Storia di Ospedali…

… di balestrieri… di benefattori e di ribelli…
Nel quartiere di Portoria, nella zona di Piccapietra sorgeva, fin dal ‘400, il più antico ospedale cittadino (se si eccettuano quelli collegati alle Crociate) del Medioevo, l’ospedale di Pammatone.
Proprio in uno dei luoghi dove un tempo (Pamathlon significa palestra) si esercitavano i gloriosi Balestrieri della Repubblica (l‘altro era il Vastato presso la Nunziata), il notaio Bartolomeo Bosco acquistò alcuni immobili ed eresse il ricovero, prima quello femminile, poi quello maschile.
In pochi decenni, anche grazie ad altri lasciti, la struttura s’ingrandì fino a diventare il principale ospedale cittadino e ad inglobare, ad inizio ‘500 il Ridotto degli infermi, che poi sarebbe diventato l’ospedale degli Incurabili di Ettore Vernazza, fra i primi esempi in Europa di assistenza a pazienti cronici, dove fra l’altro, prestò la sua opera S. Caterina Fieschi Adorno.
Nel ‘700 l’edificio, grazie al contributo dei marchesi Pallavicini, venne ingrandito (venne demolita anche la confinante abitazione presso l’Olivella di Domenico Colombo, padre dell’ammiraglio) e arricchito del porticato che, tuttora, risulta inglobato nel moderno Palazzo di Giustizia.

"Pamattone".
“Pammatone”.

Nel luogo esatto, proprio davanti a Pammatone dove avvenne l’episodio del mortaio del 5 dicembre 1746 venne posta, in ricordo della celebre rivolta, la statua del Balilla.
L’ospedale continuò la sua attività fino ad inizio ‘900 quando la struttura di San Martino ne raccolse l’eredità come testimonia la maggior parte delle statue dei suoi benefattori, sparse lungo i viali del nuovo nosocomio.
Dopo essere stata sede della Facoltà di Economia e Commercio Pammatone fu gravemente danneggiato durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale.
Nel quadro della risistemazione della zona di Piccapietra fu definitivamente demolito a cavallo degli anni ’60 e ’70.
In suo ricordo rimangono, all’interno del moderno Palazzo di Giustizia lo scalone di accesso, il colonnato e alcune statue di benefattori.
Fuori Perasso, oggi come allora, è pronto a scagliare il suo sasso… “Che l’inse”.

In Copertina: Dipinto del XVII secolo del pittore fiammingo Cornelis de Wael raffigurante la “festa del Perdono” ambientata negli spazi dell’Ospedale di Pammatone. Genova, Musei di Strada Nuova – Palazzo Bianco

6 pensieri riguardo “Storia di Ospedali…”

  1. Ho pubblicato il quadro di De Wael sulla mia pagina Fb Nobili di Genova e ha avuto un incredibile successo, più di 1200 visite !! Il gusto di demolire a Genova è una costante, salvo il centro storico. Bell’articolo !!!

    1. IN UN OPUSCOLO SULLA PIANTA ORG.DEGLI SPEDALI CIVILI DI ZENA, A TUTTO IL 1933 RISULTA ANCORA SULLA CATA L’OSP.DEI CRONICI, CON UN PRIMARIO E UN ASSISTENTE CHIRURGO. PARE STRANO CHE UN OSP,POSSA FUNZIONARE SOLO CON DUE ELEMENTI, PER CAPACI POSSANO ESSERE. QUELL’OPUSCOLO NON RIPORTA L’UBICAZIONE.

  2. Good Afternoon. I am currently trying to establish if my Grandfather Giovanni Dellacasa was an orphan or abandoned child in Genova. I note that there was a hospital in Genova where abandoned children were admitted. Can you please advise me if there is any archives for abandoned children in Genova. Any suggestions would be gratefully received. Many Thanks. Kindest Regards. Don Delacassa

    1. La Città metropolitana di Genova, erede della Provincia, ha in gestione l’archivio storico dell’ex Ippai, Istituto Provinciale per la Protezione e Assistenza dell’Infanzia, ente facente capo appunto alla ex Provincia che, con diversi nomi, per più di un secolo, dal 1873 fino agli anni ‘70-’80 del Novecento (la progressiva dismissione iniziò nel 1978 e venne completata in una decina d’anni) governò gli orfanatrofi del territorio. L’archivio contiene quindi documenti che riguardano la storia personale di bambini abbandonati e la cui gestione, di conseguenza, è estremamente delicata, essendo soggetta a rigorose regole di tutela della riservatezza: oltre ai registri dei bambini accolti ci sono una notevole quantità di altri documenti ed anche oggetti relativi agli infanti abbandonati, gli struggenti “segni di riconoscimento” che le madri lasciavano ai figli per permettere un eventuale futuro ricongiungimento, e che costituivano l’unico elemento di identità dei bambini.
      La Città metropolitana di Genova, erede della Provincia, ha in gestione l’archivio storico dell’ex Ippai, Istituto Provinciale per la Protezione e Assistenza dell’Infanzia, ente facente capo appunto alla ex Provincia che, con diversi nomi, per più di un secolo, dal 1873 fino agli anni ‘70-’80 del Novecento (la progressiva dismissione iniziò nel 1978 e venne completata in una decina d’anni) governò gli orfanatrofi del territorio. L’archivio contiene quindi documenti che riguardano la storia personale di bambini abbandonati e la cui gestione, di conseguenza, è estremamente delicata, essendo soggetta a rigorose regole di tutela della riservatezza: oltre ai registri dei bambini accolti ci sono una notevole quantità di altri documenti ed anche oggetti relativi agli infanti abbandonati, gli struggenti “segni di riconoscimento” che le madri lasciavano ai figli per permettere un eventuale futuro ricongiungimento, e che costituivano l’unico elemento di identità dei bambini.
      L’archivio degli Esposti dell’ex Ippai, oggi appunto proprietà della Città metropolitana ex Provincia di Genova e conservato nella sede di via Maggio a Quarto, raccoglie non solo la documentazione prodotta dall’Ippai e dai precedenti enti sempre facenti capo alla Provincia che si occuparono dell’assistenza all’infanzia abbandonata a Genova per oltre un secolo a partire dal 1873, ma anche carte più antiche di qualche decennio, risalenti fino al 1806 e prodotte dagli enti che precedettero la Provincia nello stesso ambito: prima del 1873 e fin dal XV° secolo, infatti, a Genova erano stati l’Ospedale di Pammatone e poi gli Ospedali Civili ad occuparsi dell’assistenza agli ‘esposti’, attraverso gli Ospizi degli Esposti gestiti da apposite Commissioni, nel solco di un’antica consuetudine della Repubblica di Genova consolidata poi dall’ordinamento francese e lasciata invariata da quello sabaudo.

      Gli Ospizi degli Esposti facenti capo all’Ospedale di Pammatone, la più grande istituzione di cura genovese, vengono menzionati nell’introduzione allo Statuto organico dell’Ospizio per l’infanzia abbandonata di Genova del 1873, ovvero l’Ippai nella sua primitiva denominazione: “Come si rileva da una bolla di Papa Alessandro VI del 26 marzo 1496 autorizzante la questua per l’ospedale di Pammatone, quell’Opera aveva lo scopo determinato di ricevere ed allevare i bambini sì legittimi che spurii abbandonati dai loro genitori; ed era già in quell’epoca aggregata all’ospedale Pammatone, la cui amministrazione diresse poi sempre il servizio degli esposti. Fino allo esordire del presente secolo (il XIX°, ndr), la Liguria non aveva altro ricovero (…),e all’Ospizio di Genova avviavansi quindi i trovatelli delle due Riviere, quando al loro allevamento non si potesse altrimenti provvedere. Ma aggregata la Liguria all’impero Francese (…) fu forza aprire altri ricoveri nei due capiluogo di dipartimento latistanti a quello di Genova, e sorsero così due ospizii di Savona e di Spezia. La ristorazione (Restaurazione, ndr) anziché restringerli dovette accrescerli (…). Re Carlo Felice dopo avere sminuzzato il suo già piccolo Stato in piccole provincie, colle RR.PP. 15 ottobre 1822 prescrisse che in ognuna di esse dovesse esservi un’amministrazione speciale per gli esposti, e quindi altri due ospizii si aggiunsero nelle due provincie, ora Circondarii, di Chiavari ed Albenga. (…) L’amministrazione degli esposti sotto gli ordinamenti francesi erasi affidata alle così dette Commissioni degli Ospizii, a cui spettava pure l’amministrazione degli ospedali (…) In oggi ancora le amministrazioni degli ospedali locali sono quelle che hanno il governo degli ospizi per gli esposti, annessi degli ospedali, coi quali anzi fino a pochi anni or sono avevano comuni i bilanci”.

      ippai – ruota degli esposti
      Fra i reperti storici conservati nell’Archivio uno di più toccanti e carico di dolorose memorie è senz’altro la ruota degli esposti, una delle tante esistenti in città in conventi di suore ed orfanatrofi, un tamburo girevole di legno su cui le madri deponevano il neonato per affidarlo alle cure di istituzioni a ciò deputate. Le madri che abbandonavano i proprio figli erano giovani donne che non potevano prendersene cura perché povere o malate o che non volevano farlo perché il bambino era ‘frutto del peccato’, ovvero di una relazione extraconiugale o di uno stupro, come capitava alle servette di famiglie benestanti. Non mancavano poi i bambini abbandonati perché disabili.

      Nell’Ottocento questi bimbi abbandonati sulle ruote a Genova finivano come detto negli Ospizi per gli esposti, che furono gestiti dagli Ospedali Civili, ovvero dall’amministrazione di Pammatone, fino al 1865: in quell’anno una legge attribuì l’assistenza dei bambini abbandonati, così come quella dei malati di mente, alle neonate Province, nuove ripartizioni amministrative dello Stato unitario ricalcate sul modello francese. La Provincia di Genova istituì così nel 1873 il nuovo Ospizio per l’infanzia abbandonata, con sede iniziale nel Conservatorio di Nostra Signora del Rifugio a Monte Calvario, e dispose che l’Ospedale Pammatone consegnasse “al novello Ospizio le carte contabili, i registri, i segnali di riconoscimento” della precedente amministrazione degli Ospizi degli Esposti degli Ospedali Civili (il cui archivio è oggi conservato presso l’amministrazione dell’Ospedale di San Martino) cosa che avvenne per la documentazione più recente, dal 1852 al 1873.

      Nel 1929 l’Ospizio per l’infanzia abbandonata cambiò denominazione, diventando Brefotrofio Provinciale con contestuale soppressione dell’ospizio di Chiavari, e poco dopo, nel 1931, iniziò un importante trasloco: venne infatti costituito un consorzio tra Gerolamo Gaslini, fondatore del grande complesso per la cura e l’assistenza all’infanzia tuttora esistente, la Provincia, il Comune, l’Università e gli Ospedali Civili, in cui si riconosceva alla Provincia autonomia di funzioni e di gestione in campo assistenziale e si sanciva l’obbligo di effettuare “il ricovero dei fanciulli infermi assistiti dal Brefotrofio provinciale nei contigui reparti ospedalieri dell’istituto Gaslini”, con costruzione di una nuova sede del Brefotrofio proprio presso l’ospedale Gaslini. Il trasloco nella nuova sede si concluse nel 1938 e il Brefotrofio provinciale fu nuovamente ridenominato Istituto provinciale per l’infanzia (Ipi). Nel 1947 il consorzio venne sciolto, ma l’Ipi rimase nel complesso del Gaslini, a fronte di un canone annuo d’affitto pagato dalla Provincia, ancora per vent’anni. Nel 1953 altro e definitivo cambio di nome: l’Ipi diventò Istituto provinciale per la protezione e l’assistenza all’infanzia, ossia Ippai, e infine nel 1967 venne inaugurata la nuova sede di Quarto, che restò in funzione sino al 1978 quando una serie di nuove norme (nuovo diritto di famiglia, leggi sulla tutela della maternità, regolamentazione dell’interruzione volontaria di gravidanza, consultori, asili nido) si avviò la progressiva chiusura dell’Ippai e il passaggio dall’assistenza-parcheggio ai servizi aperti con inserimenti familiari nelle politiche per l’infanzia. Ancora nel 1976 i bambini abbandonati ospitati all’Ippai di Quarto erano 420.

      ippai – sacchetti
      L’Archivio storico dell’Ippai conserva molti oggetti ma anche decine di registri dove sono scrupolosamente annotate tutte le informazioni relative ai bambini ospitati: ora e giorno della nascita, giorno del battesimo, data della consegna e ora dello stacco dalle braccia della madre. E raccoglie toccanti testimonianze di un’usanza delle madri che abbandonavano i propri figli sulla ruota, quella di lasciare a chi li accoglieva un sacchettino di cotone con un oggetto diviso a metà o moncato di una sua parte, in modo che la madre, che conservava la parte mancante, potesse essere riconosciuta nel caso di una futura ricongiunzione: poteva essere una medaglia spezzata in due, un orecchino spaiato, una cuffietta bianca con il nastrino tagliato, un rosario cui era stato tolto il crocefisso. Ancor oggi nell’Archivio degli Esposti arrivano da Genova, dalla Liguria, ma anche dal resto d’Italia e dall’estero, persone sulle tracce delle proprie origini.

Rispondi a Ninna Frigo Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.