Vico Cuneo

Circa a metà di via Prè, superati i muri perimetrali del giardino di Palazzo Reale e di Piazza dello Statuto, sulla sinistra si incontra Vico Cuneo.

Vico Cuneo, anche per via della sua posizione non proprio strategica o di passaggio, è un caruggio sconosciuto ai più. Tuttavia muri, pietre e soprattutto il contrafforte che sorregge le due case ai lati, emanano il loro fascino senza tempo.

In Copertina: Vico Cuneo. Foto di Stefano Eloggi.

Salita della SS. Incarnazione

La creuza della Salita della SS. Incarnazione che deve il suo toponimo dall’omonimo monastero , detto anche delle “turchine” per via del colore dell’abito delle monache.
Il complesso eretto nel 1604 in Castelletto sotto Corso Carbonara e Largo della Zecca dalla genovese Beata Maria V⁰ittoria de Fornari Strata (1562 – 1617) comprendeva due complessi attigui, separati da una strada, detti rispettivamente “Turchine di sopra” e “Turchine di Sotto”.

Dell’antico edificio scomparso restano i toponimi delle due vie di accesso Salita dell’Incarnazione appunto e Salita delle Monache Turchine che ne costeggia l’ultimo muro rimasto.

Le monache turchine si sono traferite dopo la prima guerra mondiale a San Cipriano portando con se i preziosi oggetti, i quadri, le secentesche sculture, gli arredi liturgici e il mobilio di maggior pregio.

Il risseu nella sua originaria collocazione all’interno del monastero.

La più significativa testimonianza del monastero rimane comunque il raffinato risseu del cortile interno del monastero che, recentemente restaurato dall’artista Gabriele Gelatti, fa bella mostra di se nel cortile di Palazzo Reale dove era stato ricostruito negli anni ’60 dal maestro Armando Porta.

“Spettacolare immagine dall’alto del risseu”.

La Grande Bellezza…

In copertina: Salita della SS. Incarnazione.

Foto di Leti Gagge.


La Galleria degli specchi

La galleria degli Specchi di Palazzo Reale fu fatta costruire dai Durazzo e decorata a fresco 1730 da Domenico Parodi con statue romane e affreschi metaforici sulle virtù e sui vizi.

L’ambientazione comprende e fonde con eleganza e raffinatezza pittura, scultura, architettura accompagnando il meravigliato ospite in un viaggio nell’arte a tutto tondo.

Le scelte artistiche dei committenti furono certamente influenzate dai precetti del vicino centro gesuitico dei Santi Gerolamo e Saverio di cui i nobili del casato erano abituali frequentatori.

Tutte le scene realizzate hanno infatti un comune trait d’union di monito moraleggiante. Le antiche divinità, Venere, Bacco, e Apollo con Marsia, riproducono dunque i vizi che portarono alla rovina i grandi imperi dell’antichità, rappresentati dai quattro imperatori raffigurati nei medaglioni ovali: Sardanapalo, Dario, Tolomeo e Romolo Augustolo.

Le figure femminili simboleggiano invece le allegorie delle virtù teologali e cardinali riferimento dei Durazzo, il cui stemma campeggia al centro del percorso.

La galleria degli Specchi nella sua meravigliosa armonia costituisce veramente un gioiello di rara eleganza e sfarzo in cui spiccano quattro statue (Giacinto, Clizia, Amore o Narciso, Venere) di Filippo Parodi (padre di Domenico) e un superbo gruppo marmoreo (Ratto di Proserpina) di Francesco Schiaffino.

Quando c’era il Ponte dei Savoia

Quando nel 1885 i Savoia costruirono il ponte che collegava direttamente la loro dimora genovese con la ferrovia e l’imbarcadero lontano da occhi indiscreti.

Quando, per far ciò, non si fecero scrupolo di abbattere la secolare chiesa di San Vittore.
Una parte della chiesa chiusa al culto venne inglobata nelle strutture del Palazzo Reale e una parte sacrificata per l’artificiosa creazione di Piazza dello Statuto.

La navata destra fu invece immolata per l’allargamento di Via Carlo Alberto (1831-39), odierna Via Gramsci.

Quando c’erano ancora i binari solcati dagli inconfondibili tram verdi della Uite.


Il ponte sabaudo fu abbattuto nel 1964 in occasione della costruzione della sopraelevata.

L’origine del toponimo genera ancora oggi confusione poiché tale posticcia appendice è sempre stata impropriamente chiamata Ponte Reale.

Il Ponte Reale, quello vero, invece era il passaggio che nei pressi di palazzo San Giorgio, attraversava il torrente “riale” di Soziglia che fungeva da raccoglitore delle acque del rio Bachernia e delle Fontane Marose.

Così rio, “ria” in lingua genovese, per storpiatura nel tempo si è trasformato in “reale” fomentando l’equivoco con il ponte chiamato alla stesso modo che collegava, il Palazzo Reale con l’imbarcadero direttamente in porto.

“Il Ponte Reale dei Savoia nei primi anni ’60 poco prima dell’abbattimento”.

Storia di un Palazzo… di un Ponte… di un Re… di un risseu..

… di una chiesa scomparsa… di un mobiliere… di dipinti di Van Dyck…

In una città che re e principi né ne ha mai avuti, né ne ha mai visti di buon occhio è quanto mai curioso che due dei principali musei siano a questi intitolati: Villa del Principe e Palazzo Reale. il Quest’ultimo in realtà si chiama Palazzo Stefano Balbi dal nome del facoltoso mecenate che lo fece, insieme all’omonima strada, costruire nella prima metà del ‘600.

La lussuosa dimora venne poi acquistata nel 1679 da un’altra nobile famiglia, quella di origine albanese, dei Durazzo che diedero incarico al prestigioso architetto Carlo Fontana, di ristrutturarla nella versione in cui, grosso modo, la possiamo ammirare ancora oggi.

“Il monumentale cortile lato giardini”.

“l’atrio in primo piano”.

Divenne Reale solo nel 1823 quando subentrarono i Savoia, nuovi indigesti signori della città dopo il frustrante Congresso di Vienna del 1815, che la elessero a loro residenza cittadina. Nel 1842 la famiglia reale incaricò lo scenografo genovese Michele Canzio di trasformare alcuni ambienti, come le sale del Trono e delle Udienze e il salone da Ballo, per adattarle alle nuove necessità di rappresentanza.

“Il Ponte Reale e la Darsena ad inizio ‘900”.

Fu allora che fu eretto, nella parte a mare, il Ponte Reale che, scavalcando la strada carrabile ( Via Carlo Felice, oggi via Gramsci),

“Resti dell’antica chiesa di San Vittore”.

permetteva ai Savoia di raggiungere, lontano da occhi indiscreti e al coperto, direttamente l’imbarcadero del porto. Il Ponte per la cui costruzione era stata demolita parte dell’attigua e secolare chiesa di S. Vittore, fu abbattuto nel 1964 in occasione della costruzione della sopraelevata.

Una parte della chiesa chiusa al culto venne inglobata nelle strutture del Palazzo Reale e una parte sacrificata per l’artificiosa creazione di Piazza dello Statuto. La navata destra fu invece immolata per l’allargamento di Via Carlo Alberto (1831-39), odierna Via Gramsci.

“Figuranti in costume in occasione delle giornate dei Rolli”.

“Sala del Trono”.

“Trono e Corona”.

Entrambi i lati mutili sono stati “mascherati con facciate posticce di stile ottocentesco ancor oggi visibili mentre gli interni superstiti sono stati ristrutturati per ospitare locali del Palazzo Reale ed una caserma della Guardia di Finanza, da tempo trasferitasi altrove. Di originale a ricordarci del tempio scomparso e dell’abuso commesso rimane solitario il campanile che svetta fra i tetti e vigila sui giardini.

Gli arredi e le opere d’arte, come la celebre Madonna della Fortuna, vennero trasferite nella vicina S. Carlo che ne assunse anche il titolo chiamandosi da allora Chiesa di San Carlo e San Vittore.

Nel 1919 i Savoia donarono il palazzo allo Stato e venne così istituito il museo della galleria nazionale.

“Nel cortile carrozza dei Reali con impresso lo stemma sabaudo”.

Varcato l’imponente portale si accede al cortile con l’arco di trionfo che separa il bel giardino pensile affacciato sulla Darsena del porto.

“Spettacolare immagine dall’alto del risseu”.

Assai particolare è il mosaico della pavimentazione in risseu proveniente dal distrutto Monastero delle Monache Turchine che si trovava sotto Corso Carbonara e Largo della Zecca. Come testimoniato da apposita lapide il risseu è stato risistemato da Armando Porta lo stesso splendido artista che avrebbe restaurato quello di Campo Pisano.

“La lapide che ne ricorda la provenienza”.

“Una preziosa Secretaire di Peters”.

Al suo interno il Palazzo Reale conserva i mobili originali di tutta la sua secolare storia ed include mobili genovesi, piemontesi e francesi della metà del XVII secolo fino all’inizio del XX secolo. Tra questi meritano particolare menzione quelli del celebre ebanista britannico Henry Thomas Peters. L’artista aprì infatti a Genova un laboratorio proponendo il suo stile moderno e all’avanguardia. La sua raffinata produzione marchiata a secco “Peters Maker Genoa” divenne un tratto distintivo imitato per decenni dai mobilieri locali.

Fra i numerosi e pregevoli affreschi sono da ricordare “La fama dei Balbi” di Valerio Castello e Andrea Seghizzi,” La primavera che spinge lontano l’inverno“ di Angelo Michele Colonna e Agostino Mitelli e “Giove che manda giustizia sulla Terra” di Giovanni Battista Carlone.

Nelle sale dei due piani nobili sono inoltre esposti circa 200 dipinti dei migliori artisti genovesi del Seicento come Bernardo Strozzi, il Grechetto, Giovanni Battista Gaulli detto il Baciccio, Domenico Fiasella insieme a capolavori di Bassano, Tintoretto, Luca Giordano,  Simon Vouet, Guercino e Antoon Van Dyck del quale si possono ammirare due capolavori assoluti: il “Ritratto di Dama” e il “Crocefisso”.

“Ritratto di Caterina Balbi di Van Dyck”.

“Il Crocifisso di Van Dyck”.

Adeguato risalto e spazio viene anche dato alla scultura grazie alla presenza di opere di Filippo Parodi, uno dei massimi esponenti della scultura barocca genovese.

“Elegante portantina reale”.

Il Museo, aperto al piano nobile, presenta una serie di eleganti ambienti decorati e arredati nel Settecento dalla famiglia Durazzo. Appartengono al XVIII secolo la Galleria degli Specchi, la Sala di Valerio Castello (il pittore autore degli affreschi) e la Galleria della Cappella. Risalgono invece all’epoca dei Savoia la Sala del Trono, la Sala delle Udienze, il Salone da Ballo.

“Prezioso e raffinato vasellame”.

“Camera da letto del Re”.

“Sala delle Udienze”.

“Lampadario e soffitto della sala delle Udienze”.

“Sfarzosi arredi e interni laccati”.

“Mobilio e specchio”.

“La Galleria degli Specchi”.

“Soffitto della Galleria degli Specchi”.

La galleria degli Specchi in particolare costituisce veramente un gioiello di eleganza e sfarzo in cui spiccano quattro statue (Giacinto, Clizia, Amore o Narciso, Venere) di Filippo Parodi e un gruppo marmoreo (Ratto di Proserpina) di Francesco Schiaffino.

“Il trionfo di Bacco di Domenico Parodi”.

“Le ancelle preparano Venere”. Domenico Parodi.

Fatta costruire dai Durazzo decorata a fresco 1730 da Domenico Parodi con statue romane e affreschi metaforici sulle virtù e sui vizi. Sullo sfondo risalta il “Ratto di Proserpina” di Francesco Schiaffino.

“la statua del Ratto di Proserpina di Francesco Schiaffino”.

Nei quartieri…

dove il sole del buon Dio non da i suoi raggi… Storia di un famigerato quartiere…
Da tempi remoti fino al 1350, quando venne inglobato nella cinta muraria, il Borgo di Prè era solo un piccolo agglomerato di casupole e chiese di pellegrini lungo la via verso il ponente.
Secondo alcuni l’origine del nome deriverebbe proprio dal fatto che fosse fuori le Mura e quindi noto come contrada dei prati.
Per altri invece l’etimo risalirebbe alla spartizione del bottino da parte dei Capitani di Galea, detti Predoni, al rientro nell’antistante Darsena:
“Burgus de praedis” così veniva infatti identificato negli antichi atti notarili (i cartolari genovesi costituiscono i più antichi testi d’Europa).
Per altri ancora invece, il nome si assocerebbe all’uso militare di tutta l’area adiacente al Vastato (attuale Nunziata, dove un tempo si esercitavano i Balestrieri) detta appunto “Prae castra” (davanti ai campi).
Il Borgo si inerpicava attraverso ripide creuze, costellate di case di legno, fino al Montegalletto e a Pietraminuta (attuali castello D’Albertis e Corso Dogali).
Nel 1606 con il tracciato della grandiosa Via Balbi i campi vennero espropriati, le creuze interrotte, le chiese demolite e l’intero assetto rivoluzionato.
Le costruzioni di Piazza Caricamento prima e Via Gramsci poi, daranno il definitivo carattere
di Via stretta fra la ferrovia portuale e il quartiere universitario.
Territorio conteso nei decenni dalla malavita organizzata per i propri loschi traffici e luogo di piacere per i marinai di mezzo mondo.
Via Prè presenta numerose meraviglie quali, fra le tante, la celebre e omonima Commenda, il Palazzo Reale e i truogoli di Santa Brigida.
I truogoli di Santa Brigida. Foto di Leti Gagge.