“La Congiura dei moccolotti”…

Verso la metà del ‘200 Genova è al centro delle mire imperiali di Federico II. Poiché il governo cittadino è filo papale anche all’ombra della Lanterna si ripropone così il conflitto fra Ghibellini e Guelfi che qui si chiameranno Mascherati i primi, Rampini i secondi.

Papa Grergorio IX indice per la Pasqua del 1241 il Concilio generale a Roma e incarica i genovesi di occuparsi del trasporto via mare dei prelati del nord Italia e dell’Europa Occidentale. Naturalmente, fiutando i lauti guadagni che avrebbe garantito la commessa, e non solo per spontaneo afflato religioso, i nostri avi accettano di buon grado la proposta.

La fazione imperiale intestina alla città, nascosta (da qui forse il termine “mascherati”), capitanata dagli Spinola e dai Doria, trama contro i pontifici propositi.

L’imperatore si mette in contatto con i suoi seguaci attraverso un arguto ed ingegnoso stratagemma: nasconde le pergamene arrotolate delle missive in moccolotti di cera.

I moccoli erano destinati alla zona delle Grazie dove il materiale proveniente dal nord Europa veniva lavorato dalle numerose botteghe artigiane presenti nel quartiere.

In questo modo i ghibellini, certi di non destare sospetto, riescono a comunicare con gli infiltrati e ad essere informati sulla rotta che avrebbe dovuto tracciare la flotta genovese.

“Macchinario dell’antica ditta chiavarese di ceri Bancalari & Bruno dal 1592″. Alle Grazie, oltre tre secoli prima, l’ambiente non doveva essere molto diverso”.

Volle il caso che il comandante di un corpo di guardia del vicino presidio lamentasse ad uno di questi artigiani, la cattiva qualità della partita di ceri forniti. Fu così che rompendone uno accidentalmente, si accorse del compromettente contenuto.

Il piano imperiale viene smascherato ma ormai è troppo tardi: la flotta genovese di Jacopo Malocello viene sorpresa e schiantata presso l’isola del Giglio da quella pisana, in forza all’Impero e dalle galee dei fratelli Ansaldo e Andreolo, a questa alleati. I due ammiragli genovesi fuoriusciti speravano così, con il favore dell’imperatore alemanno, di sostituirsi a capo degli attuali governatori cittadini. Delle trenta navi cariche di cardinali solo cinque si salvano dalla cattura rendendo di fatto impossibilitato il Concilio. Gli illustri prigionieri verranno sbarcati a Napoli e rinchiusi nel Castel dell’Ovo.

Allo scoramento e alla delusione si sostituiscono presto la rabbia e la voglia di vendetta contro i traditori, in particolare i bottegai, rei di aver collaborato con il nemico.

Costoro riescono, per loro fortuna, a dimostrare la propria innocenza ed estraneità ai fatti e, per confermare la veridicità delle loro parole, si offrono di illuminare anche di notte, a loro spese, i cantieri sulle spiagge e contribuire così all’ambizioso progetto di ripristinare la flotta nel minor tempo possibile.

In un breve periodo, con zelo e velocità impensabili, vengono così approntate cento navi di cui ben 83 galee in assetto da guerra al comando delle quali si pone il Podestà bresciano Corrado di Concessio…

continua…

In Copertina: Illustrazione trecentesca del miniaturista lucchese Giovanni Sercambi.

“Genova è bella sempre…”

Nel gelido gennaio del 1922 l’artista arrivò in una Genova imbiancata dalla neve. Scese dal treno alla stazione di Piazza Principe, accompagnato da un suo allievo di nome André Maire. Avvolto in un mantello di loden grigio indossava un vestito scuro che gli conferiva un’aria al contempo elegante e fascinosa. Nei mesi in cui dimorò a Genova prese alloggio in una modesta stanza in Piazza Embriaci, all’ombra della maestosa torre, proprio accanto al cuore del vecchio centro medievale della chiesa di S. Maria di Castello.

“Autoritratto del 1897 del pittore”.

 Nonostante avesse ormai scollinato i cinquant’anni, si muoveva agile e furtivo, come un ratto tra i caruggi, dove non perdeva occasione per dipingere e disegnare le meraviglie della città vecchia. Trascorreva gran parte del suo tempo al coperto delle volte studiando le chiese oppure, all’aria aperta, prendendo appunti e immortalando scorci in schizzi e bozzetti. Il suo nome era Emile Bernard, pittore francese neo impressionista, fondatore del movimento simbolico insieme a Gauguin, amico e collega di Toulose Lautrec, Van Gogh e Cezanne.

Frequentava una vicina osteria nella zona delle Grazie dove consumava pasti frugali confondendosi e chiacchierando volentieri con la gente del porto. Anche se rincasava tardi, trascorreva qualche ora, ospite al caldo nella cucina della padrona di casa, intento nel riordinare e correggere, assistito dall’allievo, gli acquerelli e i carboncini prodotti durante la giornata.

“L’edizione dei Fiori del mare di Baudelaire, illustrata da Bernard”.

Fra le tante opere dell’artista si segnalano le particolari  illustrazioni fatte per l’edizione della Stamperia Nazionale di Parigi del “Le fleur du mal” di Baudelaire ed una copiosa produzione di tele e stampe esposte nei principali musei europei.

“Illustrazione di Bernard della femmina dannata nel Fleur du Mal di Baudelaire”.

Bernard era anche uno scrittore, con lo pseudonimo di Jean Dorsal infatti, pubblicò diversi volumi di liriche, saggi storici e di critica artistica. Fra quest’ultime compilò anche una preziosa monografia dedicata al Magnasco, pittore genovese per il quale nutriva una sincera e profonda ammirazione.

Compose circa 20 sonetti in francese ispirati dalla misteriosa bellezza di Genova che pubblicò in una raccolta, prodotta in soli cento esemplari, intitolata “Figurations eternelles”.

Bernard partì, a fine primavera, in una mattina di sole, una di quelle giornate in cui benedici il Signore per averti fatto nascere qui, promettendo a tutti quelli che avevano avuto l’onore di conoscerlo, che sarebbe tornato a Genova. Uscendo dal portone di Piazza Embriaci sollevò la mano in segno di saluto alla torre merlata e prese commiato dalla chiesa. Intorno alla torre che si stagliava superba nel nitido cielo primaverile, svolazzava uno stormo di colombi.

Emile rimase qualche attimo a guardare, con il volto all’insù poi  incamminandosi verso Via dei Giustiniani confidò al suo accompagnatore: “Cercherò di ricordare Genova così, come mi ha salutato, con questo girotondo di ali attorno alle vecchie pietre e, ormai in presa alla malinconia, aggiunse: “Ma non dimenticherò neppure il mio primo incontro con Genova, che ho conosciuto di notte, tra turbini di neve”. Concluse infine con un tono che non ammetteva repliche: “Genova è bella sempre…”.

“Disegno a matita della Commenda di Prè”.

Il frutto di quell’intenso soggiorno fu una mostra personale del pittore in una galleria parigina di grido dove “la Genova di Bernard”, riscosse un consenso bulgaro ed un successo inaspettato.

“Genova è bella sempre…”

 

 

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