I Pesci saê

Non è un caso che un vecchio detto popolare reciti: “chi sala le acciughe ad aprile perde il sale, le acciughe ed anche il barile”.
A me piace consumarli subito insieme al pane per gustarne tutta la marina sapidità. Altri preferiscono “ingentilirli”, per mitigarne la salmastra intensità, con un ricciolo di burro.

Ad inizio estate nelle case dei genovesi e dei liguri è tradizione procedere alla salagione delle acciughe, i pesci saê. Si inizia  già a maggio e a giugno ma il momento migliore è durante la luna piena di luglio perché le acciughe raggiungono in quel periodo la loro massima dimensione.

Non è un caso che un vecchio detto popolare reciti: “chi sala le acciughe ad aprile perde il sale, le acciughe ed anche il barile”.

Fondamentale per una corretta preparazione è la freschezza del pesce che deve essere, e non solo per questioni di gusto, ma soprattutto di salubrità, della nostra riviera: preferibilmente di Camogli o Monterosso.

Alle acciughe vanno tolte le teste, spezzando il pesce e tirando con le mani a livello delle branchie. Per essere sicuri che le interiora siano completamente pulite bisogna passare l’indice all’interno della pancia del pesce, aprendola e togliendo eventuali residui.

Ogni arbanella contiene circa un chilo e mezzo di prodotto e due chili di pesce necessitano di un chilo di sale grosso.

Si cosparge il fondo del vaso di vetro con un pugnetto di sale grosso, due cucchiai da cucina e poi si adagiano i pesci, in una fila da 12-14 pesci disposti testa-coda, con due o quattro pesci ai lati per riempire lo spazio rotondo che avanza ai lati della fila.

Si aggiunge poi un’altra presa di di sale per riempire i buchi fra i pesci e formare un leggero strato sovrastante. Per evitare pericolose bolle d’aria ogni tanto scuotere l’arbanella e aggiustare di sale laddove necessita.

In croce si fa un altro strato, ossia se hai fatto una fila dall’avanti verso di te, lo strato successivo lo fai da destra a sinistra. E lo strato successivo lo fai di nuovo dall’avanti verso di te. Si va avanti così, per 5-6-7 strati finché non si riempie l’arbanella fino a 2 cm dal bordo.

Giunti a questo punto si riempie di due centimetri di sale fino all’orlo, si mette una pietra piatta o un peso cilindrico di almeno 1 kg al fine di schiacciare il più possibile il contenuto.

Il pesce così salato, schiacciandosi al massimo, perde i propri liquidi interni e diminuisce di volume. Deve essere lasciato così schiacciato, al buio e aperto all’aria, per almeno un mese, meglio due.

L’arbanella può ora essere chiusa per limitare l’evaporazione del liquido ma il pesce deve rimanere comunque sempre schiacciato.

E’ sufficiente anche una comune pietra di mare piatta e rotonda da mezzo chilo. Quando il liquido evapora il pesce va coperto con una salamoia preparata al momento di acqua e sale.

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“Pesci saê conditi con olio, aglio e origano”.

Per la salamoia si fanno sciogliere a caldo due cucchiai di sale grosso in un bicchiere d’acqua che si lascia raffreddare e poi si aggiunge al bisogno. Per due mesi bisogna accertarsi che non si asciughi.

Trascorso il necessario periodo di “salagione” finalmente è possibile, secondo gli esperti per Ognissanti, procedere alla preparazione del pesce: si apre, pulisce e si toglie la lisca.

Io, dopo aver sciacquato i pesci saê con abbondante acqua corrente, li asciugo con cura sopra un tagliere di legno o carta assorbente e poi li dispongo a strati in un contenitore di vetro, ricoperti di olio extra vergine di oliva, aglio a scaglie e un po’ di origano.

Così sono già pronti come base per altre preparazioni, sughi o salse.

A me piace consumarli subito insieme al pane per gustarne tutta la marina sapidità. Altri preferiscono “ingentilirli”, per mitigarne la salmastra intensità, con un ricciolo di burro.

“Una piccola acciuga nel piatto vale più che un tonno in mare”. (Proverbio francese).

In copertina le mie acciughe con i tetti di Genova di sfondo.