hanno ideato percorsi e iniziative in merito quindi non intendo, in alcun modo, sostituirmi loro.
Ma si sa, ciò che la storia non può avallare, la leggenda tramanda. Ogni quartiere, palazzo o scantinato della città nella sua millenaria esistenza, è ricco di favole, racconti e aneddoti tra i quali, eccone alcuni, di mia conoscenza:
Il primo che mi sovviene riguarda la Cattedrale di S. Lorenzo, dove la vigilia di S. Giovanni Battista, allo scoccare della mezzanotte, sotto la navata centrale, tutte le maestranze che ne hanno contribuito alla costruzione, sfilano in solenne corteo fin sulla cupola dell’Alessi per poi, dopo circa un’ora, dissolversi nell’oscurità.
Nell’antica chiesa dei SS. Cosima e Damiano invece, nelle notti di luna piena, c’è chi sostiene di aver visto apparire, per qualche istante, delle figure incappucciate, forse membri di qualche antica Casaccia.
Casaccia alla quale certamente appartengono le anime scorte all’imbrunire, in periodo di Quaresima, percorrere affrante Salita San Francesco.
Questo della processione evidentemente è un tema che riscuote successo e ritorna spesso, visto che, sempre di sera, in Salita degli Angeli, un altro corteo, in determinate ricorrenze, sfila contrito in direzione del cimitero della Castagna.
Poi ci sono altri racconti… ma, queste sono altre storie…
Fine prima parte… continua…