Quando, prima della sua demolizione avvenuta nel 1968, c’era ancora Vico dei Librai.
Il caruggio sito nel cuore di Portoria era assai breve e comprendeva tre porte di casa. Dallo stesso si accedeva anche all’attigua piazzetta che ne aveva altre sette.
In una di queste abitava la famosa vecchina dell’omonima leggenda secondo la quale l’anziana signora ancora ai giorni nostri gironzola nei pressi di Porta Soprana chiedendo informazioni sulla strada da percorrere per raggiungere la propria abitazione in Vico Librai.
A rendere ancora più affascinante la vicenda di questa nonnina è il ritrovamento, all’interno di un locale dove era entrata per chiedere informazioni, di un borsellino contenente monete del regno, immaginette sacre e un antico rosario. Tutti oggetti risalenti all’800.
Tutta la millenaria zona per via del nuovo piano regolatore venne atterrata a cavallo degli anni 60/70 senza pietà in nome del piccone risanatore passando tristemente alla storia come lo scempio della Madre di Dio.
In Copertina: scorcio della piazzetta e del Vico Librai.
I Lavatoi, attualmente situati nei “Giardini Baltimora”, vulgo “Giardini di Plastica” vennero costruiti nel 1797, anno della fugace Repubblica Democratica, dall’architetto al quale devono il nome, Carlo Barabino.
In origine i trogoli, detti della “Marina”, erano collocati nel contesto di una zona densamente popolata e popolare, la via dei Servi, per soddisfare una reale esigenza di servizio pubblico. Si conservano due versioni del progetto: un bozzetto più lineare a tre luci, e un altro analogo a quello realizzato, ma coi grossi pilastri bugnati arricchiti di teste leonine. Al disegno è aggiunta una curiosa nota autobiografica che appare indicativa dello stato d’animo dell’autore: “Lavaderi delli Servi, fatti da me Carlo Barabino 4 n. 1797 fatto in tempo delli Birboni. Lavoro che mi è costato la perdita della quiete d’animo…”
L’opera, ormai completamente decontestualizzata, sorgeva sul lato opposto della valletta del Rivotorbido, accanto alla chiesa di Santa Maria sulla Montagnola dei Servi, affacciata lungo l’asse continuo Borgo Lanaioli-via dei Servi–via Madre di Dio.
Oggi collocati sotto i resti delle Mura di Sarzano, dove un tempo erano altri truogoli, quelli del Colle, all’interno di un parco urbano concepito negli anni ‘70 del secolo scorso in luogo del preesistente quartiere di via Madre di Dio. Sulle macerie reali e morali di millenarie contrade scolpite nella pietra, sorge l’effimero e, dopo meno di 40 anni, già fatiscente centro direzionale dei Liguri. Il sito non ha mai preso vita rimanendo quotidiana memoria della barbarie commessa. Anzi negli anni ’80 era addirittura territorio tacitamente concesso ai tossicodipendenti, una sorta di ghetto a cielo aperto, in cui le aiuole dei giardini erano disseminate di siringhe e preservativi usati.
I lavatoi vennero infatti smontati nel 1979, durante la realizzazione del Piano Regolatore Generale di via Madre di Dio, un modo elegante per sancire la distruzione del quartiere e ricomposti sotto le mura di Sarzano, da Ignazio Gardella, progettista del parco urbano ivi previsto.
L’edificio, in stile neoclassico, presenta un impianto planimetrico lineare, ottenuto dalla ripetitività del modulo-base a pianta pressoché quadrata, e composto essenzialmente da un vano che ospita la fonte (oggi non collegata ad alcuna rete di approvvigionamento idrico) e da altri due locali accessori. La grande vasca rettangolare è situata al centro di uno spazio voltato a tre crociere; essa consta di un elevato in muratura portante intonacata (originariamente in pietra e mattoni ed in seguito ricostruito in elementi di calcestruzzo) concluso da un piano di lavoro in arenaria incisa a solchi paralleli e di una bocca di erogazione a grottesche di marmo collocata su una delle due testate. Gli altri due vani non attrezzati per il lavaggio dei panni sono coperti da volte a botte e comunicano soltanto con l’esterno attraverso grandi archi chiusi da inferriate. L’asimmetria della disposizione planimetrica è magistralmente bilanciata dalla risoluzione adottata nel prospetto: il ritmo seriale ed indifferenziato dei cinque fornici a tutto sesto, mediato da un fregio a triglifi, trova la sua naturale conclusione nel timpano triangolare. L’impostazione dei pilastri rastremati verso l’alto e trattati a bugnato rispecchia la formazione romana e classica di Barabino, così come l’uso della trabeazione dorica, dove con elegante raffinatezza è collocata la targa marmorea inneggiante al popolo sovrano:
“Al Popolo Sovrano / Gli Edili / Libertà / Eguaglianza / l’Anno Primo della Repubblica Ligure Democratica / MDCCXCVII”.
I lavatoi del Barabino sono rimasti per lungo tempo nel più completo degrado e abbandono, deturpati, sporcati, imbrattati e violentati dall’ignoranza e oblio altrui, talvolta dimora occasionale di qualche senzatetto. Recentemente, dopo insistenti segnalazioni, sono stati avviati i lavori di ripristino che prevedono, fra i vari interventi, la dotazione di grate anti intrusione e la pulizia dei marmi al fine di restituirli al loro primitivo decoro.
Il Vico dei Tre Re Magi prende il nome dall’omonimo Oratorio raso al suolo durante la seconda guerra mondiale.
L’Oratorio fu eretto nel 1365 e poi ricostruito in forme barocche nel 1611. Nei primi decenni del Novecento venne concesso a privati ed adibito a fabbrica di mobili. Alcune opere d’arte al suo interno sono state recuperate e conservate presso il vicino museo di S. Agostino, altre purtroppo, sono andate irrimediabilmente distrutte: degli affreschi di Lazzaro Tavarone, Luca Cambiaso e di Bernardo Castello di cui parlano gli storici dell’arte, non si ha più traccia.
Le vicende di questo edificio possono essere assurte ad emblema dell’ignoranza e della superficialità con cui i cementificatori del secolo scorso hanno gestito i beni comuni e distrutto interi quartieri dalla storia millenaria, cancellando le contrade dei Lanaioli, dei Servi, della Madre di Dio e della Marina.
Forse per questo gli abitanti del centro storico proprio qui, nel cuore di Sarzano, dove tutto un giorno ebbe inizio, hanno collocato la loro “Colonna Infame”.
Posta all’angolo con Via del Dragone (nello spiazzo dietro l’abside di S. Agostino) nella prima parte omaggia la più celebre descrizione della nostra città:
“… Arrivando a Genova / Vedrai Dunque / una Città Imperiosa, / Coronata da Aspre Montagne, / Superba per Uomini e per Mura, / Signora del Mare/ Francesco Petrarca 1358, a Cura dei Genovesi / del Centro Storico / Giugno 1990
Sotto prosegue…
“Male non Fare / Paura non Avere”. 1945 1981 – A Vergogna dei Viventi e a Monito / dei Venturi Come Usava ai Tempi / della Gloriosa Repubblica di Genova / Dedichiamo Questa / Colonna Infame / all’ Avidità degli Speculatori / e alle Colpevoli Debolezze / dei Reggitori della Nostra Città. Con Vandaliche Distruzioni Hanno / Cancellato Tesori di Arte e di Storia / Eliminando Interi Quartieri / del Centro Storico Marinaro ed Artigiano / Deturpando per Sempre la Fisionomia / della Città fino all’Inaudito Gesto / di Demolire la Casa Natale di Nicolò Paganini. Essi Hanno Così Disperso la Popolazione / di Questi Quartieri con l’Infame / Risultato di Sradicare le Fiere Tradizioni / che Fecero Genova Rispettata e Potente.
I Genovesi dei / Quartieri della. “Marina” / “Via Madre di Dio” / “Via del Colle” / “Portoria” / “Sarzano e Ravecca”.
… alla base della colonna, conclude poi con le amare parole di un grande musicista:
“Non ci Sarà Mai Più un Secondo Paganini” / Franz Liszt.
A proposito di Paganini in Vico Gattamora sotto l’edicola che ornava la casa natale del celebre violinista era affissa una lapideche recitava:
“Alta Ventura Sortita ad Umile Luogo / in Questa Casa/ il Giorno XXVII di Ottobre dell’Anno MDCCLXXXII / Nacque / a Decoro di Genova a Delizia del Mondo / Nicolò Paganini / nella Divina Arte dei Suoni Insuperato Maestro”.