Palazzo Cicala

Al civ. n. 6 di Piazza dell’Agnello si trova il Palazzo di Vincenzo e Carlo Pallavicino, l’edificio più importante della piazzetta, noto anche come Pallavicino Richeri o Palazzo Cicala.

Fu progettato da Bernardino Cantone nel 1542 su precedenti proprietà e, nella parte esterna, era decorato con sfarzosi affreschi di Lazzaro Calvi, lo stesso magnifico artista che ha realizzato le pitture del Palazzo Antonio D’Oria (Prefettura). Oggi di queste splendide opere rimane solo una traccia sbiadita che meriterebbe un adeguato restauro.

Il portone a colonne doriche che poggiano su basi decorate con fregi di teste di leone, meduse, trofei di guerra è attribuito ai grandi maestri antelami rinascimentali (provenienti dal comasco e dall’alta Lombardia) Giacomo della Porta e Nicolò da Corte.

Non mancano purtroppo le insensate scritte, firma indelebile dell’ignoranza di chi le ha prodotte, ad imbrattare i muri.

Sull’architrave risaltano due sinuose figure femminili adagiate su un letto di cornucopie ricche di fiori e frutti, che rappresentano le virtù. In origine le due statue reggevano lo stemma del Casato che è andato perduto.

Al primo piano le finestre con gli archi a tutto tondo sono nobilitate da tre sculture di Tritoni che sorreggono panoplie. Non si conosce con certezza l’autore di tali opere tuttavia secondo alcuni studiosi sarebbero addirittura riconducibili nientepopodimeno che al Montorsoli (chiesa di S. Matteo e relativa Criptagiardini Villa del Principe).

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In copertina: Palazzo Cicala. Foto di Stefano Eloggi.

Scorci di Canneto

L’origine del toponimo rimanda alla presenza dei cannicci che costeggiavano il tragitto che degradava dal Piano di S. Andrea al mare.

Fino al X secolo il Canneto segnava il confine dell’antico castrum ed era fiancheggiato dalle prime mura cittadine che proprio in quel periodo vennero ampliate per inglobare il palazzo Fieschi (futuro Ducale) e la Cattedrale.

Il budello che si immette nel ventre cittadino è tradizionale meta degli acquisti alimentari natalizi.

Numerosi sono gli spunti storici artistici che si possono cogliere in questo caruggio.

Ad esempio in questo scatto sul lato sinistro s’intravede il cinquecentesco sovrapporta del civ. 67a/r con San Giorgio che uccide il drago.

Di fronte invece si scorge il profilo del contemporaneo portale del palazzo De Franceschi al civ. 72r.

In copertina: Canneto il Lungo. Foto di Leti Gagge.

I Baracconi

Il luna park, nella versione invernale o estiva che sia, a Genova ha una tradizione molto radicata.

I Baracconi infatti – come vengono chiamati da ogni genovese che si rispetti- ad inizio’900 erano già presenti e ubicati nella spianata oggi occupata dai Giardini Caviglia e da Piazza della Vittoria.

Lo stesso gigantesco spiazzo che era stato destinato, in occasione dei quattrocento anni dalla scoperta dall’America, all’esposizione Italo-Americana del 1892.

Nel 1906 vi si stanziarono il colorito carrozzone del circo di Buffalo Bill e nel 1914 l’Esposizione Internazionale di Marina ed Igiene, progettata dall’arch. Gino Coppedè.

In origine i “baracconi” erano così chiamati per via delle baracche appositamente allestite per l’occasione.

Oltre alla presenza di dolciumi, reganissi e zucchero filato, le principali attrazioni erano il tirassegno, le giostre dei cavalli, il forzuto, la chiromante, il nano e la donna ragno.

A queste tra le due guerre si aggiunsero le prime rudimentali montagne russe.

Nel 1943 il luna park venne trasferito alla Foce nella zona che circa un ventennio dopo sarebbe diventata l’odierno Piazzale Kennedy.

Da allora alle vecchie giostre di felliniana memoria si sono via via sostituite attrazioni sempre più moderne e tecnologiche e i nostalgici Baracconi sono diventati il parco giochi itinerante più grande d’Europa.

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In copertina: Il luna Park di Genova in Piazzale Kennedy. Foto di Beatrice Bereggi.

Piazza del Portello

Piazza del Portello così nominata per via della porta delle mura del XII secolo posta a quel tempo più o meno all’imbocco dell’odierna via Caffaro.

Tale Portello fu poi demolito nel 1855 insieme all’attiguo Conservatorio delle monache Interiane.

Al centro spicca sopra la galleria Giuseppe Garibaldi, aperta nel 1897 e ampliata nel 1927 la torre del Mirador che, con la sua singolare forma a minareto, impreziosisce il giardino del Palazzo Lomellino di via Garibaldi n 7

Sopra le statue di San Giorgio e San Giovanni che adornano il tunnel opera dello scultore Antonio Maraini, vi furono invece collocate nel 1930.

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In copertina: Piazza del Portello. Foto di Stefano Eloggi.

Vico Denegri

Vico Denegri costituisce tipico esempio delle suggestive atmosfere che si possono respirare nei nostri vicoli.

Il caruggio deve il suo nome all’omonima famiglia originaria di Portovenere.

Il capostipite di tale schiatta fu nel XII secolo un tal Manfredo detto, probabilmente per il colore brunito della sua carnagione, il Negro. Da qui quindi l’origine del cognome del casato.

Fra i membri dei Di Negro si segnalano illustri ammiragli: Guglielmo nella missione del 1205 per difendere Siracusa, Giacomo di Ottone nel 1257 contro i Pisani, Luchino di Galeotto nel 1330 al servizio del re di Napoli Roberto D’Angiò.

Salvago Di Negro nel 1334 fu invece straordinario capitano che al comando di 10 galee sconfisse la temibile e più numerosa flotta catalana.

Degna di menzione anche Franceschetta di Sigismondo che nel 1447 dette alla luce la futura Santa Caterina di Genova, ovvero Caterina Fieschi Adorno.

Nel 1528 i Di Negro formarono (a parte un ramo già confluito nei Giustiniani) il quarto albergo della riforma doriana.

Nel 1585 Ambrogio di Benedetto fu Doge e numerosi poi dal ‘500 a fine ‘700 furono i senatori della Repubblica. Nel 1586 Benedetto di Giuseppe Giustiniani Di Negro rivestì la carica di Cardinale.

Ma il personaggio più famoso fu senza dubbio Andalò di Salvago. Figura di ingegno poliedrico. Fu scienziato, astrologo, poeta, ambasciatore, amico di Marco Polo e nel 1342 addirittura maestro del Boccaccio.

L’inquadratura dello scatto ritrae il tratto di caruggio successivo alla loggia del Palazzo Ambrogio Di Negro il cui ingresso principale si trova in Via San Luca n. 2.

Anticamente qui aveva sede la corporazione degli Acquavitai e perciò il vicolo era noto anche come il caruggio dell’Acquavite.

Vico Denegri muri ricchi di fascino e storia.

In copertina: Vico Denegri. Foto di Leti Gagge.

Vico dei Tre Re Magi

Per me che nei primi anni ’80 giocavo nei campetti di calcio di terra vico dei Tre Re Magi è un luogo del cuore.

Quegli spazi ricavati tra le macerie erano noti come i campi di San Donato ed erano frequentati dai ragazzi di Ravecca contro i quali, noi di Carignano, disputavamo interminabili sfide a pallone.

Oggi la zona è stata recuperata, i campi da gioco ristrutturati in erba sintetica, e le macerie per fortuna dal 2012 hanno lasciato spazio ai vivaci Giardini Luzzati sotto i quali resiste persino un anfiteatro romano di quasi duemila anni.

Qui è stata girata una scena del film ‘Figurine” del 1997 del regista genovese Giovanni Robbiano in cui il protagonista Alberto, un pargolo di 10 anni, è a casa di un amichetto la cui madre esercita il mestiere più antico del mondo e tra un cliente e l’altro prepara con disinvoltura la merenda.

La pellicola ambientata nella Genova del 1969 racconta, attraverso gli occhi di un bimbo con la passione delle figurine e del Genoa, le vicende private della propria famiglia nel contesto turbolento di quegli anni.

Figurine rappresenta così un colorito spaccato della doppia anima proletaria e borghese della città. Conflitti, contraddizioni, ipocrisie della società di quel periodo vengono elaborati con la dolorosa sensibilita di un bambino.

Fra gli attori Piero Natoli, Eliana Miglio, Giulio Scarpati e un gustosissimo Enzo Jannacci.

La contrada prende il nome dallo scomparso oratorio dei Re Magi. Il trecentesco edificio religioso, ristrutturato nel ‘600 fu gravemente bombardato durante la seconda guerra mondiale.

Alcuni arredi si sono salvati e sono conservati presso il Museo di S. Agostino mentre sono andati irrimediabilmente perduti gli affreschi di Lazzaro Tavarone, Luca Cambiaso e di Bernardo Castello che ne adornavano la volta.

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In copertina: Vico dei Tre Re Magi. Foto di Leti Gagge.

Via Chiabrera

Il caruggio intitolato al poeta savonese (1552-1638) Gabriello Chiabrera presenta diverse testimonianze storiche medievali:

al civ. n. 6r un fregio marmoreo con il trigramma di Cristo; al 13r/a un portale marmoreo con lesene ioniche scanalate ed un cartiglio muto; al 19r un portale in pietra nera del XVI sec.

Sul fronte di quest’ultimo edificio una lapide ricorda che nell’abitazione di Antonio Gavotti dal 1830 al 1832 si riunivano i cospiratori della Giovine Italia.

Al civ. n. 7 infine il lussuoso palazzo di Gio. Batta Saluzzo edificato nel 1580 a cui si accede dalla piazzetta di fronte al Palazzo Giustiniani.

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In copertina: Via Chiabrera. Foto di Stefano Eloggi.

Loggia dei Giustiniani

In Via dei Giustiniani al civ. n. 21 si ci imbatte in quel che resta della loggia medievale del casato.

Sotto le arcate ogivali in pietra risalta, incastonata nel corpo della struttura, una colonna marmorea con capitello romanico.

I locali piano strada sono stati converiti in esercizi commerciali.

Sopra le arcate chiuse da ampie vetrate una cornice di archetti in pietra. Al piano nobile una trifora tamponata su conci bicromi.

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In copertina: Loggia dei Giustiniani. Foto di Anna Armenise.

Piazza delle Cinque Lampadi

La piazza delle Cinque Lampadi costituisce uno degli spazi più caratteristici e vivaci del centro storico. Oggi popolato da bar e locali di vario genere un tempo era l’accesso a ponente nella cerchia muraria del X sec.

Fino alla costruzione infatti nel 1155 delle Mura del Barbarossa l’arco che conduce alla chiesa di San Pietro era in realtà una delle cinque principali porte cittadine.

Il toponimo del sito rimanda alla presenza in loco di una delle edicole -detta appunto delle Cinque Lampadi – fra le più amate e venerate dai fedeli.

Al confine con il vecchio varco si trova il Palazzo Cicala Raggio una casa turrita e loggiata il cui ingresso si trova al civ. n. 1 di Piazza delle Scuole Pie.

I primi due piani dell’edificio sono costruiti in pietra sono di epoca romanica (XII-XII sec) mentre quelli superiori evidenziano le successive modifiche del XVII secolo e le recenti sopraelevazioni.

Il portale del civ. 14 al centro della foto appartiene al Palazzo Penco realizzato nel XVII sec. Si tratta di un elegante portale marmoreo con semicolonne doriche rudentate. Al vertice dell’arco un mascherone e metope con fregi di elmi di clipei. Da alcuni decenni l’elegante atrio è occupato da un supermercato di una nota multinazionale francese. Qui, fra gli scaffali, sono ancora visibili alcune colonne doriche binate.

Ma tutta la piazzetta è un susseguirsi di tracce antichissime. Basta solo guardarsi intorno con il naso all’insù: archi in pietra a tutto sesto con capitelli, finestre bifore, trifore, quadrifore, colonnine marmoree, cornici in laterizio, muri in pietra, soffitti voltati a crociera, lunette in ferro battuto portanti Grifoni, clipei con Agnus dei e monogramma di Maria.

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In copertina: Piazza delle Cinque Lampadi. Foto di Leti Gagge.