In Piazza del Ferro, all’angolo con Vico Spada, sul retro del palazzo di Pantaleo Spinola (Via Garibaldi 2) un’edicola di Madonna col bambino del XVII sec. La semplice nicchia è chiusa da un’invadente grata di ferro addobbata con un mazzetto di fiori. All’interno la statua marmorea della Vergine con in braccio il bambino benedicente.
L’origine dell’etimo che da origine alla piazza è di natura incerta. Secondo alcuni storici deriverebbe da una famiglia Ferro che abitava la piazza, secondo altri dal nome di un’antica osteria. Molto più probabilmente invece discenderebbe, dai depositi di metalli e dalle botteghe dei fabbri che gravitavano nella zona.
Singolare il palazzo al civ.3 con il fronte curvo a seguire il dislivello del terreno. Da qui iniziava la salita che conduceva al Castelletto.
Proprio davanti a Palazzo Tursi, in Vico Boccanegra sul lato a ponente di Palazzo Rosso, si trova un’imponente edicola del XVIII sec. Dalle dimensioni monumentali rappresenta una Madonna col Bambino e i Santi dipinta in affresco fra cornici, in pieno stile barocco, di stucchi.
La cornice sagomata è impreziosita da rilievi con ghirlande e motivi floreali, frutti e conchiglie, angioletti alati e putti.
Nella parte superiore una raggiera con la colomba, simbolo dello Spirito Santo. L’intera edicola è protetta e sormontata da una tettoia metallica traforata. Ai lati si notano due bracci porta lampade in ferro battuto e traforato con decori floreali.
In origine il dipinto raffigurava la Vergine con i quattro Santi Protettori della città (S. Siro, S. Giorgio, S. Giovanni, S. Lorenzo).
Venne sostituito con l’affresco attuale, commissionato dalla famiglia Brignole al pittore Giuseppe Isola che vi ha rappresentato la Madonna col bambino attorniata da membri devoti della famiglia Brignole nei panni di santi. Si riconoscono Sant’Antonio e Santa Caterina D’Alessandria.
A quel tempo la pratica di ritrarre i santi con i volti di personaggi esistenti era un’usanza, sia dipinti su tela che negli affreschi, piuttosto diffusa.
Il caruggio prende il nome da Simone Boccanegra, eletto nel 1339, primo Doge della Repubblica che qui, prima di farsi costruire l’omonimo castello nei pressi di S. Martino , aveva dimora.
Le edicole votive nel centro storico costituiscono una preziosa istantanea non solo architettonica e religiosa del loro tempo ma rappresentano anche un originale pretesto per raccontare storie, fatti, leggende di cui sono state silenti testimoni:
Narra, ad esempio, un’antica leggenda che due guardie stavano conducendo in catene verso il Palazzetto Criminale un prigioniero che continuava a professarsi a squarciagola innocente.
Una volta giunti in Campopisano il detenuto si gettò ai piedi davanti ad un’edicola dichiarando la propria estraneità in relazione ai reati per i quali era imputato.
Alzò le mani al cielo e, quando in un fragore assordante, le catene si ruppero di colpo, i militi gridarono spaventati al miracolo.
Di fronte a tale manifestazione divina infatti decisero di lasciare subito libero il mal capitato ma il galeotto non ne volle sapere.
Questi pretese di essere regolarmente processato e prosciolto da ogni accusa direttamente dal tribunale.
L’immagine della Vergine protagonista di questo portentoso accadimento, tramandato nei secoli, assunse il nome di “Madonna del Galeotto”.
Quale sia l’edicola in questione rimane ancora d’incerta attribuzione: secondo alcuni sarebbe quella vuota presente sotto l’arcata del ponte di Carignano, secondo altri invece sarebbe quella posta in Vico Superiore di Campopisano al n. 3.
La prima, in muratura, conteneva una statuetta cinquecentesca della Madonna del Rosario, sostituita con un calco di Madonna con Bambino del sec. XVIII. La statuetta oggi è custodita presso la vicina ex chiesa di San Salvatore.
La seconda, collocata in una nicchia semicircolare, accoglie la statua marmorea, purtroppo mutila in alcune sue parti, della Madonna con Bambino e San Giovannino.
Quale che sia la vera Madonna del Galeotto, ogni edicola ha la sua suggestiva storia da raccontare.
Questa, per dimensioni ed importanza, poderosa edicola della “Protettrice della città” realizzata dai fratelli Orsolinovenne collocata sulla Porta di Ponte Spinola nel 1745 per sorvegliare i traffici marittimi. La Madonna Regina è rappresentata seduta con in braccio il Bambino. In origine le due figure erano ornate dalle corone e la Vergine, con la mano destra, impugnava lo scettro del potere dogale. Nel 1840, per volontà del re sabaudo Carlo Alberto, venne trasferita in una nicchia ricavata, in corrispondenza di Piazza dello Statuto, sotto il muro di confine di Palazzo Reale. Oggi è protetta da una porta in ferro con tanto di vetro antisfondamento, purtroppo già scheggiato e da un cancelletto. Il grande basamento su cui è posta reca, ormai abrasa, la scritta che testimonia il trasferimento della statua.
Un’altra statua della Madonna Regina, sempre opera di Tommaso Orsolino si trovava nei pressi di Porta Reale e venne trasferita, in seguito ai lavori di demolizione del varco resisi necessari per il tracciamento della nuova via Carlo Alberto, nello spiazzo antistante la chiesa dei Cappuccini, meglio nota come “Madonna della SS. Concezione”.
Un tempo oggetto di preghiera da parte dei camalli del porto oggi è LEI a supplicare assistenza agli Enti Pubblici che l’hanno lasciata esposta agli insulti e alle ingiurie degli Infedeli e all’indifferenza dei passanti.
Un altro piccolo esempio dell’incuria e del degrado dei nostri monumenti e della scarsa attenzione per la nostra storia. Questi sono il rispetto e l’importanza che accordiamo al nostro passato e il disamore per la nostra città che trasmettiamo ai turisti.
Dicevano gli antichi “più una civiltà si prende cura dei propri monumenti e della propria cultura, tanto più radioso sarà il suo approccio al futuro”.
Gli approdi della nostra regione sono costellati di spontanee edicole, sorte a ringraziamento per il ritorno dei naviganti.
Speranza, sussistenza, pescato, ignoto, viaggio, tempesta, guerra, bottino, paura… di non farcela… per questo, i marinai liguri lo sanno bene, prima e dopo aver affrontato il mare è sempre bene affidarsi alla Madonna.
Di tutte la più cara ai genovesi è “A Madonnin-a dei pescoei” di Sturla per la costruzione della quale hanno contribuito tutti i marinai del borgo: “O Maria i pescatori di Sturla ti hanno portato tutti una pietra ora ti diranno sempre un’Ave Maria”. Intorno, incastonate fra le conchiglie, altre lapidi riportano alcuni versi della Stella Maris, l’Ave Maria in genovese di Piero Bozzo.
“Ave Maria da questo altare guarda sempre chi è per mare” e ancora “Ave Maria, Campana che suoni in mezzo al verde con una voce secolare tanto cara; in questa pace l’anima si perde e i tuoi rintocchi invitano a pregare”.
Un’altra targa rammenta invece i versi della canzone di Costanzo Carbone intitolata appunto ” la Madonnin-a dei pescoei patrimonio delle esecuzioni dialettali dei Trallalero.
“Lazzu un lumin lontan, ne o mà de Sturla” (Laggiù un lumino lontano, nel mare di Sturla)
“O brilla, o scomparisce, o s’allontann-a”. (Brilla, poi si spegne, s’allontana)
di Santi, di Madonne, di galeotti, di pittori e di assassini.
Nel 1133 San Bernardo di Chiaravalle che è a Genova per tentare di riappacificare la città con Pisa vi diffonde il culto della Madonna di cui è devoto.
Genova diventa fra le prime città in Italia a venerare la madre di Gesù. I caruggi, agli angoli dei palazzi, si popolano di edicole (“piccolo tempio” in latino) dedicate ai Santi protettori e a Maria.
Raggiungono la massima diffusione nel ‘700 dopo l’elezione nel 1637 della Madonna a Regina. Ogni corporazione gareggia per avere l’edicola più bella.
E’ un onore essere scelto per la loro cura, manutenzione e illuminazione.
In questo modo la sera Zena, a gratis, è sempre illuminata (altro che Londra o Parigi dicono i viaggiatori del tempo). Molte sono state rubate, altre distrutte dalle intemperie o deturpate dall’incuria: solo che nel centro storico se ne contano ottocentoquarantanove.
Alcune meritano di essere ricordate; “La Madonna del Galeotto” posta sotto il Ponte di Carignano così chiamata perché un giorno un marinaio arrestato ingiustamente si gettò ai suoi piedi per testimoniare la propria innocenza. Le catene si ruppero e il devoto Galeotto fu liberato senza processo;
La settecentesca “Madonna delle Cinque Lampadi” (in ardesia) presso l’omonima piazza, all’angolo con Vico del Filo, talmente bella che veniva illuminata giorno e notte appunto da cinque lanterne.
Secondo altre fonti invece nella zona sarebbe stata in compagnia di ulteriori quattro immagini sacre illuminate da altrettante lampade e, sarebbe quindi questa l’origine del toponimo;
“L’edicola degli orefici” dedicata a S. Eligio patrono degli orafi commissionata al pittore Pellegro Piola perché fosse, fra tutte, la più sfarzosa. Il Bianco, pittore amico del Piola, quando la vide, comprese quanto l’autore di tale opera gli fosse superiore.
Morso dall’invidia e dalla gelosia, la sera stessa, in Piazza Sarzano, attese il rivale e lo uccise accoltellandolo.
La leggenda narra che il fantasma del Piola, di notte,
In Via degli Orefici, poco distante dalla celebre Edicola con Madonna e S. Eligio, opera del Piola, di cui ho già parlato in passato è possibile ammirare quest’altro capolavoro a cielo aperto: si tratta dell’Adorazione dei Magi, meglio nota come “IL PRESEPE”.
Scultura di Elia e Giovanni Gagini datata circa 1457, maestri antelami, che hanno lasciato altre numerose testimonianze della loro arte in città (in particolare in S. Lorenzo e S. Maria in Castello).
In uno spazio così limitato sono riusciti a rappresentare in modo plastico e magistrale: il suonatore di cornamusa con cane dormiente, pellegrini in preghiera e a cavallo, il pastore con il gregge e il boscaiolo che pota un albero.
Dentro la capanna, il bue e l’asinello, in alto un angelo.
Poi i Magi che offrono i propri doni con uno di loro,in ginocchio, in adorazione del Bambino.
Un cavallo che beve alla fonte mentre gli scudieri accudiscono gli altri due….. Strepitoso!!!
In Via Santa Croce, vicino al sito dove sorgeva l’omonima Porta, fa bella mostra di sé questo portale in ardesia, ricostruito recentemente su modello dell’originale cinquecentesco.
Il motto “flangar non flectar” (Mi spezzerò ma non mi piegherò) rispecchia, a mio modo di vedere, lo spirito con cui Genova ha sempre affrontato le dominazioni e le umiliazioni patite.
Il sovrastante stemma nobiliare invece rappresenta un’aquila a due teste che regge con le zampe un globo ed una fiaccola.
E’ l’insegna della Casata degli Spinola famiglia che, insieme a quella dei Doria faceva parte della fazione Imperiale, chiamata a Genova dei “Mascherati”.
I filo papali invece si chiamavano “Rampini”, fra le loro fila militavano, anche se la divisione non è così schematica ed assoluta, Fieschi e Grimaldi.
In Vico della Neve, fino alla fine dell’800, si trovavano le botteghe che vendevano ghiaccio e neve necessari per la conservazione degli alimenti.
Venivano prodotti dalle neviere ricavate nei pressi del Forte Diamante.
Come ogni mestiere o corporazione che si rispetti anche questi artigiani eressero la loro edicola intitolandola alla Madonna Regina e al Bambinello. Realizzata in stucco nel XVIII sec. oggi, purtroppo, giace mutilata e trascurata, dimenticata da tutti nel più imbarazzante degrado.
La Madonna della Neve, questo il suo nome, ha sopportato il freddo delle neviere ma non quello dell’indifferenza.
Per alcuni opera di Giovanni Gagini, per altri di Pace, in Vico Indoratori n. 2 si può ammirare un sovrapporta con una particolare rappresentazione di S. Giorgio e il drago:
In questo bassorilievo infatti, oltre ai due guerrieri che sorreggono gli scudi abrasi posti a lato, sullo sfondo, si notano elementi e personaggi scolpiti con la stessa raffinatezza dell’Adorazione dei Magi (il Presepe di Via Orefici) e del S. Giorgio di Piazza S. Matteo.
Ma la vera particolarità di questa immagine (non posso affermare con certezza che sia l’unica ma, sicuramente, fra le poche) sta nel fatto che il drago non è, come al solito sdraiato, bensì rampante e immortalato nell’atto di sputare fiamme sul santo.
Il sovrapporta di Piazza S. Matteo invece, certamente concepito da Giovanni Gagini, riprende l’iconografia classica e, visto il suo ottimo stato di conservazione e la sua straordinaria bellezza, si commenta da solo.
Manca si il volto del Cavaliere e, anche qui, gli scudi sono abrasi ma, come nel Presepe, spiccano i dettagli come il pastore che suona la cornamusa e il gregge al pascolo.