Banchieri

“Per comprendere ciò che produce la libertà, è necessario di andare a Genova; tutto colà annunzia l’abbondanza e la ricchezza. Il commercio è l’anima di questo popolo industrioso. I nobili stessi non si vergognano di esercitarlo in ambe le riviere di ponente e di levante, che ho percorso in tutta la loro estensione, camminando non di rado colle mani e coi piedi… I Genovesi e gli Olandesi sono i banchieri di tutti i principi d’Europa, che abbisognano di denaro”

Cit: (Carlantonio Pilati) (1733-1802). Giurista e storico italiano.

In Copertina: Il Cambiavalute di Rembrandt. Olio su tavola del 1627. Pittore Barocco dei Paesi Bassi (1606-1669).

Il pittoresco angiporto

“Noi a Genova abitavamo nel quartiere pittoresco dell’angiporto – cioè contrabbandieri e prostitute – e non eravamo di certo una famiglia ricca. […] Mia madre non ha mai chiuso la porta di casa a chiave, nonostante sotto di noi ci fossero due fratelli che entravano e uscivano dalla galera”.

Cit. Angelo Branduardi, cantautore.

A tre mesi Branduardi dall’hinterland milanese si trasferì a Genova prima in via della Maddalena nel cuore del centro storico, poi in via Masina nel quartiere di Marassi.

A soli 15 anni si diplomò in violino presso il Conservatorio Nicolò Paganini di Genova.

In Copertina: Via della Maddalena all’altezza di Via della Posta Vecchia.

Gli Annali di Caffaro da Caschifellone

L’11 novembre del 1158 si tenne a Roncaglia, convocata da Federico Barbarossa, l’omonima Dieta a cui parteciparono consoli, prelati, vari signori d’Italia e quattro giuristi di Bologna con lo scopo di definire e dichiarare i diritti dell’Impero in relazione alle città italiane.

Anche Genova, obtorto collo, presenziò con una nutrita delegazione composta da Ido Contardo, Caffaro da Caschifellone, Oberto Spinola, Guglielmo Cicala, Guido di Lodi, Ogerio di Bocheroni, Ottone Giudice e Alberico.

Costoro avvezzi a negoziare trattati e stipulare contratti internazionali di qualsiasi natura non si fecero pregare allorquando gli interessi della Compagna Comunis vennero messi in discussione.

Alla richiesta imperiale -infatti- di tributi e ostaggi, per bocca di Oberto Spinola, fu pronunziato in risposta quel famoso e pregno d’orgoglio “Abbiamo già dato” che ancora oggi riveste (anche se pochi ne conoscono il significato) un ruolo ben radicato nel nostro eloquio.

“Lodarono i Legati Genovesi la prudenza degli altri Popoli italiani; però faceano conoscere non dover eglino seguitare l’esempio degli stessi, ed anzi tanto non potersi pretendere dal Comune di Genova «imperocché, dicevano essi, «gli antichi Imperatori Romani e Re d’Italia concedevano e confermavano agli abitatori di Genova il dritto d’osservare le loro consuetudini, onde dovean in perpetuo essere liberi da ogni angaria e perangaria, e solo potevano essere obbligati alla fedeltà verso l’Imperatore ed alla difesa del littorale contro i Barbareschi, nè potevano avere altro gravamento.

I Genovesi avevano compiuto ogni loro dovere, coll’aiuto Divino cacciati i Barbari che senza posa infestavano i luoghi marittimi da Roma infino a Barcellona, operato in modo che in oggi ciascuno riposa tranquillo in mezzo alle sue proprietà, fatte tutte queste cose, per l’ottenimento delle quali l’Impero avrebbe spese in ogni anno oltre diecimila marche d’argento, col solo danaro del Comune di Genova.

I Genovesi inoltre abitano terre sterili ed incapaci di somministrar loro il necessario al sostentamento, sono costretti di procacciarsi dagli esteri paesi quanto loro abbisogna per vivere, e per conservare l’onore dell’Impero; quanto posseggono tutto è frutto della loro industria e del commercio tenuto colle terre straniere, appò cui già pagarono molti dazii, o comprarono col proprio danaro la libertà delle loro mercatanzie. Quindi è che il pretendere dai Genovesi nuovi sacrifizi sarebbe ingiustizia; ed essendo decreto degli antichi Romani che niuno possa pretendere, e niuno possa essere obbligato a pagare un tributo già soddisfatto, l’Imperatore non debbe volere dal Comune di Genova altra cosa che la fedeltà, cui i Consoli sono pronti a promettere”.

Cit. Annali (1099-1163) di Caffaro di Rustico da Caschifellone (1080/81-1164 circa). Crociato, capitano diplomatico, annalista genovese.

In Copertina: Caffaro da Caschifellone dipinto sul prospetto di Palazzo San Giorgio da Ludovico Pogliaghi (1857-1950). Pittore e scultore.

Mortali sui monti, giganti sul mare.

“E Genova, bizzarra e coerente, superba e modesta, orgogliosa e benevola, è mezza mare: gli uomini, i timidi, i mortali che si sono nascosti nelle grotte, arroccati sui monti, seminati lungo le vallate; gli Altri, giganti, sul mare, al di qua del cobalto che segna l’orizzonte, nella invisibile parte che dà la spinta, che domina gli eventi”.

Cit. Vito Elio Petrucci (1923-2002) poeta, scrittore e commediografo.

In Copertina: fedele riproduzione spagnola della Santa Maria, la caravella ammiraglia di Cristoforo Colombo.

Orologi genovesi

“I passi di chi cammina nella sua città volendone vivere tutti i momenti, ricalcano le orme già lasciate in altre ore; è un fatto automatico che considero una caratteristica dei genovesi. Comperare sempre nello stesso negozio, passare dalla stessa strada, prendere il bianco (una volta) o aperitivo nello stesso bar, girare a quell’angolo. Un tempo si controllava l’ora al solito orologio (erano verdi con lo stemma di Genova) e si diceva magari la preghierina propiziatoria davanti alla Madonnina illuminata. Una ripetitività che dimostra il senso del possesso delle cose e soprattutto una gran voglia genovese di non cambiare, di non correre”

Cit. Vito Elio Petrucci (1923 -2002) poeta, commediografo e giornalista.

In Copertina: orologio di Piazza Alimonda. Foto del Comune di Genova.

… “Le cime dei palazzi… quasi si uniscono”…

“In genere le strade sono larghe all’incirca da quattro-cinque piedi a otto, e contorte come cavatappi. Percorri una di queste tetre fenditure, guardi su e vedi il cielo ridotto a somiglianza di un nastro di luce, molto in alto, dove le cime dei palazzi sui due lati della strada quasi si uniscono. Ti sembra di essere sul fondo di qualche terribile abisso, col mondo intero molto al di sopra di te. Ti aggiri a caso attraverso di esse nella maniera più misteriosa e non sai orientarti meglio che se fossi cieco. Non riesci a persuaderti che queste sono vere strade e che i torvi, foschi, mostruosi palazzi siano case, finché non vedi una donna elegante e bella emergere da qualcuna di queste buie e desolate tane che per metà sembrano prigioni. E ti chiedi come possa una così incantevole crisalide venir fuori da un bozzolo tanto poco attraente”.

Cit Mark Twain (1835-1910) scrittore statunitense.

In Copertina: I Quattro Canti. Foto di Anna Armenise.

“Genova… la più bella”…

“Tra le città d’Italia Genova mi è parsa in gran parte la più illustre per taluni aspetti e la più bella, a meno che non mi inganni e non mi tragga in errore l’affetto per l’antico progenitore Opizzino Adorno, che trasse origine da qui. Non mi ricordo di aver visto nessuna città, eccetto Damasco, più piacevole dall’aspetto esteriore: se uno si ferma presso la torre di Capodifaro, considererà la visione della città che gli si offre molto piacevole e mirabile”.

Anselmo Adorno, (1424 – 1483), mercante, politico e diplomatico olandese di origine genovese.

In Copertina: La Lanterna riflessa in una pozzanghera. Foto di Lino Cannizzaro.