Sul lato del portale di San Gottardo angolo Via San Lorenzo, alzando lo sguardo si nota la familiare statua colonna, di fattura provenzale detta dell’ “arrotino”, in cui il protagonista regge in mano una curiosa pietra tonda.
La struttura poggia su un leone stiloforo del XIII sec. a sua volta sostenuto da una mensola recante l’effige di S. Matteo. Ai piedi della statua due teste attaccate di figure antropomorfe. Ai tre lati del basamento sono scolpite in sequenza una scena di lotta con un leone, un cane che bracca una preda e una scena di lotta con un altro cane. Altri animali magici alati sulla schiena del leone stiloforo si mordono il corpo vicino ad un animaletto rampante attaccato all’anello della colonna.
Dall’altro lato, verso Scurreria, in corrispondenza del portale di San Giovanni il Vecchio un altro leone stiloforo poggia su una mensola con sopra scolpita un’aquila, simbolo di San Giovanni Evangelista. Si presume perciò che l’arrotino, come la Lanterna, avesse una statua gemella andata perduta.
Ma chi è il misterioso personaggio che sorveglia il nostro andirivieni quotidiano? dell’identificazione con San Giovanni Evangelista la più plausibile, abbiamo già detto. Tuttavia secondo altri invece rappresenterebbe Jacopo da Varagine, il celebre arcivescovo, incontrastato signore dell’influente curia genovese, autore della “Legenda Aurea” (una sorta di biografia di santi un vero best seller per tutto il Medioevo) e del “Chronicon Ianuense” (un importante resoconto storico sulla città dalle origini al 1297) oppure, più banalmente il ritratto di uno dei tanti scultori che lavorò al prospetto della cattedrale.
Per altri ancora sarebbe Janus, il principe troiano dal quale deriverebbe il mito del Giano fondatore della città.
Anche sul cerchio, parafrasando il poeta “avrei poi da ridire”; per taluni è una semplice meridiana circolare o, al limite, un piatto con una croce scalpellata che rappresenterebbe simbolicamente la pietra di fondazione del tempio.
Ma i genovesi, si sa, sono gente pragmatica e da sempre l’hanno interpretato come la mola di un arrotino, a campione dei tanti artigiani che collaborarono all’erezione del loro amato duomo cittadino.