Salita all’Arcivescovato

Nei pressi di Piazza Matteotti vicino a via Tommaso Reggio si interseca Salita all’Arcivescovato.

Sono questi luoghi, come testimoniato dalle numerose lapidi affisse sulla parete del palazzo Ducale, ricchi di storia.

In Via Tommaso Reggio incontriamo infatti la torre del Popolo o Grimaldina, la Loggia degli Abati, il Museo Diocesano e il Palazzetto, ex Archivio di Stato, Criminale.

Proprio qui in corrispondenza della Salita all’Arcivescovato basta alzare lo sguardo per scoprire i due ponticelli coperti che collegano fra di loro il Palazzetto, l’Arcivescovato e il Palazzo Ducale.

Questi passaggi erano utilizzati in passato dal Doge e dal Vescovo sia per muoversi indisturbati e lontani da occhi indiscreti all’interno dei palazzi del potere, sia per assicurarsi, in caso di necessità, una rapida via di fuga.

Un racconto a me molto caro che si perde nella notte dei tempi narra di una singolare coppia di frequentatori dei caruggi: il Diavolo e il Vento.
Una sera il Diavolo, passando sotto l’Arcivescovato, disse all’amico che sarebbe salito a parlare con il Vescovo e di attenderlo lì sotto.
Nel palazzo della Curia il Diavolo, evidentemente, si trovò proprio a suo agio visto che più non scese.
Ecco perché in Salita all’Arcivescovato soffia sempre forte il Vento; perché questi è ancora lì sotto ad aspettare il Diavolo.

In Copertina: Salita dell’Arcivescovato. Foto di Alessandra Illiberi Anna Stella.

“Il Sant’Uffizio…”

Il tribunale del Sant’Uffizio venne istituito a Genova nel 1256, anno in cui “obtorto collo”, per via dei rapporti diplomatici con il Vaticano, i genovesi accolsero la richiesta di Papa Alessandro IV.

Le leggi della Repubblica, in realtà, bastavano ed avanzavano per adempiere alle attività di controllo sugli eretici per cui il suddetto istituto non ebbe mai particolare rilevanza agli occhi dei Serenissimi Collegi.

A testimonianza di ciò nel 1669 l’inquisitore di stanza in città, il domenicano Fra Michele Pio dei Pazzi, (gli inquisitori erano quasi sempre membri dell’Ordine domenicano) fece affiggere in diversi luoghi cittadini l’elenco dei libri all’Indice stilato dalla Curia Romana. Ai reggenti della città, non essendone stati informati, la cosa non piacque affatto. Pertanto fecero rimuovere e distruggere gli avvisi e cacciarono l’inquisitore con il suo segretario. Curioso l’atteggiamento dell’alto funzionario quando, durante la lettura della sentenza di espulsione, iniziò a dar di matto e non trovando appiglio nelle autorità civili, lanciò una pesante scomunica. Terminato lo sfogo venne scortato insieme al suo seguito fuori dai confini della Repubblica. Onde evitare che incresciose situazioni di siffatta specie potessero ripetersi, venne emanata una legge che istituiva l’entrata in vigore di una nuova carica, quella dei Protettori, due senatori, del Sant’Uffizio, che vigilassero sull’operato dell’Inquisitore di turno.

“Chiesa e piazza in una acquaforte del 1825 di Friedrich B. Werner”.

“Le bifore della Torre Grimaldina, nel Palazzetto Criminale, viste dall’interno”.

Il tribunale ecclesiastico, come risaputo, si occupava oltre di libri all’Indice, di giudicare in materia di sortilegi, stregoneria e superstizioni e di vagliare l’abiura degli eretici. Tutti ambiti poco pratici per un popolo, quello genovese, dedito al commercio e alla finanza, per cui nel carcere del sant’Uffizio in San Domenico, nel 1746 si registrava la presenza solo di tre ospiti, per altro foresti: il primo un dottore milanese, tal Ferretti, il secondo un certo Basilio, piemontese. Quest’ultimo era stato originariamente condotto nel Palazzetto Criminale, accusato di omicidio ma, poiché continuava a professarsi innocente e ad ingiuriare la religione cristiana, venne trasferito nelle segrete di San Domenico.

I genovesi presero a cuore la situazione dei due disgraziati, prova ne è la richiesta di liberazione dei due detenuti, pervenuta sulla cattedra dei Protettori: “Serenissimi Signori sarebbe finalmente tempo che il povero dottor Ferretti milanese dopo un sì lungo e penoso carcere ne fosse rilasciato. Lo stesso potrebbe meritare il povero Basilio che, quantunque passato per disperazione alle carceri del Sant’Uffizio, ne sarebbe facilissimo il rilascio se lo conseguisse anche da Vostre Signorie Serenissime. Le circostanze dei tempi non possono per ambedue essere più favorevoli”.

I Protettori del Sant’Uffizio, su mandato dei Serenissimi Collegi, si attivarono e riuscirono a liberare sia Basilio che il Ferretti e a rimandare quest’ultimo a Milano.

“Interno di una delle celle della Torre Grimaldina”.

Rimaneva, incarcerato dal 1740, un solo prigioniero un altro medico Carlo Riva, di Sestri Levante accusato di aver più volte pubblicamente affermato: “essere la confessione stata istituita da’ pontefici, per avere il modo di sapere tutto ciò che fanno e pensano gli uomini ed essere i martiri gente uccisa da’ stessi seguaci di Dio, perché non volevano seguitare la loro fede”. Non solo, il medico aveva anche negato l’esistenza della terza persona nel dogma Santissima Trinità. Fu convinto da un amico ad abiurare  con la promessa che, una volta libero, non avrebbe dovuto fare pubblica ammenda ma solo non tornare più ad occuparsi di tali argomenti.

Nel 1797 con la fine della Repubblica oligarchica e la nascita di quella effimera democratica, sotto l’egida di Napoleone, la Santa Inquisizione terminò la sua attività a Genova.

In Copertina: Visitare i carcerati quadro di Palazzo Bianco 1643. Cornelis de Wael pittore fiammingo (1592-1667).

A proposito di congiure…

Certo le più celebri congiure, “mobbe” in genovese, sono quelle dei Fieschi del 1547 e di Vacchero del 1628 ma la storia parte da lontano, molto più lontano: la prima di una certa rilevanza di cui si ha notizia risale al 1164, al tempo delle divisioni fra Guelfi e Ghibellini, quando a farne le spese fu il Console Melchiorre della Volta, assassinato dagli esponenti della fazione opposta.

Altro episodio che merita di essere ricordato è legato a Simone Boccanegra, eletto nel 1339 primo doge della Repubblica.

Costui, invitato al sontuoso banchetto organizzato nella villa di Pietro Maloccello in onore del  suo prestigioso ospite il re di Cipro, morì “vox populi”, avvelenato. 

“Foto delle due lapidi di Via T. Reggio”. Foto di Giuseppe Ruzzin.

Fra l’Arcivescovado e palazzo Ducale c’è una strada intitolata ad un vescovo di Genova di fine’800, Tommaso Reggio, che è in realtà una galleria a cielo aperto di misfatti contro la Repubblica.

All’incrocio con Salita alll’Arcivescovato, ad angolo con palazzo Ducale, sono infatti affisse, ad eterno ricordo, due lapidi che raccontano:

la prima del tentativo nel 1648 ad opera di Gian Paolo Balbi di sovvertire l’ordine costituito e d’impadronirsi, con l’appoggio del Cardinale francese Mazarino, del governo della città.

Il nobile riuscì a scappare dalla sua condanna e terminò i suoi giorni ad Amsterdam, commerciando cioccolato.

“La Loggia degli Abati”.

“Ioanni Pavlo Balbi / Hominum Pessimo, Flagitys Omnibus Imbuto, / Impvro, Sicario/ Monetae Probatae, Adveriterinae, Tonsori, Conflatori / Insigni Fvri, et Vectigalivm Famoso Expilatori: / Ob Nefariam in Remp. Conspirationem /  Perdvelli Maiestatis Publicato, / Fisco Bonis Vindicatis, Filys Proscriptis, / Infami Poena Laqvei Damnato,  / Ad Aeternam Ignominiam Nefandae Svi Memoriae /  Lapis Hic Erectus.  / ANNO MDCL.

La seconda invece riferisce del tentativo ordito da Raffaele Della Torre nel 1672, in accordo con il Duca di Savoia, di assalire Savona e Genova calando dalla Val Bisagno. Fallita la “rassa” fu raggiunto e assassinato da un sicario della Repubblica a Venezia.

“Raphael De Turrio-v-y / Aliene Svbstantie Cvnctis Artibvs Exoilator/ Improbvs, / Homicida Predonvm Consors, et in Patrio Mari Pirata, / Proditor, et i Maiestatem Perdvellis, / Machinato Reip.ce Excidio, / Svpplicys  Enormitate Scelervm Svperatis/ Fvrcarvm Svspendio Iterato Damnatvs, / Adscriptis Fisco Bonis, Proscriptis Filys, / Dirvtis Immobilibvs, / Hoc  Perenni  Ignominie Monimento / Ex S.C. Detestabilis Esto. / Anno MDCLXXII.

Il copione è sempre lo stesso puniti con la condanna a morte i cospiratori, distrutte le proprietà, confiscati beni e ricchezze, esiliati i figli. Immortalata la loro vergogna da lapidi a eterno memento.

“Il Chiostro dei Canonici di San Lorenzo”.

Oltre a queste pietre dell’infamia, in via Tommaso Reggio, ve ne sono altre tre più recenti che raccontano il sacrificio, la prima nel 1833, di Jacopo Ruffini incarcerato nelle prigioni del Palazzetto Criminale, dentro la Torre Grimaldina, il ripristino, la seconda, del Campanone della Torre, i lavori di restauro la terza, del 1936 sotto la direzione dell’architetto Orlando Grosso.

“Uno dei due passaggi sopraelevati”.

Il Palazzetto Criminale, un tempo sede dell’Archivio di Stato, venne costruito a metà del XVI sec. su una delle quattro torri che costituivano, in origine, il palazzo del Comune. Al suo esterno degno di nota è il bel portale di pietra sormontato dallo stemma marmoreo di Genova: due eleganti e fieri Grifoni che reggono lo scudo della città.

Il Palazzetto è collegato sia all’Arcivescovado che al palazzo Ducale  da due ponticelli coperti che permettevano al Doge e all’Arcivescovo rapide vie di fuga e, soprattutto, garantivano la possibilità di muoversi indisturbati, all’interno delle stanze del potere, lontano da occhi indiscreti.

“Torre del Popolo o Grimaldina”.

Nella Via ha sede il Museo Diocesano il cui edificio venne costruito fra il 1176 e il 1184 come residenza dei canonici di San Lorenzo. Di particolare interesse il chiostro, frutto di diverse ristrutturazioni e stili nei secoli; due ali sono infatti medievali, due secentesche come, del resto, le relative sopraelevazioni. Trecentesca è invece la Loggia degli Abati ( in realtà ricostruita nel 1935 da O. Grosso), edificata su una preesistente proprietà dei Fieschi, per dare alloggio, appunto, agli Abati del Popolo.

Palazzo dell’Arcivescovado, Palazzetto Criminale, Torre Grimaldina, Loggia degli Abati, Museo Diocesano e Chiostro dei Canonici, osservate pure con il naso all’insù, ma guardatevi alle spalle, i traditori vi osservano dietro ad ogni anfratto!

In Copertina: la lapide che racconta le vicende di Gian Paolo Balbi.