Benedetto salpò da Genova il 10 giugno 1288 con le due sole navi avute in dote dalla Repubblica e, sapendo che si sarebbe dovuto confrontare con forze ben maggiori, si diresse subito alla volta di Focea dove ingaggiò altre due navi e in otto giorni allestì la sua nave preferita, la “Divizia”.
Davanti al porto di Tripoli, oltre alla flotta della principessa Lucia che rivendicava per ragioni ereditarie il possesso della città, si schierarono la galea del gran maestro dei Templari, una di quello degli Ospitalieri, una del siniscalco del Regno gerosolimitano e un’armata comune allestita da pisani e veneziani.
Il genovese non si scompose, entrò nel porto a gonfie vele pronto a sfidare chiunque e il giorno dopo intimò la resa al contingente nemico che, seppur superiore di numero, non osò opporre resistenza ben conoscendo la forza dello Zaccaria.
Nel nome di S. Giorgio stipulò trattati commerciali privilegiati e accordi vantaggiosi con i rappresentanti della città e ne sottopose la giurisdizione alla Repubblica.
Genova però, non accolse il dono con piacere perché sapeva, come temuto, che ciò gli avrebbe cagionato danni nei rapporti con l’Egitto; quindi non solo non nominò il podestà ma nemmeno inviò soccorso al suo ammiraglio, intendendo così dimostrare la propria estraneità ai fatti.
Zaccaria coinvolse il re del vicino stato confinante di Cipro (interessato a mantenere la zona nell’area d’influenza cristiana) sancendo un accordo sia economico che militare in base al quale la Repubblica si impegnava a fornire una flotta di presidio. Analogo patto mercantile stipulò anche con il monarca d’Armenia.
Il Senato genovese si rifiutò di ratificare tale accordo preferendo scontentare il sovrano di Cipro che non il sultano del Cairo.
Nel frattempo l’Egitto aveva mosso le sue soverchianti forze contro la città ed una coalizione di ciprioti, veneziani e cristiani in genere aveva provato a resistere. Preso atto della disperata situazione i veneti abbandonarono la lotta e Benedetto, temendo che costoro gli portassero via le galee, li seguì a ruota non prima di aver imbarcato più uomini, donne e bambini possibile.
I musulmani presero la città, la razziarono, la rasero al suolo e uccisero tutta la popolazione maschile. Donne e bambini furono ridotti in schiavitù. Benedetto sbarcò a Cipro i superstiti di Tripoli e ribussò vanamente alle porte dei regni cristiani d’Oriente per riprendersi il maltolto. Un aiuto insperato gli giunse solo dalla colonia genovese di Caffa che inviò tre galee. Ben poca cosa per affrontare la potenza egiziana ma, forte del rinforzo ottenuto, per pura rivalsa, attaccò un legno recante le insegne del sultano.
Merci e prigionieri furono condotti a Genova e consegnati come trofeo di guerra. Genova sprofondò nel terrore, come giustificare al principe orientale tale oltraggio? Un’ambasceria guidata da Alberto Spinola fu inviata ad Alessandria per restituire merci e uomini con tanto di umilianti scuse. Fu giurato che nulla mancava al carico e che il danno sarebbe stato risarcito. Il sultano, soddisfatto, rinnovò le convenzioni commerciali e diplomatiche con la Superba.
A partire da quest’episodio in poi Benedetto non godette più della stima di prima da parte dei suoi concittadini ma, per riconoscenza e rispetto dell’impresa della Meloria, nessuno osò proporre l’onta dell’esilio.
Ripulito il Mediterraneo dai pirati, il Bosforo dai corsari, sconfitta Pisa e preso atto che la sua città non poteva o non voleva veramente opporsi all’avanzata saracena dell’Egitto (suo antagonista nel commercio dell’allume) rivolse la sua attenzione alla Spagna dove era stato chiamato per combattere altri saraceni, i temibili marocchini. Costoro infestavano lo stretto di Gibilterra danneggiando i traffici della Castiglia e foraggiando le truppe moresche per la conquista dell’Europa.
Entrò in carica nel 1291 con una formazione di dodici galee con l’obiettivo di contrastare la pericolosa flotta africana. Compito non facile visto che nel 1285 cento navi spagnole si erano ritirate di fronte alle trentasei dell’emiro.
Accortosi che il naviglio nemico era molto più agile e maneggevole del suo e che per questo riusciva a sfuggirgli, apportò una storica modifica, l’introduzione del “terzarolo” cioè del terzo rematore (da qui anche il verbo “interzare dei veneziani”). Questo accorgimento avrebbe compensato la carenza di agilità con una maggiore potenza dinamica.
Benedetto, forte di questa innovazione tattica, fece quello che nessun ammiraglio castigliano fino ad allora aveva anche solo provato ad immaginare: il giorno di S. Sisto, il 6 agosto 1291, sette anni esatti dopo la Meloria, con le sue 12 galee si parò davanti alle 28 saracene remando con la solita andatura in modo da non insospettire i nemici.
Quando le vele marocchine furono a tiro di balestra Benedetto diede ordine di attaccarsi ai remi e, prima che potessero raggiungere la riva africana e sfuggirgli, le raggiunse e ne catturò 12 davanti ad un incredulo e impotente emiro che, da terra, assistette alla disfatta. Gli equipaggi delle rimanenti 16, una volta sbarcati, furono massacrati dai loro stessi compagni in quanto colpevoli dell’umiliazione patita. Le 12 imbarcazioni catturate invece, attraverso il Guadalquivir, furono portate fino a Siviglia come bottino e donate al re Sancio IV di Castiglia. Fu la leggendaria battaglia di Marzamosa che fruttò al genovese la massima delle onorificenze, il titolo di “almirante mayor de la Mar”, alloro conquistato ai danni dei catalani che si tramandavano il titolo da generazioni.
Il sovrano comprese che la sua scelta era contraria al tentativo di forgiare e premiare una stirpe ispanica comune quindi diede l’appalto ai catalani per costruire nuove navi e acquistò quattro delle sette galee del genovese. Inoltre nominò “adelantado mayor de la frontera” un suo fedele connazionale, il comandante Mahte de Luna. Questi prese gradualmente il comando sia delle operazioni terrestri che di quelle marittime di fatto sminuendo il ruolo del genovese. Benedetto non poté, lui figlio di una città in cui la carica di ammiraglio era di gran lunga superiore a quella di qualsiasi comandante terrestre, fare altro che rinunciare all’incarico. Il comandante Mahte de Luna non riuscendo a convincere Benedetto a sottostare alle sue dipendenze lo denunciò come traditore e si impossessò delle quattro navi con i relativi equipaggi.
Le imbarcazioni furono sequestrate ma i marinai si rifiutarono di obbedire, pronti alla morte, agli ordini degli spagnoli. “Prendiamo ordini solo da Benedetto Zaccaria, il vero e unico almirante mayor” dissero i capitani. Per intervento reale Benedetto e i suoi equipaggi furono rilasciati.
Gli spagnoli continueranno la loro guerra contro i Mori senza particolari successi fino a quando un altro genovese Egidio Boccanegra nel 1334 si impossesserà della roccaforte di Algesiras.
Benedetto Zaccaria intanto proseguirà la sua avventura in Francia al servizio di Filippo il Bello per conto del quale sfiderà, prima di far vela nell’olimpo dei signori del mare, i popoli del Nord….
In copertina: galea medievale.
Continua…