Un Veneziano a Genova…

“Le Memoires, l’opera autobiografica di Carlo Goldoni scritta in onore del re di Francia Luigi XVI”.

L’opportunità per Goldoni di raggiungere Genova derivò dal fatto che la compagnia detta di “San Samuele”, con la quale il commediografo stesso stava collaborando, doveva lanciare proprio nel capoluogo ligure, nella primavera del 1736, ben sei nuovi attori e poi trasferirsi a passare l’estate lavorando a Firenze.

Nelle “Memoires” Goldoni scrive: “… Si trattava di andare a vedere due tra le più belle città d’Italia… E avevo le spese pagate (…). Il viaggio fu felice, sempre bel tempo; traversando quell’alta montagna che si chiama la Bocchetta (…). Traversato il ricchissimo e deliziosissimo villaggio di Sampierdarena, scorgemmo Genova dalla parte del mare. Che incantevole e meraviglioso spettacolo! È un anfiteatro semicircolare, che da una parte forma il vasto bacino del porto, e dall’altra si alza gradatamente sul pendio della montagna, con immense costruzioni che da lontano sembrano poste le une sopra le altre e terminano con terrazze, con balaustrate, o con giardini che fanno da tetto alle varie abitazioni. Davanti a queste file di palazzi, di dimore nobiliari e borghesi, gli uni incrostati di marmi, gli altri decorati di pitture, si vedono i due moli che formano l’imboccatura del porto; opera degna dei romani, perché i genovesi, nonostante la violenza e la profondità del mare, vinsero la natura che si opponeva al loro stabilimento. Scendendo dalla parte della Lanterna per raggiungere la porta di San Tommaso vedemmo l’immenso Palazzo Doria, dove tre principi sovrani furono ospitati contemporaneamente; poi andammo alla locanda di Santa Marta, aspettando l’alloggio che ci era destinato”.

“Bussolotti utilizzati per le estrazioni “

A questa descrizione della Genova geografica di allora, Goldoni fa seguire una parentesi che non si può trascurare, almeno nella parte sostanziale, relativa alla genesi di un gioco ancora oggi molto diffuso:

”che in Italia è chiamata lotto di Genova, e a Parigi la lotteria reale di Francia, non era ancora stata introdotta a Venezia. C’erano però dei ricevitori clandestini che accettavano giuocate per Genova e io avevo in tasca una ricevuta per una giuocata che avevo fatto a Venezia. Questa lotteria è stata inventata a Genova, la prima idea fu fornita dal caso. I genovesi tirano a sorte due volte l’anno i cinque senatori che devono sostituire gli uscenti. A Genova si conoscono tutti i nomi che sono nell’urna e che possono essere tirati fuori: i cittadini cominciarono a dire tra loro: “Scommetto che nella prossima estrazione uscirà il tale”; e un altro diceva: “Io scommetto per il talaltro”; e la scommessa era pari (…). Oggi questa lotteria di Genova è diventata pressoché universale (…). È una bella rendita per il governo, un’occupazione per gli sfaccendati, e una speranza per i disgraziati. Quanto a me, questa volta mi parve piacevolissima, ci guadagnai un ambo di cento pistole che mi fece assai contento”.  Le “cento pistole” vinte da Goldoni vanno intese in senso numismatico e tradotte in “cento scudi” del suo tempo, naturalmente d’oro e quindi di valore significativo.

Ma a Genova la vita del commediografo cambiò davvero. Prosegue infatti nelle “Memoires”:

“Statua di Goldoni”.

“A Genova ebbi una fortuna assai più considerevole, e che fece l’incanto della mia vita: sposai una giovane savia, garbata, graziosa, che mi compensò dei tanti brutti scherzi fattimi dalle donne, e che mi riconciliò con il bel sesso. Sì, caro lettore, mi sono sposato, ed ecco come. Il direttore ed io avevamo alloggio in una casa attigua al teatro. Avevo visto alle finestre dirimpetto alle mie una giovane che mi pareva bellina e avevo voglia di conoscerla. Un giorno che era sola la salutai teneramente; lei mi fece una riverenza e scomparve subito, né più si lasciò vedere. Eccomi punto dalla curiosità e nell’amor proprio cerco di sapere chi sta di casa dirimpetto al mio alloggio: è il signor Connio, notaio del collegio di Genova, uno dei quattro deputati al Banco di San Giorgio (…)”. Goldoni cerca di sapere che tipo è il suo futuro suocero. Va a cercarlo al Banco di San Giorgio e lo trova… occupatissimo. Fa la coda e finalmente riesce a parlargli. L’accoglienza di Conio è molto cordiale, al punto che lo invita a uscire con lui e gli propone di andare insieme a prendere un caffè. Appreso che Goldoni si occupa di teatro, gli chiede che parti sostiene recitando e, naturalmente, viene così corretto: “Gli dissi chi ero e che cosa facevo; lui si scusò, gli piaceva il teatro, ci andava spesso, aveva visto i miei lavori, era felice di aver fatto la mia conoscenza, e così io di aver fatto la sua.

Eccoci amici; lui veniva da me, io andavo da lui; vedevo la signorina Connio, ogni giorno di più mi pareva piena di grazie e di virtù. In capo a un mese domandai al Connio la mano di sua figlia”. Non ci furono difficoltà. Anzi il Connio stesso dichiarò che non temeva un rifiuto da parte della ragazza e si disse favorevole alle nozze. Però chiese tempo e, ottenutolo, cercò informazioni sul conto del Goldoni, chiedendole per iscritto soddisfazione senza che fosse seguita da un dispiacere?

“La Targa in Vico S. Antonio che ricorda la dimora genovese del commediografo e il matrimonio con Nicoletta Connio”.

La prima notte di matrimonio ecco che mi piglia la febbre, e il vaiuolo che già avevo avuto a Rimini da ragazzo viene ad attaccarmi per la secondo volta. Pazienza! Per fortuna non era pericoloso, e non divenni più brutto di quello che già ero. La mia sposina pianse molto al mio capezzale; era la mia consolazione e tale è sempre stata. Finalmente partimmo, la mia sposa ed io, per Venezia ai primi di settembre. Cielo! Quante lacrime sparse, che crudele separazione per mia moglie! Doveva lasciare di colpo padre, madre, fratelli, sorelle, zii e zie…Ma se ne andava con suo marito”. Si potrebbero chiudere qui la “genovesità” di Carlo Goldoni, ma Genova presenzia in altre citazioni nei suoi “Memoires”. Ad esempio la “parte seconda” dell’opera finisce proprio con un ritorno dei coniugi Goldoni nel capoluogo ligure, perché lo preferirono a Torino quale ultima tappa italiana di un viaggio in Francia.

Correva l’anno 1762 e Carlo ne aveva ormai cinquantacinque. Così lui descrive e commenta la partenza da Genova: “Passammo otto giorni allegrissimi nella patria di mia moglie, ma le lacrime e i singhiozzi non finivan più al momento della partenza; la separazione era tanto più dolorosa in quanto i parenti disperavano di rivederci. Promettevo di ritornare in capo a due anni; non ci credevano. Finalmente, tra addii, abbracci, pianti e grida ci imbarcammo sulla feluca del corriere di Francia, e facemmo vela per Antibes, costeggiando quella che gli italiani chiamano riviera di Genova”.

2 pensieri riguardo “Un Veneziano a Genova…”

  1. Mi piace molto leggere ed ascoltare le commedie di Goldoni.Non sapevo che avesse sposato una genovese.Mi hanno colpito molto le lacrime della sposina quando ha dovuto lasciare Genova perché io quando sono dovuta venire a Padova (e non ero sposina ma avevo due bambini) ho pianto molto sono caduta nella depressione e ho avuto attacchi di panico per un lungo periodo .Lasciare Genova e ‘ terribilmente difficile.

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