Piazza Barisone

Nei pressi di Via delle Grazie si trova piazzetta Barisone sui cui palazzi sono ancora presenti arcate in cornici di pietra, archetti e tracce residue di una loggia del XIII secolo.

L’origine del toponimo rimanda alla schiatta dei Barisone il cui capostipite, secondo alcuni storici, sarebbe appunto un tal Barisone di Arborea un Principe Sardo, che tolse la Sardegna ai Saraceni.

Barisone sostenuto poi dai Genovesi, nel 1164 fu incoronato da Federico I (Barbarossa) a Pavia Re di Sardegna previo il versamento di quattromila marchi anticipati dai genovesi che in quell’occasione avevano anche ottenuto favorevoli clausole commerciali ai danni dei rivali pisani.

In realtà non regnò mai sull’isola perché non riuscì a garantire, complice anche il voltafaccia del Barbarossa a vantaggio dei pisani, né le vantaggiose condizioni promesse, né a restituire l’ingente prestito ai genovesi.

Fu imprigionato a Genova per otto lunghi anni prima che i suoi concittadini riuscissero a saldare l’oneroso debito nel frattempo aggravato da cospicui interessi.

Quando finalmente gli fu permesso di rimpatriare non riuscì più a ristabilire la precedente situazione di potere perché Pisa e Genova avevano trovato nuovi accordi sulla ripartizione dei Giudicati dell’isola.

Altri storici ritengono invece questa solo una suggestiva tesi che non proverebbe la paternità del cognome.

Di Barisone, Barisione, Barigione infatti già in quel secolo nei documenti antichi genovesi se ne trovano parecchi: soprattutto avvocati, notai e uomini di legge che si tramandavano la professione di padre in figlio, ma si distinsero anche in ambito religioso come prelati di spicco.

Anche sul significato etimologico del nome non vi è accordo; secondo alcuni è una derivazione dall’ ebraico Bar=figlio e Sion=Gerusalemme e, dunque di origine ebraica; per altri invece dal sassone Bar=Orso e Son=Figlio e perciò Figlio dell’ Orso, di matrice nordica.

In Copertina: Piazzetta Barisone. Foto di Stefano Eloggi.

“Emmo za daeto!”…

la storia dell’espressione che ci rende ancor oggi orgogliosi…
Così risposero i delegati genovesi, per bocca di Oberto Spinola, convocati insieme agli altri rappresentanti italici alla Dieta di Roncaglia del 1158, alle richieste del Barbarossa.
Questi infatti, pretendeva omaggi e tributi per convalidare quanto già concesso dai suoi predecessori, l’autonomia della Repubblica, per altro
riconosciuta già nel 958 da Adalberto in quanto situazione di fatto.

"Delegati milanesi ossequiano Federico Barbarossa".
“Delegati milanesi ossequiano Federico Barbarossa”.

Queste le parole che pronunciò Oberto: “Bene hanno fatto gli altri ad accettare le tue imposizioni.

I Genovesi, con tutto il rispetto dovuto, non si sentono legati da obblighi così fatti e possono darne ragione.

Da tempi remoti gli imperatori romani concessero agli abitanti di Genova il privilegio di essere liberi da ogni contribuzione e che verso l’Impero avessero il solo obbligo della fedeltà e della difesa dei mari dai Barbari, altre pretese non possono essere imposte loro in nessun modo.
I Genovesi da Roma a Barcellona hanno adempiuto ai loro doveri ricacciando i Barbari dal litorale in modo che tutti possano dormire tranquilli e dedicarsi al fico e alla vigna.
Per questo motivo per nessuna ragione può esser loro richiesto ciò a cui non sono tenuti.
Inoltre, a differenza delle altre popolazioni italiche che devono il loro benessere dalla terra, i Genovesi traggono la loro ricchezza dal mare e dai traffici commerciali, attività sulle quali l’Impero non ha alcuna giurisdizione”.

“Emmo za daeto!”

“Abbiamo già dato!”