Il Provinciale racconta Genova

In data 13/11/2022 è andata in onda sulla Rai la puntata de “Il Provinciale” condotta dal genovese Federico Quaranta.

Forse proprio perché pensata da un genovese la trasmissione mi è piaciuta ed è riuscita nel suo intento di emozionare il telespettatore.

A differenza infatti dei precedenti tentativi di Alberto Angela e Corrado Augias che mi avevano abbastanza deluso, il Provinciale ha invece colto nel segno.

Al di là delle spettacolari immagini riprese con i droni e accompagnate dalle note di De André, la scelta vincente a mio parere è stata quella di partire dal filo conduttore della verticalità come strumento per decodificare l’essenza della Superba e l’animo dei suoi abitanti.

Raccontare Genova per conoscerla per davvero vuol dire necessariamente fare un viaggio nell’anima verso il Paradiso passando per il Purgatorio dei caruggi.

Quale miglior virgiliana guida può esserci dunque in quest’ardita impresa della poesia?

“Ecco Guardala qui, questa città, la mia: | È in riva al Tejo che io cerco Campetto, | Nel Bairro Alto ho trovato Castelletto, | O un Cable Car su in Vico Zaccaria: | Vedilo, il mondo: in Genova è raccolto | A replicarne un po’ la psiche e il volto“. Versi di Edoardo Sanguineti.

Eccola allora la Genova verticale di funicolari e cremagliere, come descritta nei versi di Caproni in continua tensione fra il monte e il mare, tenuti ostinatamente insieme da quelle millenarie creuze de ma, le mulattiere di mare cantate da De André, memoria perenne di sacrificio, lavoro e fatica.

Quegli stessi sentieri di pietra che raccordati da scale infinite che in Montale diventano metafora di sofferenza e tenacia.

Senza questa presa di coscienza non si possono comprendere né il cinico pragmatismo né l’atavica diffidenza di un popolo che nei millenni, con la sua stessa fiera esistenza, ha sfidato il mondo.

Una città da vivere dunque, da respirare e da scoprire in continuo curioso cammino. Sempre con lo sguardo rivolto all’insù nel ventre più intimo dei suoi caruggi, o fisso all’orizzonte negli sconfinati panorami dei forti che, della regina del mare, sono corona.

Solo così si spiega una città mai doma, patria di comici, poeti, cantanti e navigatori si, ma anche di marinai, pescatori, contadini e mercanti.

Una Genova che nei suoi vicoli angusti, alla faccia della sua presunta inospitalità, da asilo agli ultimi, ai reietti, a tutta quella variegata umanità cantata da Faber e assistita da Don Gallo, scoprendosi invece solidale.

Una città dell’anima incastonata nella pietra fatta di panorami mozzafiato:

dai celeberrimi porticcioli e scogliere sul mare come Nervi o Boccadasse agli arcigni monti come il Beigua con il suo parco patrimonio UNESCO o il Monte Moro con i suoi orizzonti infiniti.

Da S. Ilario si scende al lungomare di Capolungo dove Mauro Pagani, leader della Pfm e collaboratore di De André, afferma: “Speriamo che l’amore per il bello ci travolga”…

Secondo me da sempre a Genova siamo travolti da una mareggiata continua di grande bellezza… ma a volte ce ne dimentichiamo!

“Ecco Guardala qui, questa città, la mia

Vedilo, il mondo: in Genova è raccolto | A replicarne un po’ la psiche e il volto.

In Copertina: Panorama genovese. Foto di Anna Armenise.

Per vedere la puntata del Provinciale cliccate sul sottostante link:

https://www.raiplay.it/video/2022/11/Il-Provinciale-Genova-13112022-e8084dc5-326f-4501-b7ce-bced80eb954e.html

La Campana della London Valour

Il 9 aprile 1970 è una data scolpita nella memoria dei genovesi un pò attempati come me. A dire il vero io nacqui l’anno seguente ma quello che accadde lo rivissi nei dei miei genitori che osservarono consumarsi la tragedia dalle finestre di casa in Corso Saffi.

Quel giorno infatti all’imboccatura del di naufragò il mercantile britannico London Valour. A circa 300 metri dalla diga Duca di Galliera, causa una devastante mareggiata, la nave perse l’ancoraggio e si schiantò sulla scogliera. Venti membri dell’equipaggio, prevalentemente marinai asiatici, persero la vita.

I venti che soffiavano a 100 km all’ora avevano prodotto una libecciata con onde alte oltre quattro metri che avevano reso proibitivi i soccorsi di ormeggiatori, rimorchiatori, Nucleo Sommozzatori Carabinieri, Capitaneria di e Vigili del Fuoco. Tutti si erano comunque prontamente mobilitati.

Un sorridente Comandante Enrico sulla sua Libellula.

In particolare l’intervento di soccorso compiuto dalla motovedetta CP 233 della Capitaneria di Genova, l’unica a raggiungere lo scafo, fu una delle operazioni di soccorso più difficili mai condotte dalle Capitanerie di Porto. Il tenente di vascello Giuseppe Telmon ed i suoi sette uomini furono poi insigniti, per il loro gesto eroico con la Medaglia al valore di Marina, d’oro per il comandante, d’argento per l’equipaggio. Questi uomini misero infatti in grave pericolo la propria vita, riuscendo a portare in salvo ben 26 persone. Altre benemerenze vennero rilasciate al Corpo Piloti del e ai Vigili Sommozzatori.

Ma il ricordo più sentito e commosso dei genovesi va senza dubbio al maggiore dei Vigili del Fuoco Rinaldo Enrico che, contro il parere di tutti viste le avverse condizioni, con il suo elicottero il “Libellula” si alzò in volo per gettare in mare, nel frattempo resosi catramoso dalle perdite dello scafo, più salvagenti possibili.

Per questo coraggioso comportamento nel luglio del 1975 gli fu conferita postuma la medaglia d’oro al valor civile ma la cittadinanza, già un paio d’anni prima, aveva voluto ricordare il suo eroe, nel frattempo morto durante un’esercitazione, apponendo una targa di ringraziamento in lingua genovese nel borgo marinaro di Vernazzola.

La targa posta sul molo di Vernazzola nel quartiere di Sturla.

Una simile tragedia non potè non tradursi in una struggente canzone “Parlando della London Valour” di De Andrè, il cui intimo amico il poeta e marinaio Riccardo Mannerini era a sua volta amico personale del maggiore Enrico.

Presso i Magazzini del Cotone nel Porto Antico un’altra lapide ricorda la terribile catastrofe riportando proprio i versi di Faber.

Lapide presso i Magazzini del Cotone. Foto di Elisabetta Massardo.

I marinai foglie di coca
Digeriscono in coperta
Il capitano ha un amore al collo
Venuto apposta dall’Inghilterra
Il pasticcere di via Roma
Sta scendendo le scale
Ogni dozzina di gradini
Trova una mano da pestare
Ha una frusta giocattolo
Sotto l’abito da tè E la radio di bordo
È una sfera di cristallo
Dice che il vento si farà lupo
Il mare si farà sciacallo
Il paralitico tiene in tasca
Un uccellino blu cobalto
Ride con gli occhi al Togni
Quando l’acrobata sbaglia il salto E le ancore hanno perduto
La scommessa e gli artigli
I marinai uova di gabbiano
Piovono sugli scogli
Il poeta metodista
Ha spine di rosa nelle zampe
Per far pace con gli applausi
Per sentirsi più distante
La sua stella si è oscurata
Da quando ha vinto la gara
Di sollevamento pesi E con uno schiocco di lingua
Parte il cavo dalla riva
Ruba l’amore del capitano
Attorcigliandole la vita
Il macellaio mani di seta
Si è dato un nome da battaglia
Tiene fasciate dentro il frigo
Nove mascelle antiguerriglia
Ha un grembiule antiproiettile
Tra il giornale e il gilè E il pasticciere e il poeta
E il paralitico e la sua coperta
Si ritrovarono sul molo
Con sorrisi da cruciverba
A sorseggiarsi il capitano
Che si sparava negli occhi
E il pomeriggio a dimenticarlo
Con le sue pipe e i suoi scacchi
E si fiutarono compatti
Nei sottintesi e nelle azioni
Contro ogni sorta di naufragi
E di altre rivoluzioni
E il macellaio mani di seta
Distribuì le munizioni

Fonte: LyricFind Compositori: Massimo Bubola / Fabrizio De Andrè Testo di Parlando del naufragio della London Valour © Universal Music Publishing Group.

Chiesa anglicana dello Spirito Santo in 3. Foto di Leti Gagge.

In all’interno della chiesa anglicana dello Spirito Santo è custodita la campana, a perenne memoria di quella nefasta tragedia, della London Valour.

«E allora, non chiedere mai per chi suoni la campana. Essa suona per te.» Cit da “Per chi suona la campana ” romanzo di Ernest Hemingway del 1940.

In copertina: la campana della London Valour. Foto di Leti Gagge.