… di un ambasciatore.
Che la stirpe dei genovesi sia tutta particolare ce lo hanno ricordato in tanti. Solo per citare i più noti, da Dante a Jean Le Meingre (Maresciallo Boucicault), dai primi viaggiatori anglosassoni a Montesquieu.
A questo proposito c’è un racconto che assai si confà all’intima essenza dell’animo orgoglioso, rude e “rustego” dei nostri avi, avvenuto al tempo in cui, purtroppo, la Superba ricadeva sotto la signoria della casata milanese.
Si narra che nel 1476 un tal Francesco Marchese venne inviato in qualità di ambasciatore presso la corte di Gian Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano. Il rappresentante genovese aveva l’arduo quanto delicato compito di convincere il milanese a non ingrandire la fortezza del Castelletto, presidio dal quale quest’ultimo teneva in pugno, da monte, la città. Il previsto incontro diplomatico venne rimandato di qualche giorno causa improrogabili impegni del duca. I genovesi non la presero bene e pensarono un singolare dono, fuori da ogni protocollo, per rimarcare il loro disappunto.
Marchese gli aveva infatti fatto pervenire un vaso pieno di basilico. Galeazzo meravigliato e colto di sorpresa gliene chiese subito conto.
“La natura dei genovesi, signor duca, è simile al basilico. Maneggiato dolcemente profuma, maneggiato aspramente puzza e genera scorpioni”. Questa fu la lapidaria risposta dell’ambasciatore di San Giorgio.