“Il Tempo delle Mele”…

Il toponimo di Vico Mele ha una genesi incerta. Secondo alcuni trarrebbe origine dalla famiglia proveniente dall’omonimo paesino sulle alture di Voltri, per altri, molto più semplicemente perché qui avevano sede le botteghe e i magazzini del succoso frutto.

“La parte bassa del prospetto presenta ancora le classiche lesene alternate bianco nere”. Foto di Leti Gagge.

Al vicolo è legata anche una curiosa leggenda che racconta di una misteriosa meretrice, bruna di capelli, di pelle ambrata e dalle prosperose forme che fa girar la testa e, soprattutto, sparir il portafoglio degli incauti clienti.

“Il calco dell’edicola quattrocentesca in stile gotico”.

Al civ. n. 6 si trova il Palazzo Brancaleone Grillo conosciuto anche, dal nome dei successivi proprietari, come Serra. Dentro al cortile di accesso al loggiato si trova una meravigliosa rappresentazione quattrocentesca di Madonna con il Bambino, calco di una delle più affascinanti edicole del centro storico. Realizzata in forma allungata e in un raffinato stile gotico francese presenta nella nicchia il rilievo della Vergine con il Bambinello in braccio.

L’immagine nel suo insieme, e il gioco di sguardi in particolare, trasmettono un intimo senso di complicità. Sotto la mensola, su una pigna con motivi floreali, campeggia lo stemma del casato. Data l’importanza dell’opera, per preservarla dalle intemperie e dai vandalismi, l’originale è conservata presso il Museo di S. Agostino.

“San Giorgio che uccide il drago di G. Gagini”. Foto di Leti Gagge.
“Portale con relativo sovrapporta”. Foto di Leti Gagge.

Il portale del palazzo, attribuito alla sapiente mano di G. Gagini, offre la classica effige di San Giorgio che sconfigge il drago sdraiato sotto il cavallo con la principessa in preghiera. Sullo sfondo due figure femminili alate che reggono in mano la fiaccola e il giglio e sotto gli scudi con gli stemmi nobiliari. La tavella risulta infine impreziosita da una ricca cornice con girali e putti. Alla base l’iscrizione recita:

Qvi Ovcis Voltvs Deo Saspicis Ista Libenter: Omnibvs Invideas Invide Nemo Tibi.

“Quanta storia è passata su questi scalini”. Foto di Leti Gagge.
“Scalone e colonnine murate”. Foto di Leti Gagge.
“La scalinata interrotta al primo piano”. Foto di Leti Gagge.

La facciata presenta la tradizionale alternanza di conci di marmo bianco e nero sulla quale sono visibili alcune colonne murate, poggioli con colonnine di marmo e archetti trilobati che proseguono anche sul lato di Vico Colalanza e Vico San Luca. All’interno lo scenografico scalone marmoreo che, a seguito delle successive ristrutturazioni, s’interrompe al primo piano.

Gli interni del piano nobile offrono affreschi, a tratti sbiaditi, di Luca Cambiaso, “Nozze di Amore e Psiche e Augusto assiso in trono” e di Lazzaro Tavarone, “Mosè con gli Ebrei nel deserto”, opere che permettono al palazzo(a quel tempo di proprietà di Nicolò Spinola) di inserirsi a pieno titolo, già a partire dal 1576, nel rodato sistema dei rolli.

Le numerose colonne con relativi capitelli tamponate lasciano presagire quanto imponente fosse il loggiato originario. Al civ. n. 11 esisteva un analogo portale a quello precedentemente descritto che venne acquistato e trasferito nel suo castello dal Capitano D’Albertis.

“Il sovrapporta con San Giovanni Battista nel deserto”. Foto di Leti Gagge.

All’angolo con Vico San Sepolcro ecco un altro antico portale in pietra nera di promontorio che rappresenta il Battista nel deserto al cospetto del Dio padre che affida la sua famiglia alla protezione divina. Il bassorilievo ricco di simbologie orientali e pagane rappresenta un’allegoria della famiglia proprietaria che volle affidarsi direttamente al Divino senza troppe intermediazioni.

“Il sovrapporta del Battista in primo piano”. Foto di Leti Gagge.

A destra una cicogna, forse uno struzzo vicino ad un leopardo sdraiato a terra davanti ad uno sfondo di alberi e rocce. Sulla sinistra San Giuseppe accompagna con la mano una figura femminile alata che esce da uno scudo. La scena rappresenta la presentazione del casato al cospetto del Dio Padre che appare all’estrema sinistra pronto ad accogliere benignamente la richiesta.

“L’Annunciazione in pietra nera sotto l’archivolto De Franchi”.

Sotto l’archivolto De Franchi ci si imbatte in un’altra Annunciazione in pietra nera decorata con stemmi abrasi del XVI sec.

All’angolo con Vico Spinola antiche tracce di una loggia tamponata con archi in pietra del XIII sec.

Nella piazzetta di San Sepolcro sorgeva, come testimoniato da apposita lapide, un antico oratorio oggi sostituito da una mediocre costruzione del dopoguerra.

Sul muro al civ. n. 2, vicino ai resti marmorei della decorazione dello scomparso portale, la lapide che attesta la proprietà del palazzo:

Dom / Hec Plateola Cvm Domo Magna Oposita / Est  Mag. Ci et Potenti.mi Militis. D. Lvce Spin / Vle Q. S. P. D. Io; Baptiste Hoc Anno  Em  / pta Ab Heredibvs Q Brancaleonis / et Antoniotis De Grilis Die pma Sept / Embris MCCCCLXXXXVI (1496).

“Vico Mele e il palazzo Brancaleone Grillo”. Foto di Leti Gagge.

La nobile schiatta ebbe origine da un certo Uberto valoroso capitano che nel 806 fu il primo a salire sulle mura di Costantinopoli durante l’assedio della città. L’imperatore Niceforo (dal greco significa “Colui che porta la vittoria”) testimone del fatto lo indicò come esempio ai suoi soldati: “Vedete voi quel grillo con quanta celerità sale sui muri?”. Da questo episodio l’origine del cognome dei suoi discendenti che ricoprirono ruoli di assoluto prestigio: cardinali come Geraldo nel 1134 , Oberto nel 1155 e Ottone 1251; ammiragli quali Simone vittorioso nel 1264 sui veneziani, Accellino che nel 1310 con sole dieci galee espugnò Rodi; padroni di territori e titoli nobiliari come Manfredo signore di Cassano Spinola nel 1306, Antonio di Piacenza nel 1317, Antonio di Sigismondo di Lerma nel 1396.

Nel 1528, con la riforma voluta da A. Doria, formarono il nono albergo. Molti ancora, per tutto il ‘600 e il ‘700, furono i membri di questa illustre casata che ricoprirono di prestigiosi incarichi e che di allori si fregiarono.