… Quando c’era la statua del Duca…

Quando la statua scolpita da Giulio Monteverde si trovava ancora in Piazza Principe. Il monumento inaugurato il 12 aprile 1896 lì rimase fino al 1932 quando venne trasferito presso gli adiacenti giardini di Via Fanti d’Italia…

quando, causa lavori inerenti alla metropolitana, non era ancora stato spodestato per poi essere colpevolmente dimenticato, muto e mutilo, in un deposito comunale di San Quirico.

Il complesso originario è costituito da un basamento di granito sul quale campeggia un medaglione bronzeo con il ritratto del Duca e lo stemma di Genova. Sopra svetta il gruppo allegorico delle tre statue che rappresentano tre attività a cui certamente De Ferrari aveva dato grande impulso e per le quali si era guadagnato grande lustro: il Commercio, la Navigazione e la Beneficenza.

“Parti del monumento mal riposte su un bancale quando si trovava a San Quirico”.

Finalmente restaurato e dopo le consuete polemiche sull’idonea o meno ubicazione riservatagli troverà nuova sistemazione in Carignano dove sarà posto a regolare il traffico in fondo a Via Corsica.

Forse il Duca benefattore, declassato a diligente “Cantunè”, avrebbe meritato maggior visibilità ma per lo meno non patirà la solitudine. A poche centinaia di metri più in là infatti, nei giardini dell’ospedale, incontrerà lo sguardo severo e consolatorio della statua della moglie. La scultura che, frutto anch’essa della maestria del Monteverde, immortala la Duchessa Maria Brignole Sale regalmente assisa sul suo scranno.

“La statua della Duchessa di Galliera inaugurata il 18 giugno 1898 nei giardini davanti all’ingresso dell’omonimo ospedale”.

… Quando davanti alla Commenda…

… a marciare non erano più i valorosi crociati dell’Embriaco che avevano dato inizio e lustro all’epopea della gloriosa Repubblica marinara, bensì le squadre di Camicie Nere che omaggiavano il Duce… quando sul millenario selciato rimbombavano non lo sferragliare delle armature ma il bellicoso rumore dei passi dell’ignara meglio Gioventù…

quando i locali dell’Ospitale che un tempo fungevano da ricovero per i pellegrini in partenza o di ritorno dalla Terrasanta erano stati trasformati in abitazioni ed esercizi commerciali abusivi…

“Il Quinto Vangelo”…

… così Don Gallo definì la visione divina ed umana allo stesso tempo del poeta degli ultimi, dei reietti, dei diseredati… insomma di tutti coloro ai quali Gesù aveva ridato speranza e Fabrizio voce. Compassione e solidarietà cristiana alla massima potenza: rispetto e sacralità dell’essere umano, accoglienza senza giudizio, amore incondizionato. Non male per un anarchico che non si professava adepto di nessuna religione. Molto più “illuminato” lui di molti altri che ascoltano o diffondono la parola del Signore predicando bene e razzolando male.

Una sfida difficile quella raccolta da Faber lanciata qualche secolo prima dal Sommo Dante:

Non rammentava forse il poeta la strada maestra?

“Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”.

(cit. dal Canto XXVI dell’Inferno versi 112 – 120 di Dante Alighieri).

Venne alla spiaggia un assassino
due occhi grandi da bambino
due occhi enormi di paura
eran gli specchi di un’avventura…

E chiese al vecchio ‘Dammi il pane,
ho poco tempo e troppa fame’
e chiese al vecchio ‘Dammi il vino,
ho sete e sono un assassino’.

Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno
non si guardò neppure intorno
ma versò il vino e spezzò il pane
per chi diceva ‘Ho sete, ho fame’…

(cit. da “Il Pescatore” di F. De André).

Se tu penserai, se giudicherai
da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni più le spese
ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
se non sono gigli son pur sempre figli
vittime di questo mondo.

(cit. da “La Città Vecchia” di F. De André).

“Ci hanno insegnato la meraviglia verso chi ruba il pane. Ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame”.

(cit. da un verso tratto da “Nella mia ora di Libertà” di F. De André scritto su un muro all’angolo fra Piazza Vacchero e Via del campo, proprio accanto alla fontana che nasconde la Colonna Infame).

“Il Vecchio Ponte di Carignano”…

“Quando attraverserà l’ultimo Vecchio Ponte, ai suicidi dirà baciandoli alla fronte. Venite in Paradiso là dove vado anch’io. Perché non c’è l’inferno nel mondo del buon Dio”. (cit. da Preghiera in Gennaio di F. De André)…

… quando il Ponte che univa il colle di Sarzano con quello di Carignano sovrastava i millenari quartieri della Madre di Dio…

Lo Sciachetrà…

Superba ardeva di lumi e cantici, nel mar morenti lontano Genova, al vespro lunare dal suo arco marmoreo di palagi” (Giosuè Carducci). Ma più che la città al poeta colpì la bontà dello Sciacchetrà (Sciachetrà nella dizione più arcaica), da lui definito “essenza di tutte le ebbrezze dionisiache”

Un vino passito già decantato da Plinio e raccontato da Boccaccio e Petrarca. D’Annunzio lo descrisse profondamente sensuale e lo volle presente nei suoi lussuriosi banchetti. Una produzione scarsa quella dello Sciacchetrà che indusse Pascoli, in difficoltà nel reperirlo, a pretenderlo “in nome della letteratura italiana”.

La fatica e la passione di chi lo produce è antica quanto l’origine del suo nome: secondo alcuni “Sciacchetrà” deriverebbe dalla primitiva parola semitica “shekar” che significherebbe bevanda fermentata. Per altri, più probabilmente, da due termini della millenaria lingua ligure “sciac”, schiacciare l’uva e ”tra” , togliere le vinacce durante la fermentazione.

“Lo spettacolare ed incomparabile scenario dei vitigni che sembrano tuffarsi nel mare”.

Tuttavia tra le strette e irte fasce in cui le viti si arrampicano per guadagnarsi il panorama sul mare circola un’antichissima leggenda, antecedente addirittura l’epoca romana, al tempo in cui gli abitanti delle Cinque Terre erano in continua lotta fra loro.

Stanchi dei frequenti scontri che impedivano di godere dei benefici della pace e di dedicarsi quindi alla vigna e alla pesca interpellarono un saggio eremita. Questi chiese a ciascun rappresentante del singolo paese gli portasse un grappolo d’uva proveniente dalla propria terra.

Qualche tempo dopo il sapiente mandò a chiamare gli interessati ed offerse loro una coppa del vino ottenuto con la miscelazione delle uve fornite.

Lo stupore e la meraviglia per quel nettare paradisiaco, generato dall’unione delle risorse dei cinque borghi, fu tale da garantire pace e concordia perenne per quelle contrade.

La lezione del savio era servita, facile come bere un bicchiere di Sciacchetrà!

 

Le Mura degli Zingari…

Le Mura degli Zingari con relative calate furono costruite nella seconda metà del’ 800 grazie al munifico contributo del Marchese Raffaele De Ferrari, Duca di Galliera, che fece ammodernare il porto, riportandolo all’antico splendore. Per la faraonica impresa il Duca donò alle esangui casse del comune venti milioni di lire, una cifra impronunciabile per l’epoca.

Oltre alla costruzione dei Moli Galliera, Lucedio e Giano il Duca finanziò tutta una serie di interventi minori fra i quali, gli approdi di Santa Limbania, San Lazzaro (Ponte Colombo) e, appunto quello relativo alla risistemazione del tratto compreso fra la chiesa di San Benedetto del Molo e la Villa del Principe proprio davanti alla Stazione Marittima.

Questo un tempo era il sito della Porta e annessa chiesa di San Tommaso, il leggendario varco che permetteva all’ammiraglio Andrea Doria di accedere direttamente all’imbarco dove sempre erano schierate le sue dodici galee in assetto da guerra pronte a salpare.

“Tratto delle mura degli Zingari con la chiesa di San Tommaso sullo sfondo”.

Il tratto di mura si trova sotto il piano stradale di Via Adua, all’altezza di quelli che erano un tempo i giardini degradanti sul mare della Villa del Principe. Ne resta traccia nella spettacolare Loggia della quale restano solo nove degli originari dodici filari di colonne.

“La Loggia sotto Via Adua, di fronte alla Stazione Marittima”. Foto di Giovanna Sechi.
“Raffigurazione settecentesca di A. Giofi della Villa del Principe con in primo piano le dodici arcate della Loggia”. Collezione Carige.

La zona, nonostante periodiche bonifiche, versa nel più completo degrado, sporca e occupata dai senza tetto come residenza. Nel corso degli anni è stata utilizzata come rimessa e officina dei mezzi dell’Amt e deposito delle auto sequestrate dai vigili. Oggi il cinquecentesco loggiato ospita persino macchinari di una centrale termica.

D’altra parte il toponimo del sito deriva dal fatto che questo era il luogo deputato ad accogliere le carovane di gitani quando transitavano o sostavano in città.

“Genova è magnifica… il bacio dell’Italia”…

Attratti dal clima mite e dalla varietà dei panorami l’Italia fu per i russi quasi una seconda patria: dalle montagne più impervie alle sinuose colline della Toscana, dalle Alpi con i laghi alle riviere distese sul mare. Artisti, scrittori, diplomatici, politici, rivoluzionari infatti, avidi di sole e mare, frequentavano il Mar Ligure, il Tirreno, il golfo di Napoli.

A questo intimo bisogno non si sottrasse nemmeno Nikolaj Vasil’evič Gogol ucraino di nascita ma russo di cultura. Anch’egli travolto da questo romantico sentimento di cui soffriva ogni spirito libero ansioso di visitare e conoscere la cultura, l’arte e la bellezza italiche.

Nelle lettere spedite in patria dalla città eterna, sotto forma di racconto con protagonista sé stesso, così raccontò il suo incontro con l’Italia il cui primo impatto avvenne proprio a Genova:

“Genova è magnifica, moltissime case somigliano piuttosto a palazzi, adorne di quadri dei migliori pittori italiani, però le strade sono così strette che due persone affiancate non riescono a passarci. In compenso, sono lastricate di marmo e molto pulite.”

“Statua del poeta a Mosca”.

Il protagonista si sente avvolto da una sensazione molto spirituale, dovuta al profumo molto intenso, che proviene dalle porte aperte delle chiese, l’aroma d’’incenso che emana dalle stesse: “Ricordò che già da anni non era stato in chiesa… entrò silenzioso e s’inginocchiò vicino alle splendide colonne di marmo e pregò a lungo, incosciente lui stesso dell’oggetto delle sue preghiere; pregò di essere accolto dall’Italia, che gli venisse concesso il desiderio di pregare, che l’anima sua era allegra ora e questa sua preghiera davvero era migliore”.

E ancora…

“Gogol’ ritratto da Moller, 1840, Galleria Tret’jakov Mosca”.

Era difficile descrivere il sentimento che lo colse alla vista della prima città italiana, la magnifica Genova. Si innalzarono su di lui i suoi campanili policromi, le chiese rigate di marmo bianco e nero e tutto il suo anfiteatro turrito che all’improvviso lo circondò da ogni parte, nella sua raddoppiata bellezza, quando il piroscafo giunse al molo. Non aveva mai visto Genova prima di allora. Quel gioco di case, chiese e palazzi dai mille colori nell’aria tersa di un cielo che brillava di un incredibile azzurro, era unico. Sceso sulla riva, si ritrovò all’improvviso nelle buie viuzze lastricate, strette e meravigliose, con in alto un’esile striscia di cielo azzurro. Lo colpì questa vicinanza tra le case, alte, enormi, l’assenza del rumore delle carrozze, le piccole piazzette triangolari e tra di loro, simili a stretti corridoi, le linee sinuose delle vie, riempite dalle botteghe degli argentieri e orafi genovesi. I pittoreschi veli di pizzo delle donne, appena mossi dal tiepido scirocco; le loro camminate decise, il fragoroso vocio nelle vie; le porte aperte delle chiese, l’odore di incenso che ne usciva, tutto ciò fece soffiare su di lui una brezza di cose lontane e passate. […] In poche parole, egli ripartì da Genova con il ricordo di una bellissima sosta: era lì che aveva ricevuto il primo bacio dell’Italia.

In Copertina: Campanili genovesi, le Vigne, Santa Maria in Passione, San Lorenzo.

Foto di Leti Gagge.

… Quando in Via dei Mille…

Quando a Sturla la cinquecentesca parrocchia della SS. Annunziata osservava distratta il traffico dei tombarelli che sfidavano le rotaie dei tram… due eleganti figure femminili passeggiavano incuranti che le polveri della strada potessero sporcare le loro candide vesti… Quando via dei Mille era poco più che una creuza, spazzata dai venti di mare, che tagliava il verde a ridosso del litorale.

Genova Sturla 1904