Le dimore di Falstaff…

Giuseppe Verdi scelse Genova non solo per il clima, il mare o la bellezza in generale della città, ma soprattutto per la riservatezza dei suoi abitanti che, pur ammirandolo come venerabile Maestro, non furono mai invadenti della sua sfera privata.

I primi tempi, durante il soggiorno genovese, prendeva alloggio all'Hotel Croce di Malta, nella zona di Caricamento.

“Torre e Palazzo Passano. L'edificio in cui aveva sese l'Hotel della Croce di Malta”.
“La targa che attesta gli illustri ospiti dell'albergo”.

La Croce di Malta, il principale albergo dell'epoca, si trovava a Caricamento, in Vico dei Morchi: viene ricordato così nelle parole di , uno dei suoi illustri ospiti: “un palazzo gigantesco ai limiti del porto formicolante e non troppo pulito, un edificio immenso, solo il piano terra avrebbe contenuto dodici caravanserragli americani”.

“Villa Pallavicini nell'odierna Via ”.

Nel 1859, in una delle sue frequenti passeggiate con la moglie Giuseppina Strepponi, si spinse fino al Mandraccio, zona del porto antico, dove fece amicizia con l'ing. Giuseppe De Amicis, cugino del più celebre Edmondo, l'autore di “Cuore”, al quale confidò il suo desiderio di procurarsi una dimora stabile in città.

Cosa che, finalmente, avvenne nel 1866 quando il compositore si trasferì in affitto in Via San Giacomo in .

Insieme al noto direttore d'orchestra, il ravennate Angelo Mariani e grazie all'amicizia con la Marchesa Sauli Pallavicini, Verdi era riuscito ad esaudire il suo sogno di prendere casa nella Superba.

Andò ad abitare al piano nobile di Villa Sauli in Carignano mentre Mariani si sistemò nell'ammezzato. Divisero l'onere dell'affitto: 400 lire per Mariani e 3000 per Verdi.

In una lettera, infatti, indirizzata al conte Oprandino Arrivabene, datata 16 marzo 1867, così scriveva: “Ricevo ora la tua lettera e ti ringrazio. Parto per S. Agata, ma ritornerò qui per allestire un appartamento che non ho comprato ma affittato in Carignano, Palazzo Sauli Pallavicino. L'appartamento è magnifico e la vista stupenda e conto passarvi una cinquantina d'inverni”.

Da un'altra missiva datata 26 novembre 1874, diretta sempre allo stesso conte, si deduce che il Maestro in tale data aveva già lasciato l'appartamento di Villa Sauli in Carignano: “non so se tu sappia, che io non sto più in Carignano, ma nel Palazzo del Principe Doria, per cui manda in avvenire a questo indirizzo la tue lettere”.

”. Foto dell'autore.
“Cartolina della Villa del con gli appunti di un viaggiatore francese che indica le finestre abitate dal Maestro”. Immagine di Giorgio Corallo.
“Lapide esterna alla Villa che attesta la presenza dell'illustre ospite e gli conferisce la cittadinanza onoraria”.

Inizialmente occupò l'ammezzato in alto, ma nel 1877 i coniugi Verdi scesero ad occupare il piano nobile della principesca dimora.

Il musicista usciva di casa per fare i suoi acquisti quotidiani. Non mancano gli aneddoti in proposito. Un giorno si recò a comprare dei pesci in “Chiappa”, il vivace mercato del pesce che era situato nei pressi di piazza Cavour, e si sentì dire dal pescivendolo: “Maestro, questa sera nell'Aida farò il comprimario nella parte del re”. Verdi gli rispose ironico: “Però guadagna molto di più qui che sul trono del Carlo Felice”.

Verdi fu invitato alla prima rappresentazione del Falstaff a Genova, ed egli accettò con lettera del 6 aprile 1893, specificando però che non voleva andare nel “palco reale”, perché non voleva essere considerato come ospite d'onore ma come artista fra gli artisti.

Il biglietto autografo di Verdi presso la pasticceria Klainguti”.

Falstaff si chiamano anche le brioche predilette, ripiene alla pasta di nocciola, che il Maestro era solito gustare presso la Pasticceria Klainguti in Campetto. Ancora oggi dietro al bancone del locale campeggia orgoglioso il suo biglietto autografo. “Cari Klainguti, grazie dei Falstaff. Buonissimi… molto migliori del mio!”

Il grande affetto che unì l'illustre compositore alla nostra città traspare anche nelle sue disposizioni testamentarie. Il testamento olografo, datato 20 maggio 1900 conteneva un allegato in cui disponeva 50000 lire ad enti genovesi, così suddivisi: 20000 agli Asili Infantili di Genova; 10000 a favore dell'Istituto dei ciechi; 10000 a favore dell'Istituto Liberti per rachitici; 10000 a favore dell'Istituto di via Fassicomo.

“… Non esiste un altro luogo nel mondo…”

Il grand nella nostra penisola era di gran moda presso i nobili anglosassoni a cavallo fra ‘600 e ‘700, un viaggio in Italia era tappa obbligata nel percorso formativo culturale di ogni patrizio che si rispetti.

Nel suo “Diario” il viaggiatore britannico John Evelyn così annotava a proposito della Superba:

“Villa Rosazza , detta dello Scoglietto”.
“Cartolina dei giardini alle spalle di Villa Rosazza”.
“Una delle 139 stampe che costituiscono l'opera in due volumi I Palazzi di Genova di . Pubblicato per la prima volta ad Anversa nel 1622”.

“La città è costruita all'estremità di una collina, il cui dislivello è molto ripido, alto e roccioso: così, se la si guarda dalla Lanterna o dal Molo con lo sguardo rivolto verso le colline circostanti, la città ha la forma di un anfiteatro. Le strade sono così strette e i palazzi così alti uno sopra l'altro, come i posti di un nostro teatro: ma a causa del meraviglioso materiale con cui sono costruiti, per la bellezza e la loro posizione, non si è mai vista una scenografia artificiale altrettanto splendida; non esiste sicuramente un altro luogo nel mondo, ricco di Palazzi così ben disegnati e posizionati; si può facilmente concludere che quel grande volume composto di grandi fogli, che il grande Virtuoso e Pittore Paolo Rubens, ha pubblicato, contiene solamente (i prospetti dei palazzi) una strada e di due o tre . Il primo palazzo degno di nota che andammo a visitare fu quello di Geronimo di Negro, e per raggiungerlo dovemmo attraversare il con una barca. Questo Palazzo Di Negro (oggi Villa Rosazza) è ricco di quadri più preziosi e di altre straordinarie collezioni e arredamenti. Ma non v'è nulla che mi deliziasse più del parco, un giardino collinoso, con un boschetto di alberi maestosi, popolato di pecore, pastori e animali selvatici, intagliati nella pietra grigia, da apparire così reali in mezzo alle fontane, rocce e a un laghetto, che gettando il tuo sguardo in una direzione potresti immaginarti immerso in una campagna selvaggia e silenziosa, ai due lati nel cuore di una grande città e alle spalle nel mezzo del mare. E ciò che è più ammirevole è che tutto questo si trova all'interno di un terreno ampio appena un acro, il più delizioso e stupefacente del mondo intero.

In questa casa notai per la prima volta i pavimenti di stucco rosso, che sono fatti in maniera così resistente e così ben lucidati, che talvolta uno li potrebbe scambiare per pezzi di porfido…

“Statua del Nettuno, opera di Taddeo Carlone”.
“Uno degli sfarzosi arazzi fiamminghi del  che illustra le storie di Alessandro Magno”.

Vi sono in questa città innumerevoli altri palazzi di particolare interesse, poiché i nobili sono incredibilmente ricchi, benché come i loro vicini Olandesi, non possiedono proprietà molto grandi su cui estendersi; perciò collezionano quadri e tappezzerie, case di marmo e ricchi mobili.

Una delle citazioni di maggior rilievo di tutto il viaggio riguarda la Villa del Principe Doria, che si estende dalla scogliera fino alla cima di una collina. Il Palazzo è senza dubbio magnificamente edificato, e non meno splendidamente ammobiliato, con ampi tavoli e lettiere di argento massiccio, e altri di agata, onice, cornalina, lapislazzuli, perle, turchesi e altre pietre preziose. A questo palazzo appartengono tre giardini, il primo dei quali si affaccia meravigliosamente sul mare grazie ad una balconata di piloncini di marmo. Vi è inoltre una fontana decorata con aquile e animali marini di Nettuno ed un'altra del Tritone (del ), più a monte, tutt'e due del più puro marmo bianco che il mio occhio abbia mai osservato. E in un lato del giardino si trova un Uccelliera come quella descritta da Sir Francis Bacon nel suo saggio “Of Gardens”, in mezzo ad alberi di circa 70 cm. di diametro, oltre a cipressi, mirti, lentischi e altri arbusti (la gabbia era lunga 130 passi, ampia 22 e alta oltre sei metri), che serve come nido e posatoio per ogni tipo di uccello, che qui può trovare aria e spazio a sufficienza sotto una protezione metallica, sostenuta da un'enorme costruzione in ferro battuto, mirabile sia per la fattura sia per il peso che deve sopportare. Gli altri due giardini sono ricchi di alberi d'aranci, limoni e melograni, fontane, grotte e statue. Tra queste spicca un Giove di colossale magnificenza (la statua in stucco raffigurante Andrea Doria in realtà nelle sembianze di Ercole, soprannominata il “Gigante”, fu demolita negli anni '30 del secolo scorso), ai cui piedi si trova il sepolcro di un cane beneamato (il Gran Roldano), per il cui mantenimento la famiglia riceveva dal re di Spagna e per tutta la durata della vita del fedele animale, 500 corone all'anno”.

“La , detta del Gigante alla cui base era sepolto il Gran Roldano”.

Il viaggiatore inglese era rimasto quindi incantato dal paesaggio, dai marmi, dai palazzi sopraelevati, dai giardini, dalle statue e da tutte le meraviglie possibili e immaginabili ma in una lettera indirizzata ad un suo amico, il Dottor Burnet rivela: “I sono la peggiore gente di tutta Italia poiché generalmente i più corrotti nei costumi, in quanto ricettacoli di ogni sorta di vizi”. Una rivisitazione in chiave più moderna della celebre invettiva dantesca “Ahi Genovesi uomini diversi…”.