“La Vittoria…”

Al largo di Levanto e Portovenere i genovesi, davanti all’isola di Tino fra l’incredulità del nemico, si prendono rivincita sconfiggendo nell’estate del  1242 i due De Mari e i Pisani.

Ursone da Sestri, notaro, diplomatico ed annalista del Comune, così descrisse nell’ “Historia de victoria quam Ianuenses habuerunt contra gentes ab imperatore missas”, in maniera propagandistica ma certo accorata e partecipe, la fuga del nemico:

“Apre la fila, con le prospere insegne della croce e il comandante a bordo, la nave ammiraglia che solca leggera le acque; segue poi il resto della flotta mantenendo l’ordine e la velocità prestabiliti… così avanza a forza di remi la flotta, desiderosa di precipitarsi sul nemico. Con quale gioia e baldanza, vigore e contegno, con quale convinzione va in guerra l’inclita gente! Come fu desiderosa e pronta a prendere le armi! Com’è bene armata la schiera delle navi! Come risplende di scudi, da quanti eroi è protetta!

Sembra l’esercito di un regno, non di una sola città, tanto è il numero dei manipoli e delle coorti…

“L’isola di Tino davanti alla Palmaria”.

Mentre si avvicinano, pensano già di piombare sui nemici, spezzarne con il ferro le vane minacce, di soffocare con la destra la loro vuota loquela: per loro è vergognoso combattere a parole e vincere con la lingua, senz’armi! Mentre sulle prue vengono alzate le insegne, che annunciano l’imminente conflitto e un concreto presagio di guerra, il nemico freme di paura, e all’istante abbandona il litorale lasciando deserta la spiaggia; ma non impunito… Di fronte a schiera così imponente, a insegne sfolgoranti sul mare, a navi così perfettamente armate per la guerra, il nemico non osa volgere le prue in direzione dello scontro, teme di affidare la vita ad un incerto destino; immemore dell’antico fasto e delle precedenti vanterie, e senza più rispettare i suoi vani proclami, inverte la rotta e fugge tremante, solca il mare con i remi affidandosi alla fuga invece che al proprio valore… Dove fuggi, Pisano? Dove scappi Aquila imperiale, dove ti affretti? Non vieni a combattere? Ammaina le vele, lascia i remi e incrocia le spade in battaglia! Fermati, cessa la fuga, ricordati delle tue minacce! Perché fuggi con gli scudi ancora vergini e le armi intatte? Non arrossisci a scappare dopo aver tanto abbaiato? Inverti la rotta miserabile, comportati da uomo! Vergognati, dopo tanti proclami, a esser vinto senza lotta. Allora a gran forza Genova insegue i fuggiaschi, li incalza da tergo e aggiunge le vele ai remi, si affligge e rammarica di una vittoria senza combattimento, si affanna e smania e sempre più si adira di un successo ottenuto senza spargere sangue, di un cammino aperto senza usare la spada, di non avere usato le armi, incrociato le armi, scaraventato sui nemici le aste, lasciando sui loro scudi i segni della sua spada”.

L’anno successivo sale al soglio pontificio Sinibaldo Fieschi, al secolo Papa Innocenzo IV che, come il suo predecessore incarica nuovamente i genovesi dell’organizzazione del Concilio. La flotta genovese nel 1244, al comando del Podestà Filippo Vicedomino, dopo infinite schermaglie, sfugge al controllo imperiale e a Civitavecchia imbarca il Pontefice, travestito da cavaliere e tutti i Cardinali superstiti alle rappresaglie imperiali. Giunti a Genova l’illustre corteo prosegue verso Lione da dove il Papa scomunicherà Federico II e tutti i suoi alleati. La rivincita è completata e il Concilio, finalmente realizzato, segnerà l’inizio della fine del sovrano alemanno, sconfitto poi definitivamente  nel ‘48 nei pressi di Parma, grazie anche al decisivo contributo di 600 agguerritissimi Balestrieri genovesi.

Da allora, dopo questa leggendaria impresa, i Genovesi rispolverarono con rinnovato orgoglio le insegne, in realtà in vigore già dal 1193, con l’inequivocabile motto: “Griphus ut has angit, sic hostes Ianua frangit”.

Sul relativo stendardo il Grifone artigliava con una zampa l’aquila simbolo imperiale alemanno e, con l’altra, la volpe simbolo dell’odiata nemica, Pisa.

In copertina galea genovese del XVII sec.