Storia della “Gattafura” (la torta pasqualina) …

Con questo curioso titolo erano note secoli fa, le torte miste di verdure e formaggio.
Fra queste anche la celeberrima pasqualina così identificata solo a partire dalla seconda metà del ‘800 con il diffondersi delle Cuciniere.
Il primo che ne fece menzione fu nel Quattrocento nel suo “Libro de arte coquinaria” il famoso Maestro Martino de Rubeis, padre della cucina rinascimentale.
Con la parola gattafure infatti, citata poi nel ‘500 sia da Bartolomeo Scappi, cuoco di Papa Pio V nel suo trattato, che da Ortensio Lando nel suo catalogo, si indicavano e raggruppavano tutte le torte di verdure di origine ligure già nel XV sec.
Annotava così il Lando nel suo “Catalogo delli inventori delle cose che si mangiano et si bevano” del 1550:
“a Genova si fanno certe torte dette gattafure perché le gatte volentieri le furano e vaghe ne sono, ma chi è sì svogliato che non le furasse volentieri? A me piacquero più che all’orso il miele”.
Evidentemente ai gatti doveva essere piaciuta molto questa torta erbacea a base di bietole, formaggio, uova e… prescinseua, ma anche l’umanista doveva esserne rimasto assai soddisfatto per immedesimarsi nella golosità dell’urside.

Questa torta salata veniva preparata per la festa pasquale rivestita, secondo la tradizione, di ben trentatré strati (pieghe) di sfoglia, in omaggio agli anni di Cristo.


Ne esistevano almeno un paio di varianti ma l’originale, anche se in molti pensano il contrario, non prevedeva i carciofi, bensì le bietole perché più economiche e facilmente reperibili presso le besagnine, rispetto alle più costose, perché fuori stagione, articiocche (carciofi).
Ancora oggi, nelle ormai rare Sciamadde, cosi come sulle tavole della festa, non può mancare, per resuscitare gli appetiti, la Regina delle torte salate.