All’incrocio tra vico Campo Pisano e vico superiore di Campo Pisano si trovava un tempo un teatro particolarmente caro ai genovesi: il teatrino gestito da Nicola Tanlongo, in arte Ö Feûgo che, insieme al fido aiutante Cincinina allestiva qui spiritosi spettacoli di burattini.
L’attività cessata a causa della guerra riaprì i battenti, purtroppo senza successo, negli anni 80′ del secolo scorso.
Oggi i locali dell’antico locale sono stati trasformati in ristorante.
In Copertina: Vico superiore di Campopisano. Foto di Antonio Corrado.
Intorno all’origine del termine genovese massacan che significa muratore in italiano, nel corso dei secoli sono fiorite diverse leggende.
Ad esempio quella legata al magico luogo di Campopisano che ha fornito spunto per una colorita spiegazione secondo la quale i Nobili genovesi portavano i loro figli a guardare i prigionieri ivi alloggiati mentre faticavano e, indicandoli dicevano con disprezzo:”Mia sta massa de can” (Guarda questa massa di cani).
D’altra parte che tra i due popoli non corresse buon sangue è testimoniato dal vecchio adagio che recita:
“Meglio un morto in casa che un pisano all’uscio”.
Altre fonti raccontano invece di un attacco turco alla città nel ‘500 sventato dalla prontezza e dal coraggio degli operai che stavano lavorando alla costruzione di porta Siberia, o meglio, del Molo.
Costoro avvistarono i saraceni all’orizzonte e al grido di “massa i can” (ammazza i cani) saltarono sulle galee e li respinsero.
Secondo i glottologi invece queste sono solo fantasiose ipotesi perché l’origine della parola, per la prima volta citata nel 1178 in relazione ad un tal Anrico Maçacano, magister antelamo savonese (cioè tagliapietre) che esercitava tale professione, risale all’etimo diffuso anche in altre lingue e dialetti con il significato di “ciottolo, pietra arrotondata” della quale ci si serviva per scacciare (ed eventualmente ammazzare) i cani molesti.
Da qui il passaggio a “sasso” in genere, poi a “pietra da costruzione” e infine, per estensione, nell’area ligure a “muratore”.
Se già in alcuni documenti savonesi nel 1272-1273 il termine significava “pietra da costruzione”, lo si trova per la prima volta in volgare genovese nel 1471 e poi nel 1475 legato ai magistri antelami che operavano a Caffa in Crimea.
(Piccolo dizionario etimologico ligure” del Prof Fiorenzo Toso ed. Zona 2015).
In Copertina: Cantiere medievale. Bibbia Maciejowski. Immagine tratta da historiemedievali.blogspot.com
Prima del 1284, l’anno della Meloria, quando i prigionieri pisani vennero tradotti in città, l’area era identificata come Campus Sarzanni e fino a gran parte del ‘400, fu adibita a cimitero per poveri e pellegrini.
Fu solo a fine secolo che si iniziarono a costruire, slanciate e accatastate le une alle altre, le prime case.
Vista la loro inusuale altezza, osservate dal mare, dovevano proprio ricordare gli odierni grattacieli di una metropoli scolpita nella pietra e aggrappata alla scogliera.
“Andiamo al Campo Pisano: ivi i tredicimila prigionieri fatti alla Meloria cainesca e le larve disperatissime dei tremila uccisi fecero ringhiare il proverbio tremendo: – Chi vuol veder Pisa vada a Genova“.
Cit. Ambrogio Bazzero scrittore (1851 – 1882).
In realtà i prigionieri fatti alla Meloria furono circa 9000, probabilmente lo scrittore aveva conteggiato un numero più alto includendo i catturati delle numerose altre battaglie avvenute in quegli anni con l’odiata rivale.
Le edicole votive nel centro storico costituiscono una preziosa istantanea non solo architettonica e religiosa del loro tempo ma rappresentano anche un originale pretesto per raccontare storie, fatti, leggende di cui sono state silenti testimoni:
Narra, ad esempio, un’antica leggenda che due guardie stavano conducendo in catene verso il Palazzetto Criminale un prigioniero che continuava a professarsi a squarciagola innocente.
Una volta giunti in Campopisano il detenuto si gettò ai piedi davanti ad un’edicola dichiarando la propria estraneità in relazione ai reati per i quali era imputato.
Alzò le mani al cielo e, quando in un fragore assordante, le catene si ruppero di colpo, i militi gridarono spaventati al miracolo.
Di fronte a tale manifestazione divina infatti decisero di lasciare subito libero il mal capitato ma il galeotto non ne volle sapere.
Questi pretese di essere regolarmente processato e prosciolto da ogni accusa direttamente dal tribunale.
L’immagine della Vergine protagonista di questo portentoso accadimento, tramandato nei secoli, assunse il nome di “Madonna del Galeotto”.
Quale sia l’edicola in questione rimane ancora d’incerta attribuzione: secondo alcuni sarebbe quella vuota presente sotto l’arcata del ponte di Carignano, secondo altri invece sarebbe quella posta in Vico Superiore di Campopisano al n. 3.
La prima, in muratura, conteneva una statuetta cinquecentesca della Madonna del Rosario, sostituita con un calco di Madonna con Bambino del sec. XVIII. La statuetta oggi è custodita presso la vicina ex chiesa di San Salvatore.
La seconda, collocata in una nicchia semicircolare, accoglie la statua marmorea, purtroppo mutila in alcune sue parti, della Madonna con Bambino e San Giovannino.
Quale che sia la vera Madonna del Galeotto, ogni edicola ha la sua suggestiva storia da raccontare.