Via e Piazza di Soziglia

Via di Soziglia ha il compito di raccordare l'omonima piazza con la vicina area dei Macelli che, vista l'abbondante necessità di acqua, vennero per questa ragione qui collocati nel 1152.

A quel tempo infatti Via Luccoli e via dei Macelli erano due rivi che scendevano dalla zona delle Fontane Marose.

Da qui l'origine del nome Soziglia ovvero Suzeia o Suxilia che tradotto dal latino medievale significa “isola dei maiali”.

Per dare sfogo alle attività dei Macelli a fine “500, in seguito ad una ristrutturazione urbanistica, nacque poi la piazza.

Al centro della stessa vi era un imponente , impreziosito da una sirena, realizzato da .

Piazza di Soziglia. Foto di Giovanni Cogorno

Dopo lunghe vicissitudini la sirena, ritenuta ingombrante, venne sostituita nel 1726 dalle statue della Fuga da Troia, opera di e la fontana trasferita nel 1870 nella sua sede attuale in Piazza Bandiera.

Nella piazza di Soziglia innumerevoli sono i punti di interesse: dalla confetteria Romanengo al civ.74r., la più antica del mondo fondata nel 1780, frequentata da Einstein, alla pasticceria Klainguti al civ. 98r. amata da Verdi; dall'edicola votiva al civ. n. 10 della Mater Salutis, a quella, sul palazzo della Dogana, di San Giovanni Battista.

In Copertina: Via e Piazza di Soziglia. Foto di Leti Gagge.

“Le Oche di Albert”…

Dietro la chiesa delle Vigne, nel cuore della città vecchia, si trova uno dei tanti angoli nascosti e poco noti ai genovesi stessi. Si tratta di Piazzetta delle Oche, uno spiazzo triangolare privato appartenuto nei secoli passati alla nobile famiglia dei Vivaldi, la stessa che ha dato i natali agli intraprendenti navigatori ispiratori del “folle volo” dantesco.

“La caratteristica forma triangolare della Piazzetta”.

Veniva utilizzata come aia, popolata da muli e altri animali da cortile che vi razzolavano in libertà. Ma, a farla da padrone, come in Campidoglio, era un gruppo di starnazzanti oche. Di qui il toponimo testimoniato da un murale che le raffigura.

In questo luogo nel lontano 1895 dimorò per qualche mese un ragazzotto di nome . A sedici anni, il futuro Premio Nobel della Fisica giunse a , dopo aver attraversato a piedi la Val Trebbia.

Era partito da Pavia dove, in seguito ad un'accesa discussione, aveva abbandonato la casa dei genitori.

“Il Portone del Palazzo che ha ospitato il fisico tedesco”.

Einstein era stato infatti, lui futuro genio della scienza, appena bocciato all'esame di ammissione al prestigioso Politecnico di Zurigo. Così, deluso, aveva deciso, preso il suo inseparabile violino, di recarsi nella città di Paganini, ospite di Jacob Koch, lo zio materno mercante di grano all'ingrosso che nella piazzetta aveva ufficio e dimora.

Rimangono traccia nei suoi appunti genovesi dell'ammirazione per la Cattedrale di San Lorenzo, dello splendore di Strada Nuova e soprattutto delle golose prelibatezze della Pasticceria Romanengo di Campetto.

Ed io me lo immagino il giovane Albert ingurgitare manciate di frutta candita ed ogni genere di leccornie da Romanengo, mentre Verdi, il genio della musica, è seduto lì vicino da Klainguti, a pochi passi, intento a gustare i suoi prediletti “Falstaff”.

A Genova ebbe modo di conoscere Ernestina Marangoni con la quale instaurò, mantenendo un fitto rapporto epistolare, un duraturo e sincero rapporto di amicizia.

In una di queste lettere, molti anni dopo, il grande scienziato ormai all'apice del successo scriveva in un incerto italiano: “I mesi felici del mio soggiorno in Italia sono le più belle ricordanze”.

“La lapide affissa in ricordo del soggiorno genovese di Einstein”.

A ricordo dell'illustre ospite, a cura dei condomini del palazzo, è stata di recente affissa una lapide che ne testimonia il gradito soggiorno.

“Non ho alcun talento particolare. Sono solo appassionato e curioso” disse il fisico e se “La logica vi porterà da A a B. – aggiunse – “L'immaginazione vi porterà dappertutto”…

Soprattutto a Genova…

“A me le torte di Zena”…

Certo le scuole napoletane e siciliana di chiara impronta araba, per non parlare di quella asburgica mitteleuropea (austriaca e svizzera), sono tra le più celebrate ed apprezzate. Ma Genova non rimane indietro anche la Superba infatti può vantare una tradizione pasticcera di tutto rispetto segnalandosi per alcune rinomate ed esclusive preparazioni.

“Pan di Spagna”.

Ad esempio, all'incirca a metà del ‘700, il giovane pasticcere Giovanni Battista Cabona, al seguito dell'ambasciatore genovese a Madrid il marchese Domenico Pallavicino, inventò per un ricevimento di rappresentanza una particolare e assai leggera tipo di base per torte. L'innovativa viene lavorata a caldo senza lievitazione. Realizzata per la prima volta quindi in Spagna ne prese il nome.

Nel 1800 Chiboust, il celebre pasticcere parigino di Rue Saint Honorè, per omaggiare l'eroica del connazionale impegnato nella strenua difesa di Genova assediata dagli austriaci, ne elaborò una variante, ottenuta a freddo battezzata la “Genoise”.

“Bottega di aperta nel 1851 in Piazza Portello”.

Su questa base a metà del secolo successivo, con l'aggiunta di creme e farciture liquorose, nel laboratorio della Pasticceria Preti sarebbe nata la Sacripantina, brevettata poi nel 1875.

“La ”.

Se il Pan di Spagna divenne la base imprescindibile di numerose torte, grande successo ebbe la Sacripantina sulle cui scia, poco dopo, nacque su creazione di Klainguti, la torta Zena. Pensata dai fratelli svizzeri per omaggiare la città che li aveva ospitati, adottati e resi famosi. Insieme ai Falstaff, le brioches preferite di Verdi e alla torta Engandina (così chiamata in onore della loro valle di provenienza), preparata con farina di mandorle e crema di latte, divenne la specialità più ricercata della casa.

Dal 1965 la ricetta viene portata avanti con passione dai successori:

Di forma quadrata anch'essa parte da una base di Pan di Spagna con zabaione (leggermente alcolico) e pasta di mandorle.

“La Pasticceria Klainguti”.

Che dire poi dell'arte confettiera in cui i eccellevano già dal 1780: frutta candita, confetteria varia, gocce di rosolio, confetture, marmellate sciroppi alle viole e di rose. Queste sono solo alcune delle preparazioni più apprezzate con le quali si deliziavano le principali corti europee.

“La Pasticceria Romanengo”. Foto di Leti Gagge.

Tornando alle torte come non citare quella, a base di pasta di mandorle, tanto cara a Giuseppe Mazzini. E' l'apostolo della libertà stesso a raccontarcelo trascrivendone ricetta al tempo in cui, negli anni '30 dell'ottocento, era in esilio in Svizzera in una lettera indirizzata alla madre :

“La Torta di Mazzini”.

“Prima di dimenticarmi, voglio mantenere la mia promessa. Eccovi la ricetta che vorrei faceste e provaste, perché a me piace assai, traduco alla meglio, perché di cose di cucina non m'intendo, ciò che mi dice una delle ragazze in cattivo francese: Pelate e pestate fine fine tre once di mandorle, tre once di zucchero fregato prima ad un limone, pestato finissimo. Prendete il succo di un limone, poi due gialli d'uovo, mescolate tutto questo e muovete, sbattete il tutto per alcuni minuti, poi sbattete i due bianchi di uovo quanto potete: “en neige”, dice essa, come la neve, cacciate anche questi nel gran miscuglio, tornate a muovere. Ungete una “tourtiere”, cioè un testo da torte, con butirro fresco, coprite il fondo della tourtiere con pasta sfogliata, ponete il miscuglio nel testo, su questo strato di pasta sfogliata, spargete sopra dello zucchero fino e fate cuocere il tutto al forno”.

“L'antica incastonata nella duecentesca loggia”.

“L'antica Pasticceria Cavo”.

A riproporre la gustosa e risorgimentale ricetta è dal 1906 la Liquoreria Marescotti, incastonata nella duecentesca Loggia dei Gattilusio in Via del Fossatello. Fondata in Genova nel 1780, con il nome di “Cioccolateria Cassottana” e rilevata dalla famiglia Cavo nel 2008, inventrice a fine ‘800 degli Amaretti di Voltaggio.

In cucina funziona come nelle più belle opere d'arte: non si sa niente di un piatto fintanto che si ignora l'intenzione che l'ha fatto nascere
(Daniel Pennac).

Il quartiere dei maiali…

Prima ancora dell'erezione delle mura del Barbarossa (1155) la zona di Soziglia era stata adibita alla macellazione delle carni. L'origine del nome significherebbe infatti “sus” maiale e “”ilium” isola, divenuto poi “eia” quartiere, Suzeia o Suxilia. L'isola prima e il quartiere dei maiali poi. Tale sito venne scelto perché, sia la lavorazione delle carni che l'operato dei fabbri del vicino “Campus fabrorum” in Campetto, necessitavano di parecchia acqua fornita dal sottostante Rio Bachernia.

“Il Barchile di Enea in Piazza Bandiera”.

Al centro della piazza di Soziglia si trovava un barchile del 1578 abbellito con una sinuosa sirena, realizzato da Taddeo Carlone. Troppo ingombrante, a detta degli abitanti del luogo, venne trasferito in e la sirena ricoverata in un magazzino in attesa di essere ristrutturata poiché, causa le sassate dei  monelli del quartiere, si presentava mutila in più parti. La fontana, priva del suo ornamento, nel 1844 venne destinata in Piazza Fossatello. Intanto, nel 1726 lo scultore carrarese Francesco Baratta aveva ricevuto l'incarico di realizzare per la piazza, rimasta sguarnita, una statua con soggetto “la Fuga di Enea da Troia con il padre Anchise e il figlio Ascanio”. Il monumento nel 1870, in occasione dell' inaugurazione del nuovo mercato della frutta vicino alla Nunziata, venne definitivamente trasferito in Piazza Bandiera, dove resiste tuttora assediato dalle automobili.

Nella piazza s'incontrano locali storici la cui fama si diffuse in tutte le principali corti europee:

“L'elegante vetrina di Romanengo”. Foto di Leti Gagge.

“Dettaglio della cornucopia”. Foto di Leti Gagge.

 Al civ. n.74r la Confetteria di Pietro Romanengo. Non v'era ricevimento infatti in cui non si degustassero, fra le tante celebri preparazioni, le gocce di rosolio e lo sciroppo di viole. Sul portale campeggia una guantiera colma di frutta candita con ai lati due putti. Al centro, fra le due vetrine, una cornucopia con fiori e frutta  sormontata da un elmo di Mercurio. L'azienda venne fondata nel 1780 in e si trasferì qui, nella nuova bottega di Soziglia, nel 1814. Preziosi e particolari gli arredi originali di quel periodo, specchiere e legni intarsiati, pavimenti in marmi policromi, lampadari e soffitti affrescati.

Al civ. n. 98r la Pasticceria Klainguti fondata nel 1828 da quattro fratelli svizzeri che erano giunti a Genova provenienti dalle valli intorno a St. Moritz, con l'intenzione d'imbarcarsi in cerca di fortuna oltreoceano. Ma l'America la trovarono a Genova dove esercitarono con profitto e passione la loro arte. La caffetteria è arredata fra il barocco e il liberty e, a testimonianza della propria storia, conserva orgogliosa un biglietto autografo di che decanta le virtù dei pasticcini “Falstaff” così battezzati dai proprietari in onore del famoso compositore.

“La Vetrina di Klainguti”.

“La dedica autografa di Giuseppe in cui il celebre compositore elogia i pasticcini, intitolati in suo onore Falstaff, di cui era ghiotto”.

“Madonna Incoronata o Mater Salutis, edicola a medaglione con Vergine in rilievo”.

Al civ. n. 10 ci s'imbatte nell'edicola della “Mater Salutis” un medaglione del 1854  posto a ricordo dell'epidemia di colera che colpì in quell'anno la città ma che risparmiò miracolosamente gli abitanti del palazzo su cui è affissa. Scolpita dal Cevasco si tratta dell'ultima edicola sicuramente datata innalzata nel centro storico.

 “Il Signore e gli Abitatori di Questa Casa / Cui Parve Grazia dell'Augusta Vergine Salutifera / Il Non Aver Compianto Persona  / Tocca Tra Queste Pareti dall'Indica Lue / Con Dispendio Comune il 31 Dic. 1854 / Qui Ne Allogarono La Cara Effige / Condotta da Gio. Batta Cevasco Valente Scultore / Perché Duri Memoria di Tanto Beneficio”.

con l'Edicola di san Giovanni”. Foto di Leti Gagge.

“L'edicola di San Giovanni sul Palazzo della Dogana”.

Al civ. n. 116r sul palazzo che un tempo fungeva da dogana la grande edicola barocca di “San Giovanni Battista”. Sul timpano spezzato il Padre Eterno benedice i passanti con la mano destra  mentre con la sinistra regge un mappamondo. San Giovanni è invece raffigurato nell'atto di preghiera con ai piedi l'agnello di Dio. Quando nel palazzo si sviluppò un indomabile incendio vennero portate qui dalla cattedrale le ceneri del santo e le fiamme d'incanto si spensero. Ritenuta pertanto miracolosa questa  grande edicola  a tempietto è divenuta nei secoli oggetto di grande devozione. Alla sua base l'epigrafe: “Nostra Tutela Salve”.

“La Madonna della Misericordia”.

 All'angolo con Vico del Fieno la  secentesca Madonna della Misericordia, un' altra edicola a tabernacolo classico, curvo spezzato con trigramma di Cristo, la cui mensola è sorretta da tre angeli. 

“Rivendita di stoccafisso”. Foto di Leti Gagge.

Proseguendo verso la Via e la Piazza dei Macelli di Soziglia, il “Fossatus Susiliae” sopra il rio sottostante si succedono botteghe alimentari di ogni genere in particolare rivendite di stoccafisso e baccalà, besagnini, drogherie, pescherie e, ovviamene, macellerie. Già prima del X sec. infatti, qui era il cuore di uno dei tre mercati di carne cittadini. Gli altri due si trovavano nel quartiere del Molo e in porto.

“Dettaglio con i personaggi del bancone della macelleria”

“I banconi della macelleria”.

A proposito di macellerie, all'angolo con Vico dei Corrieri, si incontra la rivendita di carni più patriottica d' con un sontuoso bancone marmoreo intagliato con le figure dei personaggi protagonisti del Risorgimento. Da Garibaldi a Bixio, da Mazzini a D'Azeglio, (alcuni dicono Mameli, altri Cavour e La Marmora). In un angolo si notano la figura intera di Mercurio Dio del commercio e  il volto di una giovane donna incoronata a rappresentare l'Italia.

All'incrocio con Vico Lavagna colpisce una particolare rappresentazione della Madonna Assunta. In questo settecentesco dipinto  su ardesia la Vergine è raffigurata in volo sorretta da un gruppo di angeli. Poco più avanti, al primo piano, si possono notare le “mampae” le finestre con pannelli mobili riflettenti, espediente tipicamente genovese utilizzato per ottimizzare l'illuminazione degli interni.

“L'Edicola della Madonna della Città della Corporazione dei Beccai”. Foto di Leti Gagge.

Dal civ. n. 15r  fino al 25r sono ancora visibili sei archi tamponati, sede originaria dei mattatoi. All'incrocio fra via e piazzetta l'edicola della Corporazione dei Beccai recentemente restaurata. Un grande tabernacolo in stucco custodisce la settecentesca marmorea “Madonna di Città” che seduta, porta il Bambinello in braccio con due curiose teste di cherubini che spuntano dai drappeggi. Alla base un cherubino alato sorregge la mensola , ai lati due grandi angeli in soffici vesti, reggono il timpano curvo con la raggiera e lo spirito Santo. Ai piedi l'epigrafe: “Laniorum Ars Huius / Modi Deipare Simula / Crum Posvit Anno / Dni MDCCXXIV (1724)”.

“I colori di un besagnino sotto l'occhio vigile dell'edicola”.

“I palazzi sgomitano il loro spazio al sole”.

“La palazzata della piazza dei Macelli di Soziglia”.

In questa piazza dove le palazzate colorate si arrampicano le une sulle altre alla ricerca di un posto al sole,  non servono spiegazioni, bisogna solo ascoltare i suoni mediterranei delle parlate ed ammirare i  vivaci colori che i besagnini dipingono sui loro banchi, mischiati a quelli argentei pennellati dai pescivendoli. Infine occorre abbandonarsi, “In quell'aria carica di , gonfia di odori “ cantava Faber, agli invitanti aromi provenienti delle botteghe e respirare… Genova.

Genova febbraio 2017.