La Divina Pietà

Dopo il palazzo Ducale, la dimora della potenza passata di Genova, bisogna visitare lAlbergo dei poveri molto più ricco del palazzo Ducale stesso. Tre grandi architetti lo hanno costruito con un lusso incredibile. Vi si può ammirare, adagiato tra le braccia della Madonna, un magnifico Cristo di Michelangelo, marmo stupendo“.

Con queste parole Jules Janin, scrittore romantico francese nel suo “Voyage en Italie” del 1838, descriveva la preziosa scultura custodita presso l’altare maggiore della cappella dell’Albergo dei Poveri.

Per molti secoli infatti esperti e illustri visitatori hanno ritenuto tale mirabile capolavoro frutto della divina arte del rinascimentale genio aretino.

Stendhal – ad esempio – nel suo “Journal d’un voyage en Italie et en Suisse, pendant l’année 1828″ annotava:

«Vedere l’ospedale o Albergo dei poveri: bassorilievo attribuito a Michelangelo»

Anche Giuseppe Banchero, ottocentesco esperto genovese, fra le opere degne di menzione cita naturalmente la «Divina Pietà», secondo lui «condotta dallo scalpello di Michel più che mortal angiol Divino»

A mettere in dubbio la paternità dell’opera fu il coevo e conterraneo storico Federico Alizeri che scrisse:

«dicono che in fatto di belle arti gran giudice è l’occhio e questo li avvisa come nella scultura manchi sovratutto quel risoluto, deciso, magistrale ch’è la somma dote di quel divino, senza dir delle pieghe mal composte e dure sul capo di N.D., e le minute ed ignobili forme del viso. Cercano per tanto ne’ seguaci di Michelangelo un nome probabile e non a torto s’arrestano al Montorsoli e al Francavilla, ambo vissuti a Genova e ambo devoti a quello stile».

Il celebre ottocentesco storico genovese aveva visto giusto infatti il prodigioso ovale marmoreo è oggi attribuito con ragionevole certezza all’allievo fiorentino di Michelangelo, Giovanni Angelo Montorsoli.

La Grande Bellezza…

In copertina: La Divina Pietà dell’Albergo dei Poveri. Foto tratta dal sito albergodeipoveri.com

Smarrirsi nei caruggi con Charles

“È un posto che “cresce dentro di voi” giorno per giorno. Sembra sempre che vi sia qualcosa da scoprirvi. Potete smarrire il vostro cammino (che cosa gradevole è, quando siete senza meta!) venti volte al giorno, se vi aggrada; e ritrovarlo tra le più sorprendenti ed inaspettate difficoltà. Abbonda dei più strani contrasti: cose pittoresche, brutte, meschine, magnifiche, deliziose e disgustose vi si parano davanti allo sguardo ad ogni angolo”.

Cit. Charles Dickens (1812 – 1870) giornalista e scrittore britannico.

In copertina: Panorama genovese. Foto di Leti Gagge.

Il Centro Storico

“Trent’anni fa era considerato un pittoresco ghetto con molti monumenti che ne costituivano la sola parte valida da salvare ed evidenziare demolendo il resto. Oggi proprio l’assieme è considerato monumento, da conservare nella sua quasi integrità, perché solo mediante l’assieme vengono trasmessi al contemporaneo i significati storici, artistici, ambientali, mentre alla mutilazione dell’assieme corrisponderebbe la perdita di molti dei significati. E questo si capisce proprio per la correlazione tra forma e contenuto, tra significante e significato”.

Cit Cesare Fera (1922-1995) architetto e ingegnere.

In copertina: tetti del centro storico. Foto di Stefano Eloggi.

“Genova è davvero la più bella città di mare d’Italia…”

“Scoprire Genova come ti venne raccontata sui libri (e come i suoi abitanti amano narrarla) procura una sensazione incantevole. In primo luogo perché ti restituisce quel minimo di fiducia necessaria nella parola scritta e nel racconto orale, senza di cui vagheresti senza bussola nelle tue elucubrazioni sull’universo mondo. In secondo luogo perché Genova è bellissima davvero. La guardi e brilla nei suoi palazzi meravigliosi, a qualunque altezza sul livello del mare. Di più: è letteralmente sfolgorante nelle successioni di bianco impero, di ocra, di verde muschio, di rosso bruno. Dal Porto Antico al Matitone nelle ore della tarda mattinata che dovrebbero essere infuocate e non lo sono. Le strade non starnazzano, perché il traffico d’agosto rende tutti più civili e spensierati. Intorno e sopra di te c’è solo un’architettura mozzafiato di forme e di colori che ti puoi fermare a contemplare estasiato, senza temere che ogni minuto di sosta ti renda più appiccicosa la camicia. Insomma quando non piove e non c’è la macaia (non ho mai capito come si scriva) Genova è davvero la più bella città di mare d’Italia”.

Cit. Fernando dalla Chiesa. Scrittore.

In copertina i tetti di Genova visti dalla Spianata di Castelletto. Foto di Leti Gagge.

“Genova per noi…”

“… Ma quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così che abbiamo noi mentre guardiamo Genova ed ogni volta l’annusiamo, circospetti ci muoviamo, un po’ randagi ci sentiamo noi“.

Cit. da Genova per noi (1975). di Paolo Conte.

La Grande Bellezza…

Da Palazzo Rosso. Foto di Stefano Eloggi.

Nei Caruggi

Carruggi. Qui, moltitudini di bambini giocano attorno a povere p… nude, o seminude che si offrono sulla soglia dei loro bassi aperti. È una prostituzione simile al piccolo commercio delle strade. Esse si vendono semplicemente, come poco lontano si vendono castagne, fichi, enormi torte dorate, farinate di ceci. Si va nella vita complicata di questi profondi sentieri come si entrerebbe nel mare, nel fondo nero di un oceano stranamente popolato.
Sensazione da novella araba. – Odori concentrati, odori ghiacciati, droghe, formaggi, caffè abbrustoliti, cacao deliziosi finemente tostati da cui s’esala amarume… – Passanti rapidi su questi marmi raschiati dallo scalpello. – Verso le alture, le stradette si arrampicano, ornandosi di passiere di mattoni e ciottoli. – Cipressi, minuscoli duomi, frati.
Cucine fragranti. – Queste torte gigantesche, farine di ceci, mescolanze, sardine all’olio, uova sode imprigionate nella pasta, torte di spinaci, fritture. – Questa cucina è antichissima.
Genova è una cava d’ardesia.

Torte e farinate. Foto di Orlando Vanni.

Cit. Paul Valery (1871 – 1945) scrittore francese.

“La grande Genova…”

“Il viaggio per mare è stato un avvenimento. Come andava gradatamente sparendo lontano, la grande Genova notturna, disseminata di luci, assorbita dal chiaro di luna, così come un sogno trapassa in un altro! […] Come un sogno Genova si sprofonda nel mare. Sono morto per questo mondo, dileguato con l’ultima luce? Oh, fosse così! Sarebbe possibile?”.

Cit. Paul Klee pittore svizzero (1879 – 1940).

La Grande Bellezza…

Foto di Vilma Bettucchi

Legame genovese

“Non dimenticherò mai, finché vivrò, le mie prime impressioni mentre avanzavo per le vie di Genova, dopo aver contemplato la splendida Vista della città, per un’ora intera, con un telescopio, dal ponte del vapore. Pensavo che fra tutte le più ammuffite, desolate, sonnolente, luride, abbandonate, immobili città del mondo intero, dimenticate da Dio, nessuna la potesse eguagliare. Mi pareva di essere giunto dove tutto finisce, dove non vi è più progresso, movimento, sviluppo, o possibilità di migliorare oltre. Tutto sembrava essersi fermato da secoli, per non riscuotersi mai più, restando immobile sotto il sole in attesa del giorno del Giudizio.
Adesso, invece, mi attira molto andarvi a camminare o girovagare, quando mi ci reco, in una specie di stato sognante, che è anche estremamente distensivo. Mi sembra di pensare, ma non so a che cosa, non ne ho la minima coscienza. Posso sedermi in una chiesa, o fermarmi alla fine di uno stretto Vico, zigzagando come una lurida biscia verso la parte alta, senza sentire il minimo desiderio per alcun altro tipo di divertimento. Non diversamente mi stendo sugli scogli la sera, fissando l’acqua azzurra senza ritegno, o giro per gli stretti vicoli e guardo le lucertole inseguirsi per i muri (così leggere e rapide che mi sembrano sempre ombre di qualcos’altro che passi sulle pietre) e sparire nei loro buchi così all’improvviso da lasciare pezzetti di coda di fuori, senza che se ne rendano conto…

… Non immaginavo, quel giorno, che sarei mai arrivato ad avere un legame persino con le pietre della strada di Genova e che avrei ripensato alla città con affetto, perché connessa con tante ore di felicità e di quiete!”.

Cit. Charles Dickens (1812 – 1870) scrittore britannico.

Foto di Leti Gagge.