Piazza delle Lavandaie

In fondo a Ravecca, ormai giunti a S. Agostino dietro vico del Dragone, si trova la piazza delle Lavandaie.

Nonostante i recenti restauri la zona non ha goduto di significativi miglioramenti.

Assenza di negozi e di attività commerciali contribuiscono all’impoverimento di questa parte del tessuto cittadino che potrebbe invece essere meglio valorizzata.

Le edicole votive sono tristemente penzolanti e abbandonate sui muri.

I truogoli rimossi dal Comune a metà anni ’80 sono solo un lontano ricordo come il vociare delle lavandaie la cui presenza è all’origine del toponimo.

In Copertina: Piazza delle Lavandaie. Foto di Stefano Eloggi.

Edicola in Vico del Dragone 43r

Percorrendo Via Ravecca, giunti quasi all’altezza di Piazza Sarzano, si trova il Vico del Dragone, un caruggio come tanti, il cui toponimo fornisce però curiosi spunti narrativi.

I membri della famiglia Dragoni o Dragone, di origine umbra, si distinsero come valorosi cavalieri gerosolimitani durante le crociate e per questo, sul loro scudo, potevano esibire con legittimo orgoglio le insegne con tre teste di drago. Numero di teste che venne ridotto a una sola adagiata sul corpo di una colomba da Confidato Dragoni sostenitore, prima dell’Imperatore, e poi di Papa Innocenzo II.

Secondo un’altra versione l’origine dell’etimo del caruggio deriverebbe invece dalla presenza in loco dei Draconari. Costoro erano portatori di labari con sopra dipinti dei dragoni simbolo dell’eresia. I membri di questa misteriosa confraternita non solo partecipavano a processioni e a riti esoterici ma accompagnavano anche le spedizioni militari.

In Vico Dragone 43r. si può notare una cornice lineare in stucco con tettuccio in rilievo completamente vuota.

Del dipinto una volta esposto all’interno non sono riuscito a trovare notizie.

Storia di Crociati… di una Confraternita… e di una camicia rossa…

Percorrendo Via Ravecca, giunti quasi all’altezza di Piazza Sarzano, si trova il Vico del Dragone, un caruggio come tanti, il cui toponimo fornisce però curiosi spunti narrativi.

I membri della famiglia Dragoni o Dragone, di origine umbra, si distinsero come valorosi cavalieri gerosolimitani durante le crociate e per questo, sul loro scudo, potevano esibire con legittimo orgoglio le insegne con tre teste di drago. Numero di teste che venne ridotto a una sola adagiata sul corpo di una colomba da Confidato Dragoni sostenitore, prima dell’Imperatore, e poi di Papa Innocenzo II.

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“La targa di vico del Dragone”.

Secondo un’altra versione l’origine dell’etimo del caruggio deriverebbe invece dalla presenza in loco dei Draconari. Costoro erano portatori di labari con sopra dipinti dei dragoni simbolo dell’eresia. I membri di questa misteriosa confraternita non solo partecipavano a processioni e a riti esoterici ma accompagnavano anche le spedizioni militari.

In Vico Dragone 43r. si può ammirare una cornice lineare in stucco completamente vuota del cui dipinto una volta esposto all’interno non sono riuscito a trovare notizie.

Pochi metri più in là è affissa un’ottocentesca lapide che recita:

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“Lapide affissa sulla casa natale di Bartolomeo Savi”.

“Nacque in questa casa,
il VI gennaio MDCCCXX
Francesco Bartolomeo Savi
carcerato per tentativo del 1857
prode dei Mille
apostolo della fede mazziniana
sino alla morte
XXX marzo MDCCCLXV
nel vigesimo anno di Roma liberata il Circolo del pensiero”.

“Armi e divise garibaldine presso il Museo Risorgimentale”.

Bartolomeo Savi fu insieme a Nino Bixio uno dei fondatori della Società del Tiro a Segno della Foce che, sotto questa copertura, era il centro di reclutamento delle camicie rosse. Alcune sue lettere private e indirizzate all’eroe dei due mondi sono custodite presso l’archivio del Centro Sociale di Storia Sociale di Palazzo Ducale. La sciabola e il ritratto del valoroso combattente garibaldino sono conservati presso il Museo del Risorgimento, la Casa di Mazzini in Via Lomellini.

Bartolomeo fu anche animatore dell’organizzazione operaia e tra i fondatori del giornale mazziniano “Italia e Popolo”; partecipò al fallito moto insurrezionale genovese del 1857, a causa del quale finì in carcere. Beneficiato da un’amnistia si arruolò nelle file dei Carabinieri genovesi come luogotenente del comandante Antonio Mosto; partecipò alla spedizione dei Mille durante la quale rimase ferito a Calatafimi; sfruttò la sua attitudine di cronista occupandosi di inviare al giornale “Unità d’Italia” accalorate corrispondenze di guerra. Seguì Garibaldi fino al giorno che, dopo l’Aspromonte, tutto gli parve falsato. Malato e depresso, di lì a poco, tediato della vita si uccise sparandosi un colpo alla testa.

Il giornalista garibaldino riposa in pace, poco distante dal suo Generale, Boschetto Irregolare del Cimitero Monumentale di Staglieno.

 

“Ritratto di Bartolomeo Savi”.
“Monumento funebre di Bartolomeo Savi nel Boschetto Irregolare del Cimitero di Staglieno”.

In copertina: vico Dragone. Foto di Stefano Eloggi.