San Giacomo delle Fucine

In Salita Santa Caterina all’altezza del civ. n. 21r. imbrigliata fra i cavi elettrici è affissa una curiosa lapide che sovrasta un cinquecentesco portale.

Sono queste le ultime tracce dell’oratorio di San Giacomo delle Fucine fondato nel XVI sec. da alcuni membri appartenenti all’Oratorio dei SS. Giacomo e Leonardo di Pre’.

Sulla lastra è incisa una croce con scolpiti ai lati due incappucciati dei quali uno flagellante.

Il testo dlle’epigrafe dedicata a San Giacomo Maggiore recita:

Recressvs Pnt s Viae Pvb Pvit / Ex Perm. App Cois. Andre / Qveste et Nvper Conclaves / Evndi et Redevndi Cofrib / Domvs Disciplinantivm S. / Jacobi de Fvssinis AD.B.P. / Patrvm Cois A. P. V. 1574 / Die 18 Novembris.

Tale tavella venne qui posta dalla confraternita di San Giacomo delle Fucine a ricordo della demolizione del proprio oratorio nel 1866 a seguito dell’apertura di Via Roma.

La casaccia di San Giacomo delle Fucine, fra le più facoltose e potenti perché finanziata dalla ricca corporazione dei Tintori, gareggiava con le altre (in particolare Sant’Antonio della Marina) per opulenza di addobbi e paramenti sacri, delle casse processionali e dei crocifissi durante le processioni.

Cassa processionale di San Giacomo Maggiore. Foto di Roberto Crisci.
Il Cristo Moro delle Fucine. Foto di Roberto Crisci.

Appartenevano loro ad esempio la strepitosa tardo settecentesca cassa processionale con San Giacomo Maggiore che abbatte i Mori di Pasquale Navone e il celeberrimo Cristo Moro delle Fucine del Bissoni del 1639 ritenuto il primo esempio di grande crocifisso processionale ligure.

Scolpito in  legno di giuggiolo tinto al naturale con fregi in tartaruga e fogliame d’oro. 

Il gonnellino insieme agli altri orpelli d’argento e i diamanti con cui era decorata la scritta “INRI” sono stati depredati dalle truppe napoleoniche.

Ironia della sorte ciò che è rimasto dell’antico oratorio è stato trasferito in parte in San Giacomo della Marina e in parte proprio presso i rivali di Sant’Antonio della Marina.

Proprio a questi ultimi appartengono i capolavori sopra citati anche se il Cristo Moro è visibile presso la chiesa di San Donato alla quale è stato recentemente prestato.

La mia S. Maria di Castello

Se mi dovessero mettere davanti all’ingiusta – e per me dolorosa -scelta di individuare solo ed una sola chiesa da mostrare ad un ipotetico visitatore non avrei dubbi e senza esitazione alcuna proporrei Santa Maria di Castello.

Nessuna chiesa genovese infatti può vantare, cattedrale di San Lorenzo a parte, un patrimonio storico, artistico, architettonico e culturale di tale importanza e prestigio. Cito in ordine sparso: antichi reliquiari, raffinati codici miniati, storici paramenti liturgici, il Cristo Moro, il portale maggiore del Riccomanni, la tomba di Jacopo da Varagine, il mausoleo di Demetrio Canevari di Tommaso Orsolino, la lastra tombale dei Grimaldi Oliva, innumerevoli annunciazioni fra le quali quella celeberrima di Giusto da Ravensburg, la pala di Ognissanti di Ludovico Brea, il trittico del Mazone, l’Immacolata di Anton Maria Maragliano, l’altare di Anton Domenico Parodi, le Sure del Corano incise in una piastrella sulla volta, quadri – qua e là – del Boccaccino, Pier Francesco Sacchi, Aurelio Lomi, Luciano Borzone, Bernardo Castello, Andrea Ansaldo, G. Battista Paggi, Andrea Semino, Giovanni Battista Carlone, Domenico Piola, Gregorio de Ferrari, il Grechetto, sculture di Pasquale Navone, Taddeo Carlone, Giovanni Gagini, tre chiostri, il giardino, il museo, le bandiere turche di Lepanto e mi scuso per tutto ciò che ho dimenticato o tralasciato.

Tutte queste meraviglie racchiuse in un prezioso scrigno di ineguagliabile bellezza.

Consiglio a tutti di investire una mattinata accompagnati dagli appassionati e competenti volontari che la tengono in vita, alla scoperta, in una dimensione senza tempo, degli splendori della ex cattedrale.

La Grande Bellezza…

Foto di Stefano Eloggi.

In via di S. Croce

“Se questi muri sapessero parlare, anche le strade potrebbero arrossire” cantavano De Andre’ e Baccini in “Genova Blues”.

In via di Santa Croce, l’omonima chiesa faceva parte di quella rete litoranea di ostelli ed hospitali destinati all’assistenza dei pellegrini diretti o di ritorno dalla Terra Santa.

In questo edificio oggi scomparso, luogo di culto della comunità lucchese, era custodito un simulacro del crocifisso, da non confondersi con il Cristo Moro, del celebre “Volto Santo” tanto venerato in patria dai toscani.

Il crocifisso del Cristo Moro così caro ai genovesi, oggi ricoverato in S. Maria di Castello, invece un tempo si trovava in una cappelletta sottostante il vicino monastero di San Silvestro.

Foto di Daniela Castagnino.

La Grande Bellezza…

Santa Croce… la chiesa scomparsa…

E’ uno degli scorci più suggestivi di Genova, un luogo sospeso nel tempo dove luci ed ombre ingannano lo spazio giocando a nascondino. Si tratta di Via e Piazza di Santa Croce incastrate fra Sarzano e la collina di Santa Maria di Castello, il fulcro più antico del centro storico.

Qui, vegliati da una settecentesca edicola del Battista, si ha la possibilità di effettuare una passeggiata a ritroso nel tempo di quasi 900 anni nella scomparsa chiesa di Santa Croce.

“La settecentesca edicola di San Giovanni”. Foto di Leti Gagge.

L’edicola presenta un tempietto in marmi policromi con semi colonne ioniche e raffigura San Giovanni Battista nel deserto accompagnato da San Giovannino con in braccio l’agnello. La mensola poggia su un cherubino alato mentre la statua del santo presenta il braccio destro mozzato.

Quest’area costituiva un tempo l’antico complesso di Santa Croce, vicino all’attigua omonima porta, una delle tante strutture del litorale cittadino, atte al ricovero dei pellegrini da e verso la Terrasanta.

“La Piazza di Santa Croce”. Foto di Leti Gagge.

“Interni del locale La Passeggiata”. Foto di leti Gagge.

All’interno del locale, nomen omen, “La Passeggiata” al civ. n. 21r ne sono testimonianza i resti ancora visibili di brani della pavimentazione originale, di porzioni del muro perimetrale con un grande arco tamponato facente parte delle Mura del Barbarossa (1155) e una nicchia dove sono conservati dei reperti rinvenuti durante la ristrutturazione avvenuta qualche anno fa.

“Porzione del muro perimetrale del tempo del Barbarossa”. Foto di Leti Gagge.

In questo edificio, luogo di culto della comunità lucchese, era custodito un simulacro del crocifisso, da non confondersi con il Cristo Moro, del celebre “Volto Santo” tanto venerato in patria dai toscani. Il crocifisso del Cristo Moro così caro ai genovesi, oggi ricoverato in S. Maria di Castello, invece un tempo si trovava in una cappelletta sottostante il vicino monastero di San Silvestro.

Il complesso di Santa Croce, con annesso ospitale venne gravemente danneggiato durante il bombardamento del re Sole del 1684 e successivamente ricostruito in forme barocche nei primi anni del ‘700. Nel 1805, a seguito degli editti napoleonici, venne definitivamente soppresso ed inglobato nei palazzi di abitazione. La vicina San Salvatore ne incorporò nel 1809 il titolo, i beni e gli arredi.

“Le quattro colonne ottocentesche”. Foto di Leti Gagge.

“Brani della pavimentazione originale”. Foto di Leti Gagge.

“La nicchia contenente i reperti”. Foto di Leti Gagge.

Le quattro scenografiche colonne di pietra e laterizi fanno invece parte della ristrutturazione ottocentesca quando la chiesa venne trasformata in abitazioni private.

“La Salita della Seta”. Foto di Leti Gagge.

Prima d’incrociare con lo sguardo Salita della Seta con la sua pendenza tutt’altro che morbida, al civ. n. 33 s’incontra lo spettacolare portale in ardesia ristrutturato e ricostruito su modello rinascimentale. Sul fastigio un’aquila a due teste che tiene con le zampe il globo e una fiaccola, lo stemma nobiliare degli Spinola. Sul trave l’epigrafe “Flangar non flectar” (mi spezzerò ma non mi piegherò), il motto così adatto alle secolari vicissitudini della Repubblica.

“Il portale al civ. 33”. Foto di Leti Gagge.

“Antica stampa del complesso di santa Croce”.

La chiesa di Santa Croce non c’è più ma la si può lo stesso immaginare lì, seguendo il percorso dello stretto caruggio che costeggia le mura di contenimento del Castello. Rivolta verso il mare e inglobata dalle case costruite sopra le Grazie sita, proprio come allora, in una posizione invidiabile.