Storia di lepri… di case chiuse… di azulejos…

Anticamente nelle mappe la contrada era indicata come Piazza della Foglia a causa della presenza di una bottega di foglie di granoturco, meliga in lingua genovese, utilizzate per l’imbottitura dei pagliericci. Il toponimo mutò intorno al 1795 per via di una locanda esistente in loco dal 1774 rinomata per la preparazione di selvaggina e cacciagione.

Non è da escludere tuttavia il legame con il casato della famiglia Lepre che nel Medioevo aveva qui le sue proprietà. Il vicolo che inizialmente era la prosecuzione del Vico della Torre delle Vigne, solo nel 1864 assunse l’attuale denominazione rimasta legata nella toponomastica cittadina per la presenza fino al 1958 di una delle più apprezzate case di tolleranza della città.

“Il Portale in pietra nera del civ. 9”. Foto di Leti Gagge.
“Rivestimento in azulejos del civ. n. 9”. Foto di Leti Gagge.

Al civ. n. 9 si può ammirare lo splendido portale in pietra nera con medaglioni imperiali fra nastri svolazzanti del Palazzo Grimaldi Di Negro. La dimora che al suo interno custodisce una delle meglio conservate testimonianze di rivestimento, lungo le prime tre rampe di scale, in azulejos. La trave è ornata con due angeli alati che sorreggono uno stemma abraso a forma di cavallo. Oltre alle pissidi, nei sovra capitelli, si notano degli uccelli esotici, forse cicogne. Al vano scale, decorato con un paio di lapidi in pietra nera, si accede attraverso una cornice ad arco tondo del medesimo materiale con fregi di fogliame a spirale. La scala è adornata con colonne fornite di capitelli e con balaustre marmoree.

“Rampa di scale con pavimento in pietra nera e rivestimento in azulejos del civ. n. 9”. Foto di Leti Gagge.
“L’antica numerazione a sestieri”.

Vicino al portale in alto è ancora leggibile il numero 400 che ci riporta all’antica numerazione divisa in sestieri, antecedente quella ottocentesca introdotta dai Savoia che ancora oggi utilizziamo.

“Portone interno, ballatoio a rombi marmorei bianco neri e azulejos del civ. n.9”. Foto di Leti Gagge.
“Spettacolare rivestimento in azulejos del civ. n. 9”. Foto di Leti Gagge.
“Portale con i sovrastanti archi tamponati”.

Guardando verso l’alto, al livello del secondo e terzo piano, subito si notano i resti di archi in pietra bicroma successivamente tamponati e riempiti con finestre posticce. Fra queste risalta quella del primo in marmo con doppio arco tondo e colonnine con al centro il rilievo di una testa imperiale.

“Rampa di scale del civ. n. 9”. Foto di Leti Gagge.
“Portone e colonne del civ. n. 5”.

Anche l’accesso a Vico Lepre n. 5 è impreziosito da un altro portale marmoreo del XVI sec. con semi colonne ioniche scanalate. Sul trave, fra piccole cornucopie onuste di frutti e conchiglie, si affacciano due mascheroni ghignanti. Forse a ricordarci che i suoi abitanti erano signori della terra e del mare. Al centro campeggia il cartiglio che recita: “Qvodcvnqve Boni Egeris / Ad Devm Referto”.

Trad. “Riferisci a Dio qualunque cosa avrai fatto di bene”

“Suggestiva inquadratura di azulejos in primo piano e fra le colonnine della balaustra del civ. n. 9”. Foto di Leti Gagge.

E sicuramente bene svolgevano la loro professione le ragazze appunto del Lepre, la casa di tolleranza nota fra i suoi clienti anche con il poetico nome di “Casa dalle persiane chiuse”, che qui aveva sede.

“Decori in azulejos recentemente restaurati del civ. n. 9”. Foto di Leti Gagge.
“Ancora azulejos del civ. n. 9”. Foto di Leti Gagge.

Il centro storico fino all’abolizione delle case chiuse sancita dalla famigerata Legge Merlin pullulava di bordelli: ad esempio in vico Basadonne, vico delle Fate, vico Lavezzi, vico Spada e Vico dei Castagna frequentati dalla clientela più alla buona mentre il Lepre, pur non essendo lussuoso come il “Mary Noire” sito in San Luca, o alla moda come il “Suprema” (detto anche “Cebà” dal nome della via nel cuore della vecchia Portoria), godeva di un certo prestigio e, sicuramente, beneficiava di una privilegiata ubicazione. Oggi la piazzetta ospita, in una sorta di ritorno alle origini, una genuina trattoria ed un chiassoso ritrovo della movida notturna cittadina.

A vegliare sulla contrada, all’angolo fra piazza e vico, si trova infine, protetta da una grata, una settecentesca edicola in stucco con al suo interno la statuetta della Madonna con il Bambino.

“Il Cielo in una stanza”…

… Storia di predoni… di banditori… di catapulte… di cantautori…di case chiuse…

Varcato l’imponente accesso di Porta Soprana a sinistra si sale verso Via Ravecca, dritto si scende verso Salita del Prione e a destra si procede lungo Via di Porta Soprana. Tra queste ultime due, sul piano di S. Andrea, ci si imbatte in un anonimo caruggio, uno stretto vicolo dal curioso toponimo: Vico delle Carabaghe.

Un tempo fino agli anni ’50 del ‘900, come testimoniato dai versi di Camillo Sbarbaro e dai racconti di Remo Borzini e Giancarlo Fusco, questa era una contrada affollata di rinomate case di tolleranza.

Non si sa se l’origine del nome “Carabaghe”  ovvero il calarsi le braghe di popolare memoria sia dovuta alla vocazione erotica del quartiere oppure se sia legata all’etimo della vicina Salita del Prione dove, a far calare le braghe, erano invece i predoni. Secondo alcuni storici infatti il toponimo deriverebbe dal latino barbaro “Predoni Castri”, poi “Montata Castri” che stava ad indicare la pericolosità del luogo, in mano ai briganti.

Altri studiosi propendono invece per  un’altra versione che nulla avrebbe a che fare con quanto sopra affermato. In cima alla salita era posta una grossa pietra, “Prion”, sulla quale il cintraco, il banditore urlava i suoi proclami alla cittadinanza.

Quasi sicuramente invece l’interpretazione corretta deriva dal cinquecentesco utilizzo di piccole catapulte, denominate “calabrage”, che servivano per lanciare, sul nemico, oltre le mura, sassi di piccole dimensioni. Gli strumenti bellici venivano quindi, data la vicinanza alla Porta, ricoverati nell’attiguo caruggio che perciò ne assunse il nome, mutato nel tempo, in “carabaghe”.

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Salita del Prione. Foto di Giovanni Cogorno,

Al di là dei dibattiti sulla genesi della denominazione pochi sanno che in Vico dei Castagna, in fondo a Vico delle Carabaghe, il cantautore Gino Paoli trasse ispirazione, durante un suo incontro passionale, dalle pareti viole di un bordello, per scrivere la celeberrima “Cielo in una stanza” portata in auge da Mina.

Così, dall’amor profano e carnale, è nato quello romantico e poetico di “quando sei qui con me, questa stanza non ha più pareti, ma alberi, alberi infiniti…”