Storia di una Moschea… anzi due… terza parte…

forse sei… di un Imam… di Galee…
continua… terza e ultima parte…
Evidentemente le lamentele del Papasso ottennero il loro scopo se, di lì a poco, la Repubblica ricevette una missiva di Bogo, console di Tunisi, in cui il diplomatico informava la Superba del fatto che il re di quel paese aveva minacciato, come ritorsione, di rendere schiavi tutti i Genovesi liberi presenti in città.

"Moschea di Vico Fregoso, una dei tanti centri islamici presenti nel centro storico".
“Moschea di Vico Fregoso, una dei tanti centri islamici presenti nel centro storico”.

Il Papasso intanto, oltre che paventare nuove lettere di protesta, pretendeva di avere un trattamento diverso, privilegiato, rispetto agli altri schiavi “passando in minacce contro molti e, in particolare, contro il Padre dei Cappuccini, incaricato, per conto del Magistrato delle Galee, di tenere “cordiali” i rapporti.
L’Imam, nel frattempo, si era proclamato “direttore” (colui che detiene il banco) in Darsena del Gioco del Biribis (gioco d’azzardo simile alla lotteria) scontrandosi anche con personaggi della nobiltà che non disdegnavano le scommesse.
Fu allora che le Autorità cittadine misero fine alla “querelle” costringendolo in catene, al pari degli altri schiavi, per lunghi e duri sedici mesi sulle galee.
Il Senato scrisse ai consoli di Francia, Inghilterra, Spagna e Olanda che a Tunisi, Tripoli e Algeri smentissero le insinuazioni del Papasso…
Forse l’Imam, non aveva tutti i torti, ma aveva “tirato troppo la corda” e i Genovesi di quel tempo non erano certo usi “a farsi menar per il naso”…

galata
“Expo 1914: ricostruzione della trecentesca Torre Galata, cuore e simbolo di Istanbul, eretta dai Genovesi a protezione del loro quartiere.”

Nel 1914, in occasione dell’Expo genovese, l’architetto fiorentino Coppedè, per meglio descrivere lo spirito della manifestazione, concepì all’interno dei padiglioni una Moschea e la Torre Galata, simboli della tolleranza, della potenza e dell’intraprendenza dei Genovesi nei secoli.

 

Storia di una Moschea… anzi due… prima parte…

forse sei… di un Imam… di galee…
Già almeno dal ‘200 la Dominante aveva concesso libertà di culto agli arabi di stanza o di passaggio in città.
Come testimoniato dalla Sura scolpita in cufico presente nella Cattedrale di S. Maria in Castello, i rapporti fra le due culture, nonostante le continue guerre e scorribande sulle due sponde del “mare nostrum”, sono sempre stati proficui e tolleranti.
Oltre che mercanti a Genova non mancavano scribi, traduttori e agronomi musulmani.
Probabilmente già da prima, ma sicuramente dal ‘600, gli infedeli avevano ottenuto il permesso di edificare una moschea nel cuore della Superba, proprio davanti alla Darsena (darsena deriva dall’arabo e significa “casa del lavoro”) presso l’attuale palazzo di Scio (Facoltà di Economia).
Oggi i resti di una colonna del Tempio, in pietra di Promontorio, delimitano un’aula del complesso chiamata, appunto, “sala della Moschea”.
Secondo alcune fonti le moschee sarebbero state addirittura sei ma i documenti accreditati raccontano di due; oltre a quella di cui resta traccia la colonna si sa di un altro luogo di culto, sempre in porto, ma di epoca posteriore (‘700) all’altezza dell’attuale depuratore.
Nel ‘700 gli arabi ottennero persino un quartiere tutto loro, ubicato vicino alla spiaggia della Foce, dove esercitare anche il diritto di sepoltura.

“Piazza Caricamento… il momento della preghiera… Genova negli anni ’70 fu la prima città italiana a permettere la costruzione delle moschee… Oggi nel centro, anche se in forme e dimensioni diverse, ve ne sono almeno una decina”.


Nella capitale del Mediterraneo minareti e muezzin convivevano con campanili e Cardinali;  ma le regole erano ben chiare e non c’era perdono per la disobbedienza,
la durezza delle galee genovesi fungeva da ottimo deterrente
a tal punto da far annotare nei suoi appunti, ancora nel 1785, allo scrittore francese Dupaty:

“Ma cos’è questa specie di prigione… com’è bassa, oscura e umida!.. Che animali sono questi qui coricati per terra… non mangiano altro che pane duro e nero? non bevono che acqua putrida e fangosa?… da quanto si trovano in questa condizione?… almeno vent’anni… Come li chiamate voi?… miserabili Turchi…”
“Tuttavia i Genovesi hanno dato un esempio di tolleranza… hanno accordato a questi Turchi una Moschea.
Turchi che ho visto contendersi gli avanzi del cibo ai cani.
In Francia i Protestanti non hanno templi…
Genova, i tuoi palazzi non sono abbastanza alti, né abbastanza ampli, né abbastanza numerosi, né abbastanza splendenti: si distinguono le tue galee…
fine prima parte continua…

 

Link utili:

Santa Maria di Castello

Storia di una Moschea… anzi due… seconda parte…

 forse sei… di un Imam… e di galee…
Si sa per certo che, in pieno ‘700, la comunità islamica incaricò il proprio Imam della Darsena, dai genovesi per scherno soprannominato “Papasso”, perché mediasse con le autorità cittadine.
Nel 1739 questi, stanco di non essere ascoltato, scrisse una lettera al Bey di Tunisi denunciando che: “a Turchi qui schiavi non si permetteva l’esercizio della loro fede, ai vecchi impossibilitati al travaglio non si desse da mangiare, agli infermi non si prestasse assistenza et anzi che per forza si facessero fare Christiani e che, per ultimo, li detti schiavi erano necessitati di pagare per essere sepolti.
E che per questo si apprestassero a Christiani schiavi in Tunisi i più inumani trattamenti.”
Della missiva venne a conoscenza padre Serrano, amministratore dell’ospedale di Tunisi, il quale subito ne informò del contenuto il Magistrato delle Galee di Genova.
Costui furibondo, temendo un incidente diplomatico, predispose un documento di smentita da far firmare a tutti gli schiavi della Darsena.
Istigati dal Papasso, che pure ne ammise la veridicità, nessuno lo sottoscrisse almeno fino a quando, parole dell’Imam, “a vantaggio degli schiavi, non gli si accordasse quanto voleva, sapendo quello che i Christiani passano in Algeri, e che se li Genovesi tratteranno male li schiavi Turchi, faranno essi peggio a Christiani”.
Il Papasso presentò così un vero e proprio decalogo di richieste:
Primo. “la costruzione di una nuova e più grande Moschea il cui accesso fosse interdetto al Magistrato delle galee.

moschea
“Fotomontaggio provocatori0 del Secolo XIX che immagina la nuova Moschea, con tanto di Minareto, all’Expo, cuore del Porto Antico.”

Secondo. permesso a tutti gli schiavi di andare in “branca” (gruppo in catene), sorvegliati dalla guardia, a vendere in Riviera per poi rientrare alla sera.
Terzo. di tenere magazzini in Sottoripa e sul piano di S. Andrea e di poter vendere qualunque mercanzia in giro per la città.
Quarto. proibire alle guardie di perquisirli al rientro presso le loro baracche e di arrestarli nel caso in cui fossero stati trovati in possesso di acquavite.
Quinto. Che in Genova, Corsica e nelle Riviere gli schiavi “in branca” si potessero muovere senza limitazione alcuna di tempo e numero.
Sesto. il permesso di andare all’ospedale, starvi tutto il giorno a servire gli schiavi infermi, vegliando che non si convertissero in Christiani.
Settimo. quando uno schiavo turco moriva chiedeva che non si pagasse per la sepoltura né il lavoro degli addetti che dall’ospedale trasportavano il cadavere in Darsena.
Ottavo. che si lasciasse immediatamente libero lo schiavo che pagava il riscatto.

"Ricostruzione con la Moschea in primo piano e, sullo sfondo la Lanterna. Lo skyline potrebbe essere molto simile a quello di Instanbul."
“Ricostruzione con la Moschea in primo piano e, sullo sfondo la Lanterna.
Lo skyline potrebbe essere molto simile a quello di Istanbul.”

Nono. “che gli si accordassero le cose necessarie, e che se gli si mancava di parola avrebbe saputo cosa fare, avendo in Turchia credito la sua lettera, e non quella degli altri schiavi.”
Decimo. concludeva infine minacciando che a Tunisi e ad Algeri, finché le sue richieste non fossero state accolte, i Christiani sarebbero rimasti in miserevole condizione.” … fine seconda parte… continua….

In Copertina: La Moschea Blu di Istanbul con i suoi suggestivi minareti.